Pilastri fondamentali della nostra società, spesso faticano ad arrivare a fine mese con pensioni da fame. Eppure hanno diritto a una vita dignitosa.
I nonni e le nonne andrebbero inseriti nel Patrimonio dell’umanità dell’Unesco. È difficile descrivere il loro ruolo ma chi ha avuto la fortuna di farne esperienza sa cosa vuol dire, soprattutto conosce l’eredità spirituale che lasciano nel cuore di ognuno. Alessia Orro, campionessa femminile di pallavolo agli Europei, il 4 settembre scorso, ha messo la sua medaglia d’oro al collo del nonno Peppino di 90 anni motivando questo bellissimo gesto con un contenuto ancora più bello del gesto stesso. «Senza di lui» ha detto «sarei persa».
Non ha detto mi sarebbe mancato qualcosa, ha detto molto di più, qualcosa che ci fa capire quanto è stata essenziale per la sua vita la figura del nonno, quanto è stata importante per la sua maturazione, per lo sviluppo della sua persona. Ed evidentemente anche per la sua carriera agonistica e i suoi formidabili traguardi. Il nonno di Alessia non ha vinto nessun campionato – almeno che io sappia – ma evidentemente si è meritato una medaglia d’oro in umanità, in dedizione, in generosità nei confronti di sua nipote. Ha detto un importante professore, Luca Ricolfi, che «se ricostruzione ci sarà, sarà grazie agli anziani e ai pensionati più che gli attuali venti-quarantenni». In quello che potrebbe sembrare un paradosso o un’esagerazione, Ricolfi addita a un ruolo che è quello di spina dorsale della società, e in particolare del nostro Paese, e che riguarda i nostri anziani, con le loro case di proprietà, con le loro pensioni che spesso – anche se ingiustamente basse – reggono le economie di molte famiglie italiane. Le recenti vicende del Covid, e delle Rsa, purtroppo ci hanno detto molto sulla considerazione di questa generazione da parte dei pubblici poteri.
Non tutti sanno che oltre 7 milioni di italiani hanno dai 75 anni in su, l’11,7 per cento del totale della popolazione, e sono donne nel 60 per cento dei casi. A questi 7 milioni si aggiungono 4 milioni e 300 mila anziani che hanno toccato e superato gli 80 anni, oltre 700 mila che hanno compiuto i 90 e 14.456 le persone che al primo gennaio 2019 saranno centenarie. Insomma, si tratta di oltre 11 milioni di persone.
Tra le persone che hanno raggiunto il secolo, 1.112 hanno spento almeno 105 candeline, donne per l’87 per cento, beate loro. Capite che si tratta di un po’ di più di un italiano su sei, stiamo parlando soltanto di quelli oltre i 75 anni.
Ma c’è un altro dato di cui dobbiamo tenere conto in modo sostanziale: per 100 giovani tra zero e 14 anni, ci sono 173 persone di 65 anni e più. Siamo quasi in un rapporto da uno a due, cioè due anziani per ogni giovane. Oltre a questo c’è un altro aspetto: il 42,3 per cento delle persone over 75 è multicronico, ossia soffre di tre o più patologie croniche. Di questi, il 52 per cento risiede nel Mezzogiorno, il 42,7 per cento vive al Centro e il 36,3 al Nord.
Infine, l’1,8 per cento di chi ha 75 anni e più si trova in una condizione di grave deprivazione abitativa. Sono persone che vivono in edifici sovraffollati e presentano almeno uno dei seguenti problemi: carenze strutturali delle abitazioni come soffitti e infissi; scarsa luminosità; assenza di un bagno o una doccia con acqua corrente. Sono tutti dati Istat.
Ovvio che con l’avanzare del tempo certe malattie diventano croniche, per altre è l’età stessa che rende fragili e vulnerabili, e fa peggiorare la salute. Ma non vi è dubbio che gli anziani, avendo passato, nella stragrande maggioranza dei casi, molta della loro vita dedicandosi alla famiglia e quindi, per suo tramite, alla società, meriterebbero ben più di una medaglia d’oro. Meriterebbero per esempio che la pensione minima non fosse nel 2021 pari a 515,58 euro per 13 mensilità, perché la legge n. 638 del 1983 prevede il diritto del pensionato a ricevere un assegno sufficiente a garantire una vita dignitosa. Non si tratta di una benevola concessione dello Stato ma di un diritto riconosciuto per chi è titolare di una pensione molto bassa.
Non è solo una questione di diritto, bensì di morale pubblica che deriva dal dovere di restituire la possibilità di una vita dignitosa a chi, con tanti sforzi, ha dato questa opportunità alla sua famiglia e alla società nel suo insieme. Dunque è un diritto ma è anche un dovere etico di riconoscenza, e non in senso formale ma materiale. n
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