Contestato dai dipendenti del Mart di Rovereto, di cui è presidente, il critico d’arte replica. Raccontando le esposizioni che, nei prossimi mesi, si potranno vedere nel museo.
Mentre attendiamo la riapertura di musei e di mostre, arbitrariamente chiusi benché mai abbastanza frequentati, mi sembra giusto far conoscere una parte del dibattito che, al di là di ogni logica, e in nome di una «etica» che si pretende prevalente sulle libertà democratiche e i diritti civili, ha stabilito una frattura fra i «dipendenti» di un importante museo italiano, il Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto (Mart), e il suo presidente, che sono io, che si riteneva nel diritto, come deputato, non come presidente di un museo, di esprimere una sua posizione. Pubblico quindi la lettera che mi è stata inviata e, di seguito, la mia risposta.
La lettera del 10 marzo 2020
«Nelle ultime ore da più parti sono state chieste le dimissioni del presidente Vittorio Sgarbi. Noi dipendenti del Mart riteniamo doveroso far sentire anche la nostra voce. Il museo pubblico dovrebbe porsi come centro identitario per la collettività, spazio di etica e inclusione, e le sue azioni dovrebbero essere portate avanti con senso di responsabilità. Riteniamo che al presidente di un’istituzione culturale sia richiesto rispetto per le regole, decoro, sobrietà, secondo quei compiti di rappresentanza che il suo ruolo impone. In questi anni abbiamo lavorato instancabilmente, con dignità e senso del dovere alla costruzione di un museo solido, autorevole, coraggioso. Vorremmo continuare a farlo. E vorremmo farlo con un direttore e una programmazione certa, di medio e lungo periodo, attualmente disattesa. Per questo chiediamo al presidente Fugatti, all’assessore Bisesti e alla Giunta della Provincia autonoma di Trento di metterci nelle condizioni di lavorare ancora nel migliore dei modi, nel rispetto del regolamento statutario del museo, dei suoi organi, dei suoi dipendenti e collaboratori e degli indirizzi politici e amministrativi del Trentino».
43 dipendenti del Mart Rovereto
La mia replica
È giusto ascoltare ogni voce, così come io esprimo la mia, distinta; ma evitando i fervorini e le prediche di chi oggi finge di ignorare ciò che è stato fatto e dichiarato, in perfetto accordo con il direttore del Mart, Gianfranco Maraniello. Eviterei formule banali, per un museo, come «centro identitario per la collettività». Luoghi comuni. Prima di tutto perché, tecnicamente, non lo è il Mart, in quanto non museo di tradizione, ma deposito di collezioni. Cosa che dovrebbe essere nota ai «dipendenti». Indiscutibile che il museo sia spazio di «inclusione», ma escluderei di «etica», nella ambiguità e molteplicità delle possibili posizioni (etica cristiana, etica liberale, etica socialista, etiche varie); ed eviterei pur, come espressione di paternalismo, di evocare il «senso di responsabilità». In che senso?
Ho presieduto e presiedo onorevolmente numerose istituzioni, e non vedo come chi non lo ha fatto debba richiamarmi a «regole, decoro e sobrietà». Parole vuote, se pensiamo a Caravaggio, Arthur Rimbaud, Pier Paolo Pasolini, Louis-Ferdinand Céline, Charles Bukowski, Robert Mapplethorpe. Regolati? Sobri? Decorosi? Non si capisce quali rigidi compiti (prima che la libertà e autonomia di pensiero, garantite dalla Costituzione, art. 21) debba «imporre un ruolo». Né io parlo mai come presidente del Mart (se non nelle specifiche funzioni), ma come libero cittadino e parlamentare (garantito dall’art. 68 della Costituzione), non dipendente. Non dubito che i «dipendenti» abbiano lavorato «instancabilmente, con dignità e senso del dovere», ma non accetto le menzogne, che sono smentite dal mio rapporto perfetto con il direttore Maraniello, sempre consultato e informato, nella insolente richiesta di una «programmazione certa di medio e lungo periodo, attualmente disattesa».
Disattesa? Una assoluta bugia, di cui può essere testimone anche il senatore Franco Panizza, e rispetto alla quale è sufficiente l’elenco delle cose fatte e delle cose programmate, con un impegno istituzionale che ha coinvolto il presidente della provincia autonoma di Trento Maurizio Fugatti, il presidente della Regione siciliana Nello Musumeci, il sottosegretario Stefano Candiani, il presidente del Fec Eike Schmidt, il direttore del museo di Capodimonte Sylvain Bellanger, il direttore generale Sergio Alessandro, la soprintendente Irene Aprile, in un continuo scambio con la Regione siciliana, certamente conosciuto ai «dipendenti» menzogneri. Salvo che non si riconoscano come «dipendenti» di un pensiero unico (se non di un partito) che non consente quella libertà di cui l’arte è supremo esempio, con tutte le esaltate (convenzionalmente) trasgressioni.
La produzione di mostre, come sanno i «dipendenti», è certamente un’attività pluriennale. Essendo presidente al Mart da meno di un anno, in questo tempo ho voluto e sono riuscito a far aprire la grande mostra su Isadora Duncan, curata propriamente da un membro del Comitato scientifico del museo, Carlo Sisi, la mostra di Richard Artschwager, prima al Mart che al Guggenheim di Bilbao, ad accendere il dialogo tra un dipinto di Bernardo Strozzi del territorio trentino e i Blue di Yves Klein, e tra Arturo Martini e Gino Rossi; e ora a presentare le nuove mostre dedicate a Italo Zannier (ll libro illustrato dall’incisione al digitale / Italo Zannier fotografo innocente) e a Yervant Gianikian e Angela Ricchi Lucchi (I diari), con curatori «interni», che hanno firmato contro la verità e contro se stessi.
Fuori sede abbiamo aperto Tullio Garbari. Primitivismo e modernità, a Palazzo delle Albere, e Il Realismo magico nell’arte sarda nel Palazzo della Magnifica comunità di Fiemme a Cavalese. Nelle prossime settimane è prevista (fatta salva l’emergenza sanitaria in corso) l’apertura di tre focus: Ardengo Soffici. Incontro di Dante e Beatrice, Omaggio a Claudia Gian Ferrari e After Monet. Il pittorialismo nelle collezioni del Mart; e della mostra di Carlo Benvenuto, l’ultima curata da Maraniello. Stiamo lavorando da mesi alla tanto attesa mostra Caravaggio e il contemporaneo, con opere di Cagnaccio di San Pietro, Alberto Burri e Pasolini, la cui apertura è stata posticipata al 27 agosto per la succitata emergenza sanitaria.
Stiamo inoltre perfezionando gli accordi con la Tate Britain di Londra per la mostra su Constable. E ancora, di produzione interna, è la mostra, affidata a Beatrice Avanzi, la cui esperienza è, fortunatamente, indipendente: Picasso, de Chirico e Dalí. Dialogo con Raffaello. In relazione con Ferrara Arte, stiamo definendo la mostra su Giovanni Boldini, a Rovereto prima che al Petit Palais di Parigi. Basta? Nessun annuncio, quindi, ma una vasta programmazione, in parte in atto e in parte in fieri, con le difficoltà dei tempi. Di tutte queste mostre, salvo quella su Isadora Duncan (in coproduzione, ma allestimento nostro), la produzione è del Mart. Non si tratta di mostre-pacchetto, ma di progetti espositivi realizzati internamente, dai «dipendenti» smemorati.
Per quanto riguarda i due o tre format, dati i nomi e le istituzioni coinvolte, è chiaro a chiunque che si tratti di progetti di grande interesse e di assoluto richiamo, che il Trentino dovrebbe essere orgoglioso di ospitare, soprattutto il popolarissimo Banksy alle Albere, realizzata in latitanza dell’autore. Sotto la mia presidenza si è poi riattivata la funzione espositiva del Palazzo delle Albere, contestuale al Mart, e di cui è programmato il restauro in prospettiva della mostra su Klimt e l’arte italiana, per farne un «centro identitario per la collettività trentina», non potendolo essere il Mart di Mario Botta. È triste leggere inutili e conformistiche prediche e menzogne, dopo tanto impegno dedicato, gratuitamente, e senza alcuna spesa di rappresentanza (evocata da stolti), al Mart. Ringrazio chi non ha firmato, per rispetto della verità.
