Home » Adesso occorre decidere che modello di Paese vogliamo

Adesso occorre decidere che modello di Paese vogliamo

Adesso occorre decidere che modello di Paese vogliamo

Rubrica: Portugal Street

Così come nel 1992 vennero assunte decisioni fondamentali per il futuro dell’Italia, anche oggi dovremmo stilare un’agenda per le prossime generazioni. Con scelte chiare e definitive. E senza improvvisazioni.


Le risorse finanziarie che l’Unione Europea metterà a disposizione dell’Italia, come degli altri Paesi membri, nei prossimi mesi attraverso diversi strumenti sono molto significative. Con il peso del debito che la pandemia ha caricato sui bilanci pubblici rappresentano una via per ottenere finanziamenti a basso interesse (addirittura nullo per una parte) con nessuna o quasi condizionalità.

Come hanno giustamente osservato alcuni commentatori, verrà delineata la strada dello sviluppo per molti anni a venire. Per questo motivo appare necessario disegnare e programmare importanti azioni di riforma che permettano all’Italia di risolvere i suoi più gravi problemi strutturali: inefficienza della Pubblica Amministrazione, alta e distorta imposizione fiscale, bassa produttività, bassa partecipazione al mercato del lavoro. Una agenda semplice che necessita di scelte chiare e definitive. L’improvvisazione non è consentita.

Quindi, mentre da un lato si dovrà continuare a curare le ferite del Paese (e a sostenere la ripresa delle attività economiche), dall’altro si imporrà la costruzione di un incisivo programma di riforme strutturali. Un programma che non dovrà essere affrettato ma molto meditato, costruito su idee forti e su un solido progetto Paese. Così come nel 1992, in una piena crisi politica ed economica, vennero assunte decisioni fondamentali per il futuro del Paese (l’adesione stretta all’Europa, la privatizzazione delle industrie di Stato, un sistema contrattuale orientato sulla produttività e non sugli automatismi salariali, tanto per fare degli esempi) così dovrà essere per i prossimi mesi.

Giusto dunque pensare a un esercizio di concertazione sociale (oggi chiamiamolo pure Stati generali dell’economia, ma sempre quello è), ma ancora più importante è chiedersi quale modello di Paese vogliamo costruire per le prossime generazioni, senza essere distorti dalla crisi congiunturale che attraversiamo e che potrebbe dare false indicazioni sul medio periodo. L’Italia dei prossimi decenni deve ancora avere una Pubblica amministrazione così orientata sui processi o può essere finalmente costruita per obiettivi?

È necessaria una presenza capillare dello Stato nelle sue varie articolazioni oppure si può prevedere un sistema amministrativo più agile o concentrato in settori strategici? Come si può dare vita a una Pubblica amministrazione digitale che riduca sostanzialmente il peso degli oneri sui cittadini e sulle imprese? Come si potrà favorire un sistema di reclutamento con competenze più elevate nel pubblico impiego? Quale struttura di remunerazione potrà essere prevista che premi merito e competenza? In quale maniera comporre partenariati pubblici e privati necessari per garantire un sano sviluppo del Paese?

La tassazione dovrà essere ancora improntata a un principio di progressività attraverso scale di aliquote o è possibile raggiungere migliori risultati con un sistema più semplice, con meno aliquote o addirittura una sola aliquota? Quale funzione potrà avere il sistema fiscale nell’orientare le attività produttive? Il complesso corpo di esenzioni fiscali, detrazioni e deduzioni potrà essere significativamente rivisto e riorganizzato in funzione delle nuove necessità e bisogni dell’economia e della società del XXI secolo?

Quale sistema di sviluppo industriale dovremmo favorire? Nazionalizzazioni di massa o interventi massicci dello Stato nelle imprese – che ci riportano quasi un secolo indietro – sono un momento di passaggio o diventano una caratteristica fondamentale del nuovo capitalismo? Il welfare state che dobbiamo rivedere dovrà essere fondato solo sulla fiscalità generale oppure su un sistema misto di contribuzione e fiscalità? Quale sarà l’architettura e le regole del mercato del lavoro? Quelle di coloro che sostengono un nuovo e rigido Statuto dei lavoratori con un sistema contrattuale centralizzato oppure quelle di quanti sostengono lo Statuto dei lavori e una forte contrattazione decentralizzata?

Ho elencato un lungo ma non esaustivo elenco di interrogativi alla base di qualsiasi esercizio trasversalmente esteso per un Paese strutturalmente diverso. Tale esercizio necessita competenza, pazienza, preparazione, idee. Comporta un sano confronto democratico in cui governo ed opposizione sono su due sponde differenti perché – almeno teoricamente – hanno due diverse idee del Paese. La risposta a questi interrogativi non può essere indifferente per le forze politiche.

L’emergenza sanitaria impone unità nazionale; la ricostruzione economica può originare da idee e programmi differenti. È bene sempre non dimenticarlo oggi che si pensa al Recovery Plan del futuro. L’impressione, invece speriamo sbagliata, è che si voglia trasformare tutto in una grande melassa. La «grande abbuffata» sarebbe un errore e uno schiaffo al Paese.

© Riproduzione Riservata