Filippo Neviani, in arte Nek, dopo un traumatico incidente raccoglie le sue riflessioni di uomo e di artista maturo in un libro e in un nuovo album nel quale canta alcuni suoi successi anche con Jovanotti, Francesco Renga e Giuliano Sangiorgi dei Negramaro.
«Per superare un trauma bisogna trovare il coraggio di riviverlo». Nek, 50 anni all’anagrafe e 30 di carriera, non si sottrae al ricordo di quel giorno del novembre 2020, in pieno lockdown, quando una sega circolare gli ha quasi amputato due dita nel casolare della sua casa di campagna in Emilia. «Non ho realizzato subito la gravità di quel che era successo. Ho sentito un fastidio alla mano come una scossa elettrica, poi ho visto che il guanto da lavoro si era riempito di sangue. Mi sono sentito perso nel nulla, non sapevo che cosa fare, il cellulare non prendeva… Temevo di svenire… A un certo punto ho avvertito la presenza di mio padre, che non c’è più da diversi anni. Mi osservava preoccupato invitandomi a togliere il guanto» racconta. «Lo faccio, vedo la mano dilaniata come se fosse scoppiata una bomba, e non so come trovo la forza di guidare per sette chilometri fino al pronto soccorso di Sassuolo. Per fortuna a Modena c’è uno dei migliori centri d’Europa per la ricostruzione degli arti. Adesso, dopo una lunga riabilitazione, ho ricominciato a suonare la chitarra. Diciamo che la mano funziona all’80 per cento. E ora? Mi sento diverso, il Filippo di due anni fa non c’è più».
Dalla disavventura è nato un libro, A mani nude (Harper Collins) e un’amicizia con Gianni Morandi, reduce anche lui da pesanti ustioni a mani e gambe dopo essere scivolato mentre bruciava sterpaglie nel giardino di casa. «Ci sentiamo spesso e naturalmente come prima cosa ci chiediamo delle rispettive mani. Poi passiamo a qualcosa di più leggero…». Oltre 10 milioni di album venduti, una manciata di canzoni (da Laura non c’è a Fatti avanti amore) che sono nel grande libro del pop italiano, e adesso un album celebrativo, intitolato 5030, con tre dei suoi successi reinterpretati insieme a Jovanotti, Francesco Renga e Giuliano Sangiorgi dei Negramaro.
Nonostante un debutto travagliato, ce l’ha fatta Filippo Neviani a ritagliarsi un posto stabile nel pantheon della musica: «La foto di copertina del primo disco» racconta divertito «venne realizzata da un fotografo che di solito immortalava piastrelle. Scattammo in uno sgabuzzino tutto bianco dove la luce rendeva giustizia agli oggetti. Diciamo che non era abituato a fare i conti con soggetti animati… Ma questo era ciò che passava il convento. Per cominciare andava bene così».
Che la salita sia dura per chi si affaccia al lato mainstream della musica, Nek lo ha scoperto presto, all’esordio sul palco dell’Ariston con un In te, un brano che, per usare un eufemismo, non venne accolto bene dalla critica: «Sono stato martirizzato a 19 anni in conferenza stampa con accuse, insulti e sputi. Più che salita, fu saliva (ride, ndr). La mia colpa era quella di cantare una storia vera che parlava di un argomento importante, la vita. Il testo raccontava la vicenda di una coppia in cui lui voleva tenere il bambino e lei no. Fu uno choc, ma ho trovato la forza di andare avanti e prendermi le mie rivincite: i milioni di copie vendute sono lì a dimostrarlo» precisa.
Nella tracklist di 5030 c’è una nuova versione di Fatti avanti amore (arrivata seconda a Sanremo 2015) reinterpretata con Jovanotti. «L’abbiamo cantata insieme quando sono stato suo ospite al Jova Beach Party. Un momento magico che poi ho voluto ricreare in studio di registrazione: Lorenzo è stato così gentile da farmi un grande regalo, ovvero una parte rap scritta appositamente per il mio brano». Tra i grandi classici della sua carriera, il trionfale tour con Francesco Renga e Max Pezzali: «Sei mesi di successi. All’Arena di Verona eravamo così intenti a mandare baci e abbracci alle persone che ci dimenticammo i testi delle canzoni nonostante le parole scorressero davanti ai nostri occhi sugli schermi. Siamo scoppiati a ridere senza controllo…».
Il palco come fonte di gioia inesauribile, ma a volte anche di paura, addirittura paura per la propria incolumità: «A Sharm El Sheikh ho temuto di morire. Qualche settimana prima c’era stato un terribile attentato in cui erano stati uccisi dei turisti. Da dietro le quinte vedevo il pubblico che passava attraverso i metal detector e non mi sentivo tranquillo. I controlli c’erano, ma diciamo che erano fatti un po’ con la mano sinistra. Una volta salito sul palco, ho iniziato a fissare le dune a pensare all’eventualità che là dietro ci fosse qualche cecchino. Poi mi sono detto “andrà come Dio vorrà”».
