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La Brexit scuote l’Europa: e se ce la meritassimo?

La Brexit scuote l’Europa: e se ce la meritassimo?

Londra non è mai stata in Europa, l’Europa non è mai stata veramente europea. Ma ora un sassolino può provocare una valanga

La Brexit scuote l’Europa: e se ce la meritassimo?
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Il primo ministro britannico David Cameron con la moglie Samantha annuncia le dimissioni dopo la vittoria della Brexit – 24 giugno 2016

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Il primo ministro britannico David Cameron annuncia le dimissioni dopo la vittoria della Brexit – 24 giugno 2016

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Il primo ministro britannico David Cameron annuncia le dimissioni dopo la vittoria della Brexit – 24 giugno 2016

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Brexit 2016: la Gran Bretagna ha votato per l’uscita dall’Ue

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Un tassista con un manifestino “Vote Leave” a favore del Brexit in occasione del referendum del 23 giugno – 22 giugno 2016

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Un aliante sul London Air con un cartello “Vote Remain” contro l’uscita dalla Ue per il referendum sulla Brexit – 22 giungo 2016

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Il premier britannico David Cameron – 22 giugno 2016

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Una supporter inglese per la permanenza in Europa in occasione del referendum sulla Brexit – 22 giugno 2016

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A Leave supporter poses in Clacton-on-Sea as UK Independence Party (UKIP) leader Nigel Farage visits on June 21, 2016. Britain goes to the polls in two days to vote on whether to remain or leave the EU with the result too close to call. / AFP / JUSTIN TALLIS (Photo credit should read JUSTIN TALLIS/AFP/Getty Images)

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Sostenitori della campagna “Britain Stronger in Europe” – 21 giugno 2016

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Un sostenitore della Brexit a Clacton-on-Sea – 21 giugno 2016

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Sostenitori dell’uscita dalla Ue della Gran Bretagna – 21 giugno 2016

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Trevor Hatcher, supporter della Brexit, davanti alla sua casa di Carshalton nel sud di Londra, 21 giugno 2016

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Una bandiera anti UE su una finestra di una casa di Carshalton, nel sud di Londra – 21 giugno 2016

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Il leader laburista Jeremy Corbyn, fautore della campagna “Remain” per tenere la Gran Bretagna nella Ue – 21 giugno 2016

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Grace Kiely, 6 anni, sostenitrice baby della campagna del leader laburista Jeremy Corbyn a Manchester – 21 giugno 2016

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Violet, 13 mesi, sostenitrice baby della campagna del leader laburista Jeremy Corbyn a Manchester – 21 giugno 2016

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Un cartello di uno dei sostenitori dell’uscita dalla Ue della Gran Bretagna – 21 giugno 2016

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Sostenitori liberaldemocratici a Carshalton, nel sud di Londra – 21 giugno 2016

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Sostenitori contrari alla Brexit con i cartelli con lo slogan “Vota Restare” in Oxford Circus a Londra – 21 giugno 2016

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Il leader del partito nazionalista inglese (UKIP) Nigel Farage con dietro la scritta “Rivogliamo il nostro Paese” – 19 giugno 2016

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Sostenitori contrari alla Brexit con i loro volantini a Londra – 21 giugno 2016

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I sostenitori del “Remain”, i contrari alla Brexit a Londra – 19 giugno 2016

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Alcune persone posano mentre si baciano con le bandiere della Ue e della Gran Bretagna a favore del restare in Europa – 21 giugno 2016

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Una donna con un cartello “Vota Restare, La Gran Bretagna è più forte in Europa”, lo slogan ufficiale della campagna dei sostenitori del “Remain”, i contrari alla Brexit – 19 giugno 2016

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Imbarcazione sul Tamigi fa propaganda per la Brexit

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Anche la Brexit ad Ascot

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Sostenitori della linea Bremain, contro l’uscita dall’Unione

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Una sostenitrice della Brexit in una manifestazione a Londra, 19 febbraio 2016

La Gran Bretagna con la Brexit non esce dall’Europa ma dall’Unione Europea. In fondo era già con un piede fuori. Meglio, non è mai stata con tutti e due i piedi dentro. Aveva sconti sul budget, la possibilità di non aderire a iniziative legislative (il cosiddetto opting out), poteva sforare rispetto ai parametri di Maastricht, era fuori dal sistema di Schengen (i nostri passaporti europei venivano già controllati negli aeroporti) e aveva una moneta diversa, la sterlina.

L’Unione Europea per i britannici significava ultimamente dover accogliere tanti immigrati, anche europei. L’Unione Europea, del resto, non era e non è l’Europa che avevamo sognato. Non era l’Europa con una sola politica estera e di difesa, l’Europa protagonista nel mondo, l’Europa portatrice di una linea unitaria in organizzazioni e consessi internazionali.

L’Europa non era l’Europa, ma una miscellanea discorde e litigiosa di 28 soggetti, tra i quali primeggia(va) la Germania. L’Europa non era neanche l’Europa economica, essendo divisa in una Eurozona e in altri Paesi con monete proprie, e soprattutto non essendo dotata di una banca centrale in grado, semplificando, di “battere moneta” (la Banca d’Inghilterra agiva in totale autonomia).

Nè si può dire che soltanto i britannici siano stati portatori del “virus” dell’anti-europeismo, visto che per mero sciovinismo la Francia gollista per anni ha sbarrato il passo a Londra nella UE. I britannici, a loro volta, hanno spinto sull’euroscetticismo con Margaret Thatcher, col risultato di ottenere condizioni di vantaggio nell’associarsi all’Unione. Ma non hanno mai avuto l’esclusiva del dissenso isolazionista. Al massimo, la vocazione autonomista dell’Isola.

E poi, l’Europa stessa intesa come istituzioni europee, davvero non ha alcuna responsabilità nella decisione degli elettori del Regno Unito di Leave, lasciare, l’Unione? Quanto hanno pesato gli eccessi di una certa euro-burocrazia distante dai cittadini europei? E soprattutto, quanto ha influito sul voto britannico l’incapacità politica di una leadership europea che non sa guardare oltre la punta del proprio naso?

David Cameron, in realtà, per quanto sconfitto dal voto, ha dimostrato di essere un leader. Ma un leader britannico, non europeo. Ha annunciato le dimissioni perchè la sua battaglia l’ha persa, perché il popolo britannico lo ha sfiduciato con il “NO” a restare in Europa, e perché la democrazia di stampo anglosassone impone le dimissioni a un primo ministro che s’impegni in prima persona su un tema tanto cruciale e strategico per il suo Paese, ma sul quale i suoi cittadini dissentono in modo clamorosamente netto.

Inoltre, non la Gran Bretagna ma tutta l’Europa, e gli Stati Uniti, sembrano andare in direzione di una graduale implosione e disgregazione che di per sè non è un disastro ma va gestita.

C’è un dato che avvicina molto l’esito del voto britannico al referendum sulla Brexit e a quanto sta avvenendo nella campagna presidenziale americana. Anzi, un doppio dato. Posizioni estreme sono rappresentate per lo più dalla “pancia” del Paese, contro le grandi città. In Gran Bretagna, Londra e il centro di Manchester si sono schierati per rimanere dentro la UE. Le campagna, l’entroterra, per uscire. C’è quindi una contrapposizione città-campagna, analoga a quella della quale beneficia il portafoglio di potenziale consenso elettorale di Donald Trump (significativamente da oggi in Scozia).

E c’è una contrapposizione giovani-vecchi. I primi vorrebbero abbattere tutte le frontiere, si sentono e sono cittadini del mondo, sono spregiudicati e pensano di appartenere a una comunità transnazionale. Gli anziani, al contrario, sono scettici e sulle loro.

Se questo è vero, tutto considerato non poteva andare diversamente, ieri, in Gran Bretagna. Londra non è mai stata in Europa, l’Europa non è mai stata veramente europea. A noi restano la retorica, la stupefazione, la paura. Per poi scoprire forse, alla fine, che le perfidie di Albione non sono peggiori delle nostre. E che lo schiaffo della Gran Bretagna all’Europa, sassolino in grado di provocare la valanga della disgregazione europea, è quanto ci meritiamo (e non è poi la fine del mondo).

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