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Finardi: «Io, il Pci e i polli surgelati volanti al Parco Lambro»

Finardi: «Io, il Pci e i polli surgelati volanti
al Parco Lambro»

I genitori liberali, lui con la tessera del Partito comunista (che gli fu ritirata). I concerti politicizzati e turbolenti al Festival di Re Nudo a Milano e l’amicizia con Lucio Battisti. Eugenio Finardi presenta il suo nuovo album Euphonia Suite e racconta ricordi ed emozioni di un 70enne ancora ribelle: «A Campovolo, sul palco con Ligabue, mi sono davvero emozionato, come ai vecchi tempi».


Incredibile, fino a pochi secondi c’erano solo fili lisci, adesso che mi servono le cuffie per l’intervista il poltergeist dei cavetti li ha trasformati in un groviglio inestricabile. È sempre così…» dice divertito Eugenio Finardi, al telefono dalla sua casa milanese a due passi da San Siro. Settant’anni, distante dalle ansie da classifica e dalla fama fine a sé stessa, il cantautore della musica ribelle (titolo di uno dei suoi cavalli di battaglia pubblicato nel 1976) «gioca» da anni con il suo repertorio. In studio di registrazione come sul palco. L’ultima trovata, in questo tempo di canzoni che non superano i tre minuti, e che già in centottanta secondi riescono a diventare noiose e ripetitive, è Euphonia Suite, disco di un’ora e dieci che in pratica è un’unica canzone fatta di brani tratti dal suo repertorio, ma anche da quello di altri autori (Battiato e Fossati).

«Con Mirko Signorile al pianoforte e Raffaele Casarano al sax ho voluto creare un flow, un’onda sonora lunga e carica di feeling. La musica è un balsamo, lenisce, cura lo spirito ma anche il corpo. Quando vado dal dentista e ascolto Bach o la musica barocca in cuffia, mi somministra metà della dose di anestetico che utilizza normalmente» racconta. «In questo tempo di musica fatta di quattro accordi con la cassa in quattro che si ripete all’infinito, una suite di un’ora e 10 mi è sembrato un atto rivoluzionario» sottolinea ridendo. Sui Måneskin, però, non ha dubbi: «Mi ci riconosco, stanno realizzando cinquant’anni dopo il mio sogno. Io volevo fare il cantante di una rock band e andare in giro per il mondo a suonare».

Molte delle sue canzoni più famose sono nate nel contesto storico, sociale e culturale dei turbolenti anni Settanta. Finardi è uno degli artisti che si sono esibiti al Parco Lambro di Milano in occasione del Festival di Re Nudo, uno degli eventi simbolo della controcultura di quei tempi. «Un rave ante litteram, passato alla storia. Furono giorni straordinari di pace, amore e musica, ma non solo. Ci furono anche scontri al limite del ridicolo tra gruppi di sinistra. Una fazione si era presentata con un carico di polli surgelati da fare allo spiedo, ma nell’ultimo giorno del festival vennero espropriati da un’altra fazione. Iniziò quindi una battaglia con i polli usati come sanpietrini. C’erano decine di gruppi e sottogruppi politicizzati, lo specchio di una condizione immutabile: a sinistra c’è sempre qualcuno che ti scavalca a sinistra. Ricordo, sempre al Parco Lambro, un uomo nudo seduto a gambe incrociate che urlava: “Compagni il comunismo è solo il primo passo, noi dobbiamo arrivare… all’alveare!”. Una follia» commenta.

«Mio padre era un anticomunista viscerale alla Montanelli. Un liberale capitalista. Anche mia madre era liberale, ma nel senso americano del termine, “liberal”. Io ero iscritto al Pci fino a quando il segretario di una sezione milanese mi chiese di non rinnovare la tessera dopo un mio intervento non gradito sull’invasione russa in Afghanistan. Mi ero limitato a dire che ci eravamo opposti agli americani in Vietnam e che avremmo dovuto fare lo stesso anche per i russi in Afghanistan…» sottolinea. Ci sono anche i cori per l’hit di Marcella Bella, Montagne verdi, nei primi passi di Finardi sui sentieri della musica e un viaggio in motorino in Brianza per andare a casa di Lucio Battisti: «Portai con me alcuni 33 giri che avevo acquistato negli Stati Uniti. Tra gli altri Bob Marley, che in Italia non conosceva nessuno. E poi ancora Live Evil di Miles Davis, i Weather Report… Lucio era taciturno ma curiosissimo, entusiasta. Aveva un’anima black soul che se si ascoltano bene le sue canzoni emerge chiaramente» sottolinea.

Dal calore dei teatri dove si esibisce di solito all’esperienza open air dello scorso giugno a Campovolo, con Ligabue davanti a 105 mila persone: «Luciano mi ha invitato per cantare con lui Musica ribelle ed è stato molto emozionante. La cosa che mi ha colpito di più è stata il tempo, che a me è sembrato infinito, per arrivare da dietro le quinte al microfono. Di solito, faccio quattro passi e sono al centro della scena. A Campovolo mi è sembrato di camminare per mezzora» rivela prima di immergersi nei ricordi lontani di un locale di Brera, a Milano, dove da giovane incrociò la sua chitarra con quella di Ivan Graziani. «Intratteneva la gente ai tavoli suonando a richiesta canzoni dei Beatles e un pò di repertorio italiano. Prendeva ventimila lire a sera, uno sproposito. Mi offrì di fare a metà chiedendomi di suonare in quello stesso ristorante un po’ di rock e blues. Fu un gesto di una generosità incredibile, pochissimi altri artisti avrebbero fatto lo stesso. Solo quelli che come me non sono diventati ricchissimi…».

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