In questa estate di successi sportivi, Eike Schmidt, direttore dal 2015 delle Gallerie degli Uffizi, ha una sua certa idea su calcio e arte: «Sento dire che i musei producono solo 270 milioni di euro all’anno, ma questo succede perché non sono valorizzati bene. Se fossero gestiti come il calcio farebbero altri numeri. Almeno due miliardi. Il calcio può essere un modello gestionale. E poi noi abbiamo un vantaggio in più: non finiamo dopo 90 minuti». Dopo i lunghi mesi di chiusura gli Uffizi hanno ripreso a pieno ritmo e sono tornate le code e i turisti stranieri.«Siamo su una buonissima strada».
Come ha vissuto quest’ultimo anno, direttore?
L’anno scorso tutto era molto incerto, non avevamo il vaccino, c’erano tante ipotesi sulla dinamica del contagio, eppure sentivo un fortissimo desiderio di cultura. Adesso a questa volontà si è aggiunta una certezza maggiore. La gente sa come muoversi, molti sono vaccinati. Oggi numericamente siamo davvero ripartiti. Abbiamo avuto più di 20 mila visitatori solo nella prima settimana di riapertura, poi è stato un crescendo, arrivando a 102 mila presenze già nel primo mese. Abbiamo una media di oltre 5 mila persone al giorno. Un ottimo risultato e continuiamo a crescere in modo sostenuto, chiaro, costante.
Quali sono gli altri segnali positivi della ripresa?
Uno su cinque è straniero. Soprattutto tedeschi, russi, francesi, qualche spagnolo. E sono tornati gli americani, che erano spariti. Certo, nel 2019, anno di record assoluto, avevamo avuto oltre 2 milioni e 200 mila visitatori. Ora vedo un nuovo turismo, più benestante, di qualità: comprano libri, cataloghi, mangiano alla caffetteria. E oltre agli Uffizi visitano anche il Giardino di Boboli, dove abbiamo appena restaurato la Fontana delle Scimmie.
Gli influencer hanno avuto un ruolo?
Chiara Ferragni, dopo la visita con la foto che fece il giro del mondo davanti a La Nascita di Venere di Botticelli, ha voluto tornare a scoprire le straordinarie ricchezze di Palazzo Pitti. Poi sono venuti Giovanni Arena e Martina Socrate, la prima tiktoker a fare una diretta agli Uffizi. Hanno aiutato a infrangere la barriera artificiale tra il pubblico e le opere. Perché non bisogna vantare un dottorato in Storia dell’arte per capire l’importanza di un quadro, basta avere mente, cuore, occhi e cervello aperti.

Capolavori oltre il tempo
Dopo la riapertura, il pubblico si ferma più a lungo e trascorre la giornata al museo. Qui visitatori davanti al Tondo Doni (1505 – 1506) di Michelangelo.

Restauri in lockdown
Durante la chiusura il lavoro di restauro è raddoppiato, gli Uffizi non hanno mai smesso la loro attività. Qui la restauratrice Flavia Puoti.

Irresistibile Medusa
Il meraviglioso scudo con il Ritratto di Medusa (1598 ca.) del Caravaggio.

Ritorno a Venere
Il quadro che il mondo ci invidia: La nascita di Venere (1485 c.) di Botticelli. Per ammirarla i visitatori sono tornati a fare ore di coda.

Il ritorno dei giovani
Una ragazza osserva i Ritratti di Agnolo Doni e Maddalena Strozzi (1504-1507 ca.) di Raffaello. I giovani sono tornati più numerosi dopo la riapertura.

La celebre Sala di Niobe.
Un’opera nel laboratorio di restauro Le Cacce.
Fino al 3 ottobre Giuseppe Penone, uno dei protagonisti dell’Arte Povera, porterà i suoi lavori a dialogare con i vostri capolavori. Come vede la commistione tra antico e contemporaneo?
È quello che con grande successo sta facendo Vittorio Sgarbi a Rovereto o la Galleria Borghese a Roma con la mostra di Damien Hirst. Anche noi dal 2015 abbiamo un programma dove mettiamo in contatto capolavori da epoche diverse. E ha funzionato molto bene, soprattutto quando è l’artista a scegliere con chi confrontarsi, come ha fatto Penone. Lui si è messo in relazione con la statuaria classica.
Come è stata la vita del museo durante le chiusure?
L’opposto di quello che la gente pensava: abbiamo lavorato ancora di più. Soprattutto con la comunicazione digitale, sia per non perdere il rapporto con chi era già appassionato, sia per metterci in contatto con chi non ci conosceva. Particolarmente i più giovani.
I social vi hanno aiutato?
Sia i social sia le stanze virtuali che abbiamo aperto per le scuole elementari. Abbiamo avuto più di 1.300 classi da ogni parte d’Italia e le nostre educatrici museali hanno interagito con i bambini. Tantissimi piccoli studenti hanno scritto che appena potranno verrano a visitarci dal vivo. Abbiamo raggiunto persone che non avremmo mai pensato: bambini nelle montagne liguri o nelle periferie di Milano e Roma. Questo è fantastico. L’attività è stata più intensa grazie al digitale.
Quali altri progetti sono nati durante il lockdown?
Ci siamo portati avanti con il restauro architettonico e questo ha permesso di aprire la nuova biglietteria al piano terra, spazi tecnici nel seminterrato, ma soprattutto 14 nuove sale dedicate alla pittura del Cinquecento. Una di queste raccoglie gli autoritratti degli artisti: da quello di Gian Lorenzo Bernini a Marc Chagall, fino ai maestri contemporanei come Neo Rauch, il principale esponente della Scuola di Lipsia. Questa collezione unica al mondo sarà accessibile a tutti.
Perciò alla fine ha lavorato il doppio?
Sì, i lavori di allestimento prima potevamo farli solo di notte o il lunedì. Ora avevamo 7 giorni su 7. Quindi, da un certo punto di vista, un vantaggio. Anche se la chiusura dei musei è stata una tragedia, da questa situazione abbiamo cercato di tirare fuori il meglio.
Come ha reagito la città?
Abbiamo avuto tantissimi fiorentini, che sono venuti, dicendo: «Sono stato qui una sola volta, in gita scolastica 50 anni fa. È la prima volta che torno, perché durante il lockdown ho capito che mi mancavano». Questo sentimento lo abbiamo provato tutti, anche io in prima persona.
Lei cosa ha fatto in questi mesi così difficili?
Durante il 2020 l’atmosfera era molto depressa. Io ero tra i pochi che veniva al museo, ma non l’ho mai percepito come un privilegio. Stare dentro e sentire fuori le sirene delle ambulanze era terribile. Ma fin dal primo giorno ci siamo messi al lavoro e questo ci ha aiutato psicologicamente. Abbiamo cercato altri modi per condividere l’arte. E ora è arrivata la parte appagante, perché non solo apriamo nuove sale, ma lo facciamo in una situazione dove la gente ha bisogno fisiologico della cultura.
Da cosa si capisce?
Si mettono davanti a un quadro a lungo, scrivono appunti, fanno disegni, passano intere giornate al museo. Mi auguro che anche in futuro rimanga questo contatto meno superficiale rispetto a quello che si vedeva prima: gruppi che venivano solo per farsi una foto.
È cambiato il modo di fruire l’arte?
Tutti ormai hanno capito che bisogna aprirsi al digitale. Credo che per quello che riguarda noi la novità siano gli «Uffizi Diffusi», cioè portare le opere dai nostri depositi nel territorio della Toscana. E non a casaccio, ma nei luoghi che hanno a che vedere con certi artisti, l’iconografia, la storia, per costruire piccole narrazioni. Con la pandemia sono stati riscoperti i borghi. È un’enorme opportunità che dobbiamo favorire, creando una nuova forma di turismo che unisca alla bellezza dei paesaggi quella delle opere d’arte. Dobbiamo giocare bene la partita. Rendere vive queste realtà aiuterà tutti a partecipare alla ripresa. Valorizzare arte e ambiente è un’idea assolutamente rinascimentale.
