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Il Papa parla di destra e sinistra.  Ma contano solo i valori cristiani

Il Papa parla di destra e sinistra.  Ma contano solo i valori cristiani

La divisione sui temi etici è inevitabile per non diventare schiavi del politicamente corretto. Il Papa ricorda: «Dio al primo posto».

Semplicemente splendono le parole che papa Francesco ha pronunciato ieri nel cuore della Pentecoste, cioè nel giorno della discesa dello Spirito santo. Mettere «Dio al primo posto», ecco il messaggio, dolcissimo e insieme duro perché ricorda che i cristiani «sono nel mondo ma non del mondo». È il difficile equilibrio di cui parla l’Epistola a Diogneto quando spiega che i cristiani «vivono nella carne, ma non secondo la carne. Vivono sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza in cielo». In fondo, come scrive Antonella Lumini, «lo spirito che alimenta la vita della persona umana è lo spirito stesso di Dio, e a lui solo appartiene. Lo spirito è quindi il respiro, la vita stessa. Dio la dà e la riprende, per donarla nuovamente».

Quant’è difficile tenerlo a mente oggi, nell’epoca in cui – complice la fissazione sanitaria – la sopravvivenza e la conservazione fisica contano più di tutto, e lo spirito passa in secondo piano, sottomesso al bisogno immediato e materiale. «Se in primo luogo ci sono i nostri progetti, le nostre strutture e i nostri piani di riforma scadremo nel funzionalismo, nell’efficientismo, nell’orizzontalismo e non porteremo frutto», dice il Papa, ricollocandoci nella salvifica dimensione verticale.

Come sempre accade, tuttavia, il mondo vuole la sua parte. E dal discorso di Francesco i media hanno estrapolato un paio di concetti piuttosto problematici, che non mancheranno di essere branditi nella polemica politica. Ecco il primo: «È il tempo in cui testimoniare la misericordia più che inculcare regole e norme». Poi il secondo: «Oggi, se ascoltiamo lo Spirito, non ci concentreremo su conservatori e progressisti, tradizionalisti e innovatori, destra e sinistra, no: se i criteri sono questi, vuol dire che nella Chiesa si dimentica lo Spirito». All’interno di un più ampio ed elevato ragionamento, il senso di entrambi è piuttosto chiaro: non ci si deve perdere nelle faccende mondane. Bisogna mantenere l’unità e dare l’esempio, senza che le cose di quaggiù facciano dimenticare la cittadinanza celeste. Espunte dal contesto, tuttavia, le frasi di Bergoglio, specie la seconda, si prestano a un facile pervertimento (per altro già in corso).

Il fatto è che oggi, sul piano squisitamente politico, non dividersi fra conservatori e progressisti significa, nei fatti, uniformarsi al progressismo imperante. Se si difendono pubblicamente idee e valori tradizionali (e cristiani) si viene automaticamente bollati come pericolosi reazionari, sabotatori fascisti. Lo ha notato su queste pagine Giorgio Gandola: se gli uomini di Chiesa tengono il punto con convinzione – ad esempio opponendosi frontalmente al ddl Zan – vengono silenziati o accusati di essere «medievali», «bigotti», «ottusi». Se cercano una strada più morbida, come ha fatto, ad esempio, monsignor Gualtiero Bassetti, ecco che le loro dichiarazioni diventano automaticamente argomenti a sostegno delle tesi progressiste. Alla sinistra vanno benissimo gli appelli all’unità, purché si resi uniti nel sostenere il pensiero unico. Altrimenti si viene silenziati, o emarginati.

Vale per il dibattito sulla mordacchia arcobaleno, ma anche per l’annosa questione migratoria. Pure in quel caso è ammessa una sola «unità»: quella a favore della retorica «no border». Sono inattaccabili, a questo proposito, le parole del filosofo francese Pascal Bruckner (autore di Un colpevole quasi perfetto, in uscita nei prossimi giorni da Guanda) citate ieri da Giulio Meotti: «Un cristianesimo sentimentale è accompagnato in Europa da una perdita della fede: più la pietà si allontana, più si pratica, con il fervore degli sconsacrati, una carità tanto ardente quanto vertiginosa che elegge il migrante a santo che ci redimerà. Il Papa a Lampedusa ci ha detto che il nostro unico dovere nei suoi confronti è quello di essere ospiti cortesi. La doxa mediatico-umanitaria ci fa vedere solo i gesti di salvataggio, non gli interessa cosa accadrà dopo».

Il punto, quindi, non è che ci si debba dividere al fine di rimarcare, con egoismo, la validità delle proprie posizioni politiche. Il punto è che se non ci si uniforma alla «doxa mediatico umanitaria», cioè al pensiero unico, la divisione arriva in automatico. Si viene separati, espulsi dal consesso civile, discriminati in senso letterale. Non serve essere «tradizionalisti» o «di destra», basta essere cristiani. Basta, con le parole di San Giovanni Paolo II, rimarcare il diritto di restare nella propria patria. Basta opporsi alla cancellazione della differenza tra maschio e femmina.

Il Papa ricorda sempre che a causare divisione è il «principe di questo mondo», l’Avversario, maestro nella manipolazione del linguaggio. Non a caso, purtroppo, nel suo dominio mondano «uniti» significa «sottomessi». E allora, di sicuro, dovremmo restare compatti: ma dalla parte giusta. Se non si vuole «dimenticare lo Spirito», oggi, difendere la propria radicale differenza non è superbia: è necessità.

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