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Trump punta sui negoziati: dazi ridotti al 10% per 75 Paesi, ma stretta durissima sulla Cina 

Trump punta sui negoziati: dazi ridotti al 10% per 75 Paesi, ma stretta durissima sulla Cina 

Washington abbassa i dazi per favorire il dialogo con i partner, ma alza le tariffe contro la Cina al 125

E’ arrivata una svolta da Washington. Donald Trump ha annunciato una pausa tariffaria di 90 giorni per almeno 75 Paesi, pur introducendo un dazio generale del 10%. Ci sarò però una ragguardevole eccezione: quella della Cina. Il presidente americano ha infatti ulteriormente incrementato le tariffe a Pechino, portandole al 125%.

“Considerata la mancanza di rispetto dimostrata dalla Cina nei confronti dei mercati mondiali, aumento la tariffa doganale applicata alla Cina dagli Stati Uniti d’America al 125%, con effetto immediato. A un certo punto, auspicabilmente nel prossimo futuro, la Cina si renderà conto che i tempi in cui si continuava a derubare gli Stati Uniti e altri Paesi non sono più sostenibili né accettabili”, ha scritto il presidente americano su Truth. “Al contrario, dato che oltre 75 Paesi hanno convocato rappresentanti degli Stati Uniti, inclusi i Dipartimenti del Commercio, del Tesoro e dell’Ustr, per negoziare una soluzione alle questioni in discussione relative a commercio, barriere commerciali, tariffe doganali, manipolazione valutaria e tariffe non monetarie, e che questi Paesi, su mio forte suggerimento, non hanno in alcun modo reagito contro gli Stati Uniti, autorizzo una pausa di 90 giorni e una tariffa doganale reciproca sostanzialmente ridotta del 10% durante questo periodo, anch’essa con effetto immediato”, ha aggiunto.

Poco dopo l’annuncio di Trump, la Casa Bianca ha confermato che la “pausa” sarà mantenuta fino a che le negoziazioni con i vari Paesi saranno in corso. Ebbene, a che cosa è dovuta la mossa del presidente? Certamente potrebbero aver avuto un peso alcune divisioni in seno all’amministrazione. Se Peter Navarro è storicamente un fautore del protezionismo duro e puro, Elon Musk ha invece invocato politiche liberoscambiste, entrando anche in conflitto con lo stesso Navarro. Un’altra posizione è quella incarnata dal segretario al Tesoro, Scott Bessent, e dal consigliere economico, Stephen Miran: per entrambi, i dazi sono uno strumento di pressione negoziale. Una visione, questa, a cui Trump si è sempre mostrato piuttosto vicino.

Del resto, la svolta annunciata poco fa conferma che, per l’inquilino della Casa Bianca, le tariffe hanno una finalità di natura negoziale: almeno per quanto riguarda i principali partner commerciali e gli alleati. Discorso totalmente differente vale invece per la Cina, che Washington considera il proprio rivale sistemico. Sotto questo aspetto, Trump, attraverso la pressione dei dazi, non punta soltanto a contrastare gli squilibri commerciali. Punta anche, se non soprattutto, a creare delle fratture tra Pechino e i partner commerciali di Washington. La prima ondata di tariffe reciproche, adesso ridotte all’aliquota minima, potrebbe essere stato un colpo d’avvertimento con il preciso scopo di isolare la Repubblica popolare dal punto di vista economico e geopolitico. E’ questa la tesi, per esempio, di Bessent. “Questa è stata la sua strategia fin dall’inizio”, ha dichiarato il segretario al Tesoro, riferendosi a Trump. “Si potrebbe addirittura dire che ha spinto la Cina in una brutta posizione”, ha aggiunto. D’altronde, sembra proprio che la Casa Bianca stia puntando a portare avanti una politica di disaccoppiamento dell’economia statunitense da quella cinese.

Insomma, se è vero che si sta probabilmente registrando un dibattito in seno all’amministrazione americana, è altrettanto vero che la svolta dei dazi potrebbe avere un senso strategico. L’obiettivo principale per Trump resta quello di rilanciare la manifattura statunitense, ridurre il debito, arginare Pechino e preservare il predominio del dollaro. La Casa Bianca non ha bisogno di tariffe perenni. Vuole semmai rinegoziare radicalmente il sistema economico e di sicurezza di cui gli Stati Uniti sono stati il perno negli ultimi 70 anni. Il quadro è complesso e le sfide sono molteplici. La partita, attenzione, è solo all’inizio. Ma l’errore peggiore che si potrebbe fare è ritenere che Trump si stia muovendo a tentoni. 

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