In attesa dell’incontro di domani tra il Presidente americano Donald Trump e Zelensky alla Casa Bianca, gli Stati Uniti hanno iniziato nei giorni scorsi a mettere nel mirino le esportazioni energetiche della Russia. Nessuna tariffa o sanzione, per il momento, ma una forte pressione diplomatica volta a spingere alleati e rivali a interrompere gli acquisti di energia russa.
“L’India non comprerà petrolio russo”
Ieri notte il Presidente americano Donald Trump, durante un briefing con la stampa, ha sbrigativamente annunciato che il Primo ministro indiano Narendra Modi avrebbe assicurato che Nuova Delhi interromperà tutti gli acquisti di greggio russo.
«Non ero contento che l’India acquistasse petrolio, e lui [Modi] mi ha assicurato oggi che non acquisteranno petrolio dalla Russia», ha dichiarato Trump, «è un grande passo avanti. Ora faremo in modo che la Cina faccia lo stesso».
Sarebbe un cambiamento davvero trasformativo, finora l’India ha sempre rifiutato di obbedire alla richiesta americana di tagliare i ponti con l’energia russa. Richiesta che Trump aveva già effettuato con esito infruttuoso questa estate, aumentando del 25% le tariffe a Nuova Delhi come rappresaglia (per una somma totale del 50%).
Il condizionale rimane tuttavia d’obbligo, dall’India al momento non è arrivata nessuna conferma. D’altra parte, per Nuova Delhi questo vorrebbe dire riorientare un terzo dei suoi acquisti energetici, con l’India che ha importato dalla Russia petrolio greggio per un valore di 50,3 miliardi di dollari nell’anno fiscale 2025, oltre un terzo del totale delle sue spese per il greggio, pari a 143,1 miliardi di dollari.
Pressioni anche al Giappone
La campagna americana per isolare economicamente Mosca si estende anche agli alleati più fedeli. Mercoledì il Segretario al Tesoro Scott Bessent ha posto l’attenzione sul Giappone, che attualmente importa circa il 9% del proprio gas naturale liquefatto (gnl) dalla Russia, chiedendo esplicitamente l’interruzione di questi acquisti durante un incontro con il ministro delle Finanze giapponese Katsunobu Kato a Washington.
Bessent ha dichiarato su X che la questione delle importazioni energetiche russe è stata discussa come parte delle «importanti questioni relative al rapporto economico tra Stati Uniti e Giappone», sottolineando che l’amministrazione Trump si aspetta che Tokyo cessi di importare energia russa.
La risposta del Giappone è stata in “diplomatichese”. Il ministro Kato ha dichiarato che «il Giappone farà tutto il possibile, sulla base del principio fondamentale del coordinamento con i paesi del G7, per raggiungere la pace in Ucraina in modo equo», evitando però di fornire impegni concreti.
Per Tokyo la questione è particolarmente delicata. Il paese dipende fortemente dalle importazioni di GNL, e il progetto Sakhalin-2, da cui proviene la maggior parte del gas russo, è considerato essenziale per la sicurezza energetica nazionale. Aziende giapponesi detengono partecipazioni in questo progetto e, a differenza delle compagnie americane ed europee, hanno scelto di mantenere la loro presenza.
La Cina nel mirino
Ben più dure sono le minacce rivolte a Pechino. Questa volta non da Donald Trump, ma sempre dal Segretario Bessent ha annunciato che gli Stati Uniti potrebbero imporre una tariffa del 500% alla Cina se quest’ultima non interrompe gli acquisti di energia russa.
Il Segretario al Tesoro ha affermato che 85 senatori americani sarebbero pronti a concedere al Presidente Trump l’autorità necessaria per imporre dazi così elevati, criticando aspramente Pechino per aver «alimentato la macchina da guerra russa» attraverso l’acquisto del 60% dell’energia russa e del 90% di quella iraniana. L’implementazione è tuttavia subordinata a misure analoghe che dovranno essere applicate dal Regno Unito e dall’Unione Europea.
La Cina ha prontamente respinto le accuse americane, con il ministero degli Esteri che ha pubblicato una nota in cui afferma che gli Usa «praticano intimidazioni e minano e regole del commercio internazionale chiedendo alle potenze mondiali di cessare gli acquisti di petrolio russo», aggiungendo che «la Cina è pronta a rispondere». Da “guerra commerciale” a “guerra dell’energia” il passo è breve.
