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Spaventata dalla Cina, la Germania ora guarda all’India

Spaventata dalla Cina, la Germania ora guarda all’India

A rischio di colonizzazione industriale, Berlino sceglie una grande democrazia con ottime prospettive di crescita.


Con un repentino contropiede, la Germania ha accantonato la «bigamia eurasiatica» con l’Orso russo e il Dragone cinese. Al posto della Cina, ora c’è (soprattutto) l’India. Sul piano delle suggestioni storiche, non sembra di assistere a un recupero di quella Ostpolitik ante litteram, a cavallo tra diciannovesimo e ventesimo secolo, che fece tribolare gli inglesi, terrorizzati dall’abilità con cui la Germania di Otto von Bismarck giostrava tra lo zar di Russia e l’Impero ottomano, lo sguardo sempre più proiettato a Oriente. Casomai, la mente corre a prima ancora. Al 1498, più precisamente, quando la scoperta della Carreira da India, la Rotta per l’India del portoghese Vasco da Gama, frantumò gli equilibri asiatici di quel tempo. Fondaci veneziani, porti e angiporti e persino la Via della seta, quella mitica con le sue carovane provenienti dalla Cina, divennero di colpo obsoleti.

Sul piano contingente, per un verso Berlino si tiene oggi ben stretto lo storico rapporto con Mosca. Non possiamo nemmeno escludere che la stessa Mosca fosse divenuta insofferente per il rapporto tra Berlino e Pechino. Per l’altro verso, la Germania abbraccia l’India e formalizza l’adesione al club indo-pacifico, decisamente sinofobo, in cui il peso dell’India è fuori discussione. È un fatto che, dalla prospettiva di Berlino, il rapporto con la Cina fosse ormai incrinato fin dal 2016, anno della clamorosa acquisizione del produttore tedesco di robot per l’industria, Kuka, da parte del colosso cinese degli elettrodomestici Midea. Il Deep State, in Germania, è economico prima ancora che politico.

Ed è un fatto che il piano Cina 2025 sia sempre stato letto con enorme allarme dal gotha industriale tedesco, sempre più consapevole dell’obiettivo cinese di soppiantare la Germania come leader industriale. L’ultimo e ancora più ambizioso piano cinese – divenire entro il 2035 il leader globale negli standard per 5G, Internet of things e intelligenza artificiale – è stata la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso. Sotto questo profilo, l’abbraccio con l’India appare molto significativo.

L’India, infatti, ha sempre ribadito l’intenzione di sviluppare network 5G propri, in grado di competere con quelli cinesi. Si prenda il caso del Creso indiano, Mukesh Ambani, che ha annunciato un investimento da oltre 20 miliardi in un operatore mobile low cost chiamato Jio, capace di portare gli utenti internet da 342 milioni a oltre mezzo miliardo in appena due anni. Ebbene: a luglio di quest’anno Ambani ha messo in pista un network 5G che competerà con i cinesi di Huawei non solo in India, ma anche in Africa, Asia e America Latina. Tra i finanziatori di Jio figurano investitori del Golfo e degli Stati Uniti (tra cui Facebook, Google, Intel e Qualcomm).

Geopoliticamente, la scelta tedesca di puntare sull’Indo-Pacifico è una vera bomba. In un colpo solo, Berlino avvia il disingaggio dalla Cina, punta sull’India e tributa un simbolico omaggio al vero padre del club indo-pacifico come pivot geopolitico, il nipponico Shinzo Abe, da poco dimissionario. Fu proprio Abe, ormai molti anni fa, ad avere l’intuizione di un «club» di potenze democratiche, determinate a proteggere le rotte del commercio ma anche a promuovere comuni valori democratici. E non è un mistero che le relazioni economiche sino-europee manchino di reciprocità, e che all’interno dell’Ue vi siano crescenti preoccupazioni circa l’approccio assertivo della Cina all’estero, per esempio le violazioni degli impegni giuridici internazionali e le massicce violazioni dei diritti umani a Hong Kong e nello Xinjiang.

Preoccupazioni che trovano ampio spazio nelle Leitlinien zum Indo-Pazifik, il documento strategico con cui il governo tedesco sostanzia la propria adesione al club indo-pacifico. Pur scritto da diplomatici, il testo si caratterizza per l’estrema schiettezza. Forte l’accento sui diritti umani e sullo stato di diritto, come pure sull’accesso a informazioni non «addomesticate». Inevitabile leggervi una critica, particolarmente aspra, a Pechino, e un ammiccamento all’India, che è la più grande democrazia al mondo e che demograficamente non ha nemmeno raggiunto il suo plateau.

Si badi: virare verso l’India non è un impegno banale per la Germania. Berlino mette infatti in conto robusti investimenti di presidio militare delle arterie commerciali. E dire che appena 10 anni fa, l’allora presidente federale, Horst Kohler, dovette dimettersi perché aveva giustificato in pubblico l’invio di truppe tedesche per difendere interessi economici. Quanto all’Italia, abituata a barcamenarsi e fare ammuina ma pur sempre integrata nelle catene del valore dell’industria tedesca, non mancherà a sua volta di dirigere di nuovo la prua verso Nuova Dehli.

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