Vladimir Putin ha un piano sempre più mirato per il Medio Oriente: rafforzare l’influenza russa nell’area, ridimensionando gli Stati Uniti e recuperando un ruolo da potenza globale. Con tutti i mezzi, dalla vendita di armi alla tecnologia energetica. E, ora, anche con il vaccino Sputnik.
Vertice del G-20 in Argentina, novembre 2018. Vladimir Putin, in abito occidentale, sguardo sornione, incrocia Mohammed bin Salman. Il principe è in disparte, nella tradizionale dishdasha bianca, la testa coperta dalla kefiah a scacchi bianca e rossa. L’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi avvelena i rapporti con l’Occidente, i diplomatici europei e americani quasi lo evitano, e lui si guarda intorno irritato. Vede lo zar, i due si sorridono e si scambiano un «cinque» per la gioia dei fotografi. Un evento rivelatore. Da quel momento tutto diventa chiaro. Da quando è salito al potere nel maggio 2000, Putin ha cercato di ripristinare l’influenza russa nelle regioni perse negli anni Novanta.
I suoi sforzi sono più che mai visibili in Medio Oriente, dove ha tessuto una strategia volta a controbilanciare Washington. La Russia è una potenza la cui ideologia conservatrice, populista e anti-rivoluzionaria ha fascino tra le politiche reazionarie del Medio Oriente post-primavera araba. Dai progetti ai fatti, le importazioni dell’Arabia Saudita dalla Russia sono state di 1,44 miliardi di dollari nel 2019. E ora anche nel Libano prostrato dalla crisi economica il primo ministro Saad Hariri ha chiesto aiuto al Cremlino per la ricostruzione del porto di Beirut, devastato dall’esplosione dello scorso agosto, e per la realizzazione di centrali elettriche.
Putin vuole fare di Mosca il nuovo mediatore di quest’area, grazie anche alle manovre del suo abilissimo ministro degli Esteri Sergei Lavrov. Ma come ha detto un alto funzionario israeliano: «La politica russa in Medio Oriente è aggressiva, flessibile e consapevole dei suoi limiti». La Russia è l’unica potenza che dialoga con tutti gli attori della regione: Iran, Stati arabi sunniti, Israele, Turchia, Hezbollah e Siria. «Dopo la caduta del regime sovietico» conferma Theodore Karasik, analista di Gulf State Analytics a Panorama, «la Russia vuole riconquistare la grandezza perduta e il Medio Oriente è l’area del mondo che potrebbe aiutarla in questo riposizionamento globale».
Il primo risultato è arrivato nel settembre 2015, quando Mosca ha sorpreso il mondo con una campagna di bombardamenti in Siria che ha salvato il regime di Bashar al-Assad. Quell’intervento servì anche da dichiarazione ufficiale: la Russia è tornata nei giochi. La guerra siriana ha pure rilanciato gli affari di Mosca, in particolare del Gruppo Wagner di Yevgeny Prigozhin, businessman soprannominato «lo chef di Putin» per gli eventi con catering organizzati da lui a cui ha partecipato il presidente russo. Negli ultimi anni, si sono moltiplicate le segnalazioni di mercenari Wagner in Venezuela, Mozambico, Madagascar, Repubblica Centrafricana, Libia. La decisione di intervenire in Siria rifletteva anche la paura del Cremlino che le rivoluzioni potessero scatenare una rivolta antigovernativa nella stessa Russia.
Recentemente si è anche assistito a un riavvicinamento di Mosca con Ankara, dopo un primo scontro in Siria. Soprattutto quando Putin ha dato il sostegno del presidente turco Recep Tayyip Erdogan all’indomani del tentativo di colpo di Stato del luglio 2016. Da allora, i due presidenti si sono incontrati ripetutamente. A maggio 2017 a Sochi, la località turistica russa sul Mar Nero, Putin in abito – come la sua controparte – ha tuonato: «Siamo tornati alla normale partnership». I due leader in quell’occasione hanno suggellato il loro patto con una stretta la mano. A marzo 2020 Erdogan si è ancora incontrato con Putin a Mosca. Obiettivo: mediare un cessate il fuoco in Siria.
La collaborazione, va da sé, si è allargata. La Turchia ha accettato di acquistare missili russi S-400, con indignazione da parte dell’Alleanza atlantica. C’è da sottolineare che, fin dal maggio 2010, era stato firmato un accordo tra i due Paesi in base al quale una filiale di Rosatom, il colosso russo dell’energia nucleare, avrebbe costruito e gestito la centrale di Akkuyu, nella Turchia meridionale. Non solo: anche con il riaccendersi del conflitto Armenia-Azerbaigian sul Nagorno-Karabakh hanno evitato una escalation della tensione.
«Mosca è abile nelle negoziazioni» puntualizza Karasik «nell’energia, nella vendita di armi, nel commercio di oro e diamanti e ora anche nella distribuzione del vaccino Sputnik, una forte arma diplomatica». Anche in Egitto si assiste al ritorno all’era in cui il Cairo era l’alleato arabo più vicino a Mosca. Ottobre 2019: Putin co-presiede il Forum economico Russia-Africa a Sochi con l’omologo egiziano Abdel-Fattah al-Sisi. Lì il leader russo definisce l’Egitto un «pilastro per la sicurezza e la stabilità in Medio Oriente e Africa». Nel 2020, in effetti, le importazioni del Cairo dalla Russia sono state pari a 2,52 miliardi di dollari.
A febbraio 2019 Al-Sisi ha ratificato un accordo che consente ai russi di operare nella zona economica del Canale di Suez. Ad aprile dello stesso anno, ha approvato la costruzione della centrale nucleare di Dabaa, sviluppata ancora una volta da Rosatom. Mosca ha anche piazzato 24 caccia Su-35, nonostante le minacce degli Stati Uniti di sanzioni al regime di Al-Sisi. E il 21 aprile una nuova visita di Lavrov al Cairo ha suggellato l’impegno di Mosca nel Paese.
Putin, però, gioca su molti tavoli. E non ha trascurato di tessere relazioni con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Anche in tal caso certi passaggi diventano emblematici: Netanyahu è stato l’unico leader occidentale a partecipare alla parata del Giorno della Vittoria a Mosca nel maggio 2018. In piedi accanto a Putin, ha indossato il nastro arancione e nero di San Giorgio, un simbolo del sacrificio russo nella Seconda guerra mondiale. Il premier israeliano spera che lo zar metta freni ai suoi due arcinemici, Iran e Hezbollah.
I due politici si sono incontrati a gennaio 2020 a Mosca. In quell’occasione Netanyahu ha affermato: «Questa visita simboleggia un rinnovato vigore nelle nostre relazioni». I legami della Russia con il Paese sono rafforzati dai circa 1,2 milioni di israeliani le cui famiglie sono emigrate dall’ex Unione Sovietica. Da non dimenticare la collaborazione su un altro fronte: quello del ritrovamento dei resti della leggendaria spia israeliana Eli Cohen, infiltrato ai massimi livelli della leadership siriana negli anni Sessanta, e poi scoperto e impiccato.
Nelle ultime settimane, come accennato, la Russia ha mostrato forte interesse per gli affari libanesi. E ha cercato pure di coinvolgere Baghdad nella sua alleanza con Teheran, Damasco ed Hezbollah (peraltro, principalmente equipaggiato con armi russe). Abu Dhabi, nel 2019, ha acquistato poi 710 milioni di dollari di armi anticarro da Mosca. Dubai è inoltre una meta per uomini d’affari russi che vogliono riciclare denaro sospetto. Grossi interessi ci sono pure in Qatar. L’emiro Tamim bin Hamad Al-Thani ha visitato la capitale russa due volte, nel 2016 e 2018, e ha regolari telefonate con Putin. Nel 2019 gli ha stretto ancora la mano a Dushanbe, in Tagikistan. Nel 2013 il fondo sovrano qatarino aveva acquisito una partecipazione di 500 milioni di dollari nella banca statale russa Vtb. E nel 2018 il fondo è diventato uno dei principali azionisti della compagnia petrolifera Rosneft. Il Qatar controlla il 25% dell’operatore dell’aeroporto Pulkova di San Pietroburgo e di quello di Mosca Vnukovo.
Spostandosi sul fronte sciita, con l’escalation tra Stati Uniti e Iran, durante l’amministrazione Trump, Teheran si è trovata spinta in un’alleanza con Mosca, oltre che con Pechino. Ma come ha detto un diplomatico russo: «Un Iran filoamericano è molto più pericoloso per noi di un Iran nucleare». Ora anche la Cina sta espandendo la sua influenza. «Le due potenze a volte sono in competizione, altre adottato le stesse tattiche. Questo perché il centro geoeconomico del mondo si è spostato dall’area occidentale a quella dell’est e dell’Asia».
Infine, ci sono i Paesi del Nordafrica. Dal 2017 Rosneft fa affari con la National Oil Corporation libica e Putin sta guardando a Tobruk e altri porti per stringere accordi commerciali. Nel frattempo, Mosca appoggia il generale Khalifa Haftar nell’Est ricco di petrolio, anche con i mercenari della Wagner. La complicata partita libica è sempre aperta. E Tunisia e Marocco rappresentano una porta d’acceso privilegiata per l’Africa. Già, la Russia è tornata. E gli Stati Uniti dovranno trovare equilibri, a partire dal Medio Oriente, con un rivale ambizioso.