La ministra degli Esteri britannica promette ritorsioni alla folta (e ricchissima) comunità russa che fa affari e vive a Londra. Ma gli annunci sono distanti dai fatti. Intanto, però, Roman Abramovich ha lasciato la gestione del Chelsea.
Gli affari non potrebbero andare meglio in questo periodo alla Beauchamp Estate, una delle agenzie immobiliari londinesi specializzate nella compravendita di dimore extralusso. Il suo fondatore, Gary Horsham, racconta di aver piazzato 32 abitazioni da più di 15 milioni di sterline nel 2021, contro le 17 del 2020. Un boom rinfocolato proprio dal «bonus pandemia», che ha consentito ai miliardari esteri di convertire sempre più risorse in appartamenti e dimore a cinque stelle nella capitale.
I prezzi sono raddoppiati (a Mayfair come a Belgravia un appartamento di 100 mq può costare oltre 3 milioni di sterline) e gli acquisti di residenze dotate di ogni comfort continuano a crescere. A comprare sono cinesi e indiani, ma a guidare la classifica rimangono i russi, gli oligarchi di prima generazione e i loro figli, cresciuti nelle immacolate abitazioni di Hampstead e Belgravia, che ora non disdegnano gli spazi dei nuovi complessi residenziali ricavati nelle zona recuperata di Bayswater.
Il mercato immobiliare non pare risentire dei venti di guerra per l’invasione russa dell’Ucraina, anzi. «Londra è vista come un porto sicuro in un mondo sempre più incerto» ha spiegato il direttore delle vendite a The London Magazine. Certo, il suo punto di vista ora stride con il pacchetto di sanzioni durissime che il ministro degli Esteri Liz Truss ha minacciato per colpire le società russe che mirano a destabilizzare l’Ucraina e che sarebbero dovute scattare immediatamente nel caso di un attacco da parte di Mosca.
Una controffensiva destinata a colpire, in teoria, anche i presunti amici del presidente russo che hanno trasferito i patrimoni a Londra. È probabile però che, come in passato, anche queste misure non vadano oltre l’annuncio, visto che il governo di Boris Johnson ha appena ritardato l’approvazione della legge anticorruzione in grado di fermare i trasferimenti di denaro illecito.
Sono più di 500 i miliardari russi che vivono nel Regno Unito, per la gioia di tutti i governi susseguitisi dagli anni Novanta in poi e la disperazione degli attivisti, che invano cercano di limitarne la controversa influenza. Prima di venir bloccato dal Covid, Roman Borisovich (che da tempo si batte per una normativa in grado di scardinare il sistema di società off-shore dietro cui si celano immensi patrimoni) aveva organizzato persino un tour turistico denominato «Kleptocracy Tour», nel quale indicava i luoghi dove risiedono i paperoni amici di Mosca.
In tre decenni questi imprenditori del petrolio, del gas, dell’acciaio hanno consolidato legami politici e economici ormai difficili da rimuovere, anche perché troppo vantaggiosi per entrambe le parti. A Eaton Square hanno comprato casa così tanti di loro che è stata soprannominata «the Red square», la Piazza rossa. Un rapporto dell’Istituto reale per gli affari internazionali rivela come almeno un centinaio di proprietà a Londra e nel Sud-Ovest dell’Inghilterra siano state acquistate, tra il 1998 e il 2017, dalle élite di Azerbaigian, Kazakistan e Russia; e spiega come il fiacco sistema regolatorio britannico abbia contribuito a trasformare il Regno Unito nella «lavanderia d’Europa».
I rapporti che hanno accomunato la politica alle dinastie di petrolieri e miliardari sono state esposte nuovamente nel 2021, nei famosi Pandora Papers (la gigantesca inchiesta basata su milioni di documenti relativi a beni registrati off-shore) e nessun governo recente può vantarsi di essersi sottratto all’attrazione fatale esercitata dai russi.
Oleg Deripaska, principe dell’alluminio, titolare di una residenza da 30 milioni di sterline a Belgravia, durante il governo laburista di Tony Blair ebbe come ospiti sul suo yacht, contemporaneamente, lo spin doctor della comunicazione di Tony, Peter Mandelson e l’ex tesoriere di David Cameron, George Osborne, che allora era all’opposizione. E proprio Osborne, che ora lavora nel settore degli investimenti bancari, si è appena assicurato un contratto con la compagnia EN+: una delle maggiori aziende produttrici di alluminio del mondo, creata da Deripaska, bandito dagli Stati Uniti perché accusato di essere troppo vicino al Cremlino.
Non è l’unico del resto. Roman Abramovic, patron del Chelsea, è arrivato nel Paese con un visto per investitore e per anni ha operato indisturbato nella capitale fino a che, nel 2018, il rinnovo del suo passaporto subì un inaspettato ritardo. Dopo aver cancellato l’organizzazione del Russian Debutante Ball – un evento che vedeva affluire decine di giovani figlie dei supericchi nell’hotel di Grosvenor House, in fluttuanti ed eterei abiti da sera – il magnate russo lasciò il Paese, ma passata la tempesta e con la cittadinanza israeliana si è fatto rivedere a Londra lo scorso anno.
Anche Alexander Timerko, che ha fatto fortuna nell’industria delle armi, è sempre stato uno i grandi finanziatori del partito conservatore. Si ricorda ancora di quando, a una cena di gala organizzata dai Tories, acquistò per 90.000 sterline un orribile busto di bronzo che raffigurava David Cameron. In pubblico lo si è visto in compagnia di Boris Johnson e si stima abbia donato al partito più di un milione e 300.000 sterline.
Londra conta sul sostegno di questi oligarchi, che qui hanno cresciuto i loro figli, i quali a loro volta hanno creato dinastie di potere con interessi nei media, tecnologia avanzata e moda. E se sir Leonard Blavatnik, 57 anni, con il suo patrimonio stimato in 23 miliardi di sterline rimane, secondo la lista del Sunday Times, l’uomo più ricco del Regno, altri, ben più giovani, sono pronti a seguirlo.
Diversi dal pur nutritissimo sottobosco perfettamente descritto dal reality Meet the Russians, andato in onda qualche anno fa su Fox Uk (un branco di attrici da quattro soldi, uomini d’affari protetti da guardie del corpo tatuate, calciatori e modelle accomunati dal cattivo gusto nell’abbigliamento), questa nuova schiera di 30-40enni si è emancipata dal terreno di caccia dei genitori, estendendo le proprie mire sull’intera città.
Nel luglio 2020, l’aitante Evgeny Lebedev è stato nominato Lord nella Camera alta dei Comuni. Possiede lo storico quotidiano londinese Evening Standard e The Independent ed è conosciuto per le sue campagne filantropiche a favore di senzatetto e fauna selvatica. Nonostante abbia un profilo imprenditoriale molto diverso da quello del padre Alexander, ex spia del Kgb a Londra nel 1988, si sa che il suo ingresso in Parlamento ha creato non pochi malumori.
Complicato, per questi ereditieri, liberarsi dall’ombra lunga della Madre Russia, anche quando il loro accento è ormai difficilmente identificabile. Come per Anton Fedun, cittadino britannico, che parla cinque lingue e gestisce nella capitale la catena alberghiera Vintry&Mercer. I suoi hotel nella City con i pannelli solari sono quanto di più ecologico si possa avere.
Anche l’ex modella Elsina Khayrova, profilo elegante e abbigliamento discreto, si discosta dal cliché dei connazionali arricchiti che affollano le salette private dei ristoranti più esclusivi come Nobu, a Marylebone. Una breve carriera di successo alle spalle, ha acquistato in Surrey una magione da 22 milioni di sterline e 10 ne vale l’appartamento che possiede a due passi da Harrods.
Entrambi sono figli di genitori che hanno avuto e mantengono forti legami con il governo russo e, inevitabilmente, hanno contribuito alla fortuna dei pargoli. Impossibile quindi per gli eredi smentire la preoccupazione espressa dagli americani sull’inutilità di ogni sanzione imposta a Mosca per l’invasione dell’Ucraina, «perché tutto il denaro ormai abita dalle parti di Knightsbridge».
Sempre per lo stesso motivo però, ci sarebbe da stupirsi se il governo di Johnson fosse disposto a fare qualcosa di più che alzare la voce contro chi assume parte dei suoi connazionali e impone una spinta cruciale al motore economico del Paese. Questi russi, meglio tenerseli buoni.
