La ri-dislocazione di risorse russo-siriane nel Fezzan libico merita particolare attenzione. In Africa, i russi non hanno spostato gli “scarti”, ma hanno concentrato risorse – talora nuove – di buon livello. Questo riassetto nel Mediterraneo è avvenuto a seguito del crollo del regime di Assad e dell’evacuazione della base navale di Tartus in Siria, dopo che il Mar Nero era già stato reso una tonnara dai missili antinave e dai droni ucraini (con il decisivo supporto britannico).
Nel dibattito interno italiano, il riassetto russo è stato a lungo confinato a una platea ristretta, ma negli ultimi giorni qualcosa sta cambiando. A rompere il ghiaccio è stato il capo della Marina Militare, Ammiraglio Credendino, che in un’intervista ben calibrata al Corriere della Sera ha confermato non solo che i russi si trovano nel nostro vicino Mediterraneo, ma anche che sono piuttosto bellicosi.
Il Mediterraneo si conferma quindi un’area cruciale per Mosca, benché Putin si sia scoperto privo dell’accesso diretto ad acque calde per le sue navi da guerra. Queste ultime possono ora raggiungere il Mediterraneo solo partendo dall’Artico o dal Baltico, con un lungo periplo intorno all’Europa via Gibilterra. La mossa risponde a un riflesso strategico russo, che necessita di un nemico di rango – la Nato – per confermare il proprio status di superpotenza globale e scongiurare così l’umiliante declassamento a potenza regionale.
Le manovre russe descrivono la volontà di Mosca di non togliere il piede dall’acceleratore, operando un salto di qualità che li porta a diretto contatto con il fianco Sud della Nato e dell’Unione europea, e con le principali arterie commerciali globali. Per non parlare della concorrenza in Africa con la Cina, con la quale i rapporti non sono affatto idilliaci.
Sul fianco orientale europeo, infatti, il nuovo asse anglo-tedescoè impegnato a chiudere spazi politici e di influenza ai russi. Questa è la chiave per interpretare sia la vittoria del candidato filo-Ue – e caro a Berlino – alle recenti presidenziali romene, sia le piroette di Viktor Orbán. Proprio lui, il funambolico leader ungherese, è stato tra i primi a fiutare la nuova aria che tira. Dichiarando che «la Russia capisce solo il linguaggio della forza», Orbán ha segnato una svolta retorica significativa per un premier storicamente vicino a Mosca.
Torniamo a bomba sul fianco Sud. Giorgia Meloni ha incontrato a Roma giovedì scorso il Segretario generale della Nato, Marc Rutte, e sui taccuini dei suoi consiglieri militari e diplomatici è ovviamente segnato il vertice Nato di fine mese. È evidente che l’Italia, che con il Piano Mattei ricerca una profondità strategica sul continente africano e ha storici legami in Libia, abbia un’attenzione particolare rispetto alle manovre russe. A tenere banco non è solo l’aumento di spesa per la difesa, finora assicurato a invarianza di saldi di finanza pubblica, ma anche la natura dell’insidia russa e i rimedi per contenerla. Preoccupano non solo i missili russi installati nel Fezzan, ma anche i profondi rapporti che militari e intelligence russa intrattengono sia con l’Islam sciita sia con l’Islam politico.
Si può sostenere che i missili russi puntati dalla Libia sulle capitali europee abbiano suonato la sveglia a chi considerava il conflitto russo-ucraino una vicenda geograficamente remota, di interesse marginale per i Paesi del Mediterraneo. Sarebbe un errore: i primi a non operare questa distinzione sono proprio i russi. Il proverbiale convitato di pietra è il negoziato Stati Uniti-Russia, che difficilmente si limita al solo dossier ucraino, ma abbraccia, proprio in ragione del raggio di azione molto ampio di Mosca, anche il Mediterraneo allargato. È in questo quadro di sospensione attiva che si gioca il risiko dell’Italia.
Per un verso, Roma sta dando impulso al rafforzamento del bilaterale italo-turco, sia per migliorare la proiezione economica in Asia Centrale sia per puntellare il Nord Africa. Per un altro verso, c’è forte attenzione al Golfo, dove i rapporti tra sauditi ed emiratini da una parte, e qatarini dall’altra, mostrano una relativa calma rispetto al più burrascoso passato.