Ne arrivano gruppi sempre numerosi alla frontiera tra Lituania e Bielorussia. Nello stile di Recep Tayyip Erdogan, il regime di Alexander Lukashenko li utilizza per far pressione, attraverso la piccola Repubblica baltica, sull’Unione europea. Intanto, tra Marocco e Spagna…
Le immagini in bianco e nero filmate dall’elicottero di Frontex, l’agenzia europea per il controllo dei confini, non lasciano dubbi. Una colonna di migranti in marcia sulla strada sterrata verso la frontiera con la Lituania, più che intercettata, viene «scortata» da una camionetta bielorussa di tipo militare. Il personale a bordo sembra rendersi conto dell’elicottero e fa velocemente retromarcia per allontanarsi dalla scena imbarazzante.
«I migranti che cercano di passare illegalmente in Lituania sono chiaramente assistiti da personale bielorusso» denuncia il 3 agosto, Agné Bilotaité, ministro dell’Interno di Vilnius. Si tratta di un episodio della «guerra ibrida» all’immigrazione lanciata dal regime di Alexander Lukashenko, come rappresaglia alle sanzioni dell’Unione europea contro la Bielorussia, che lo accusa di dittatura. L’arma dei migranti, al posto di truppe e cannoni, è stata utilizzata dalla Turchia, per ricattare la Ue. Il Marocco ha fatto lo stesso con l’enclave spagnola di Ceuta e il leader dei Fratelli musulmani tunisini paventa lo sbarco di mezzo milione di persone in Italia se scoppiasse la guerra civile.
«L’impiego della pressione migratoria come tattica politica è ormai un fattore globale. Dal Nord Africa, al Medio Oriente alla Turchia fino alla rotta balcanica. Gli Stati del vicinato europeo sanno che lasciando operare i trafficanti di uomini ottengono tre vantaggi: risolvono un problema interno, generano profitti e pongono sotto ricatto l’Europa» spiega Paolo Quercia, docente di Studi strategici.
L’ultimo conflitto ibrido sulla pelle dei migranti è appunto scoppiato fra Bielorussia e Lituania, importante baluardo Nato. Lukashenko, padre-padrone di Minsk, l’ha pure annunciato rivolgendosi all’Unione europea: «Abbiamo fermato droga e migranti. Adesso ve ne occupate voi». Il 24 giugno scorso erano appena scattate le ultime sanzioni europee contro la Bielorussia per la repressione dell’opposizione. Subito dopo il numero dei migranti che passavano il confine con la Lituania, Paese Ue, è aumentato a dismisura. Lo scorso anno erano stati appena 81, ma a fine luglio sono già 4.026. Per la piccola nazione ex sovietica è una totale emergenza.
«Non è una convenzionale crisi migratoria, ma una guerra ibrida contro la stabilità dell’Unione europea, della Nato e in particolare degli Stati baltici» ha dichiarato senza peli sulla lingua Arvydas Anusauskas, ministro della Difesa lituano. Per di più la Repubblica baltica ospita la leader dell’opposizione bielorussa, Svetlana Tikhanovskaya.
La Bielorussia ha concesso a 73 nazionalità un visto «facile» che permette ai migranti di arrivare entro i suoi confini direttamente in aereo. I voli più utilizzati sono quelli da Baghdad, soprattutto per gli iracheni e curdi, la maggioranza dei migranti che entrano illegalmente in Lituania e da Istanbul dove si imbarcano anche gli africani.
I prezzi dei biglietti dall’Iraq sono bassi, 550-700 dollari, e Centrkurort, un’agenzia di viaggi controllata dallo Stato bielorusso, organizza pacchetti di soggiorno «turistici». Alcune chat dei trafficanti di uomini forniscono tutte le istruzioni con tanto di mappe da Google, tappe a Minsk e passaggi alla frontiera lituana. Il governo di Vilnius sta innalzando una barriera di filo spinato e Frontex ha mandato un centinaio di uomini in rinforzo. Dal 3 agosto esercito e polizia hanno dato il via ai respingimenti dei migranti verso la Bielorussia. E ora, per non riprenderseli, Minsk sigilla i confini. Il generale in ausiliaria, Marco Bertolini, non ha dubbi: «Il flusso migratorio è il nuovo strumento di pressione nell’arte della guerra. Lo utilizzano contro un Paese e costringono i “buoni” a reagire come i “cattivi”, cioè innalzando dei muri».
Dalla Bielorussia al Marocco la modalità ricattatoria è la stessa. Il 17 maggio, in sole 48 ore, il Marocco ha lasciato via libera a 12 mila migranti che hanno invaso l’enclave spagnola di Ceuta. La scintilla della guerra ibrida ne riguarda una storica, anche se congelato nel Sahara occidentale, che il Marocco considera suo, ma rivendicato dal Fronte del Polisario. Il suo leader, Brahim Ghali, è stato ricoverato lo scorso aprile in un ospedale spagnolo per il Covid. «Hanno trasformato i migranti in rappresaglia» secondo José Ignacio Torreblanca, docente all’Università di Madrid.
A minacciare qualcosa di analogo ci ha pensato Rashid Ghannushi, capo del partito islamico Ennahda, in Tunisia. Il 25 luglio il presidente Kaïs Saïed ha congelato il Parlamento e silurato il primo ministro per risollevare il Paese dal baratro della crisi economica, politica e sanitaria. Per la versione tunisina dei Fratelli musulmani è «un colpo di Stato», che potrebbe portare a una nuova dittatura. «Nella settimana seguente la defenestrazione del regime di Ben Ali, nel gennaio 2011, più di 30.000 tunisini s’imbarcarono con gli scafisti per l’Italia. Oggi potrebbero essere oltre mezzo milione. A Roma sanno bene che siamo tutti sulla stessa barca» ha dichiarato Ghannushi in un’intervista al Corriere della sera.
Il veterano di questa guerra ibrida è ovviamente il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan. «Con grande disinvoltura ha brandito i migranti per affermare le proprie mire politiche» sottolinea l’ex capo di stato maggiore della Difesa, Vincenzo Camporini. «Attraverso di loro ricattato l’Unione europea e ha fatto pressione sulla Grecia». Il nuovo «assegno» che Bruxelles staccherà ad Ankara per tamponare gli arrivi dalla rotta balcanica – dopo il primo da 6 miliardi di euro – sarà di ulteriori 3,5 miliardi euro fino al 2024.
Oltre ai 3,5 milioni di profughi, soprattutto siriani, in Turchia aumenta il flusso di afghani dopo il ritiro della Nato dal loro Paese. Anche mille al giorno dalla frontiera con l’Iran di Van. Per Erdogan l’arma dei migranti è però a doppio taglio. Sui social network impazza l’hashtag «non vogliamo più rifugiati». Nel febbraio di un anno fa i corpi speciali turchi avevano ingaggiato una «battaglia» con i greci sul confine terrestre di Kastanies spingendo migliaia di migranti oltre frontiera. Oggi Atene respinge i gommoni che arrivano dalle coste turche rimandandoli indietro anche con la forza.
«Trovo aberrante lo sfruttamento da parte di alcuni Paesi della vita e della sofferenza dei migranti – che spesso sono alla ricerca di protezione umanitaria – per fini politici o per alimentare controversie internazionali. Si tratta di una perversione che, nella nostra cultura europea, è rifiutata sia dalle Ong sia dalle istituzioni» commenta Nino Sergi, presidente onorario di Intersos.
Le Ong del mare sono «macchine da guerra» umanitarie, che però utilizzano a loro volta i salvataggi per esercitare un’influenza politica. Il 31 luglio era pronta a salpare l’ultima nave, la ResQ People ovvero la vecchia Alan Kurdi degli estremisti dell’accoglienza tedeschi di Sea eye messa a nuovo. Il costo dell’imbarcazione è di 350.000 euro, raccolti grazie a 3.000 donatori, compreso un importante contributo dell’Unione buddista italiana. Tre mesi di missione e un anno di progetto richiedono 2,5 milioni di euro.
Gherardo Colombo, ex pm di Mani pulite, è il testimonial d’eccezione e presidente onorario di ResQ, onlus italiana «della società civile» fondata a fine 2019. L’ultimo aiuto di peso arriva dalla Federazione internazionale della Croce rossa, presieduta dall’italiano Francesco Rocca. Medici e personale sanitario saliranno su Ocean Viking, la nave dell’Ong francese Sos Méditerranée, che ai primi di agosto attendeva di sbarcare 555 migranti in Italia. Con la Croce rossa a bordo i nostri porti saranno ancora più «aperti».
