Home » Attualità » Esteri » Il golpe in Mali minaccia la Francia

Il golpe in Mali minaccia la Francia

Il golpe in Mali minaccia la Francia

Il presidente francese Emmanuel Macron è sulla graticola: il Mali è un paese con cui ha legami storici e strategici. Da 7 anni, 5 mila militari francesi sono distaccati nel paese. Ora sono accusati di volersi impadronire delle risorse e di avere legami con gruppi armati touareg separatisti.


Nella notte il presidente maliano Ibrahim Boubacar Keïta, al potere dal 2013 ed eletto per un secondo mandato due anni fa, e il suo primo ministro, Boubou Cissè, arrestati ieri nel tardo pomeriggio nella capitale Bamako da alcuni militari in rivolta già dal mattino, hanno annunciato le dimissioni e lo scioglimento di parlamento e governo. «Non voglio che venga versato sangue per restare al potere», ha detto in un breve discorso trasmesso dalla televisione di Stato il presidente Keïta. Il portavoce dei ribelli ha dichiarato che l’arresto del presidente e del premier «non è un golpe, ma un’insurrezione popolare».

All’origine delle insofferenze dei militari verso il presidente e il governo c’è la situazione economica del Paese (secondo dati della Banca Mondiale, più del 40 per cento della popolazione si trova in condizione di estrema povertà) che ha causato il mancato pagamento degli stipendi all’esercito e l’insoddisfazione per le continue tensioni con le fazioni jihadiste in alcune aree del Paese, in particolare quelle confinanti con Niger e Burkina Faso. Secondo la BBC alla guida del colpo di Stato ci sarebbe il colonnello Malick Diaw, il secondo più alto in carica tra quelli che erano presenti nel campo di Kati, e il generale Sadio Camara, che hanno avviato il loro tentativo di golpe dal campo di Kati, lo stesso da cui era iniziato il colpo di Stato che nel 2012 aveva portato alla destituzione dell’allora presidente Amadou Toumani Touré, in carica da un decennio.

L’ammutinamento e il successivo colpo di mano sono stati denunciati dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che ha convocato per oggi una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza. Alle condanne si è unita l’Unione europea, rifiutando «ogni cambiamento anti-costituzionale» che «non può essere in nessun caso una risposta alla profonda crisi socio-politica che sta spaccando il Paese», come ha scritto su Twitter l’Alto rappresentante per la politica estera europea Josep Borrell. Segue «con preoccupazione» la situazione anche la Comunità degli Stati dell’Africa occidentale, mediatrice in Mali.

Ma il grande protagonista occidentale nel Paese, fondamentale per la sicurezza della Regione sempre più permeata da elementi jihadisti, è la Francia di Macron, che da sette anni ha 5.000 militari nel Paese, oltre a 13.000 caschi blu. Come raccontava qualche settimana fa il giornale francese Mediapart, nelle proteste degli ultimi mesi in Mali Parigi era nel mirino, accusata «di aver stretto un patto con gruppi armati tuareg separatisti con l’obiettivo di smembrare» il Paese «e impadronirsi delle sue risorse, estromettendo al tempo stesso le potenze rivali, tra cui la Cina».

Ieri il presidente francese si è messo in contatto con tutti i capi di Stato della regione e ha espresso «il suo pieno sostegno agli sforzi di mediazione in corso da parte degli Stati dell’Africa occidentale» condannando il tentativo di golpe. Così come l’ambasciata italiana in Senegal (che gestisce anche il dossier Mali visto che l’Italia non ha un’ambasciata a Bamako), anche quella francese in Mali ha invitato i connazionali a rimanere a casa.

Va ricordato che poco più di un mese fa è stata lanciata la task force Takuba, raggruppamento di forze speciali europee fortemente voluto dalla Francia in cooperazione con il contingente francese dell’operazione Barkhane. Una task force a cui dovrebbe partecipare anche l’Italia con mezzi militari e 200 uomini, visto che tra le nuove missioni all’estero è prevista anche la partecipazione di personale militare italiano all’iniziativa. L’obiettivo primario della missione «è contrastare la minaccia terroristica nel Sahel», si legge nel decreto, mediante lo svolgimento «di attività di consulenza, assistenza, addestramento» a supporto delle forze armate e speciali locali, con l’intento di aiutarle a potenziare le loro capacità di contrasto al terrorismo, mantenimento della sicurezza; «e fornire gli enabler per la condotta di operazioni di contrasto al terrorismo, in particolare mezzi elicotteristici e personale per l’evacuazione medica». «Il dispositivo nazionale prevede l’impiego di assetti aeroterrestri a supporto delle operazioni», fra cui 20 mezzi e materiali terrestri e otto mezzi aerei, per un numero massimo di 200 unità di personale (la consistenza media è è di 87).

Ecco perché, dopo che i colloqui intensi tra i ministri di Esteri e Difesa di Italia e Francia hanno portato alla partecipazione italiana in Sahel, Roma non può stare a guardare davanti al colpo di Stato in corso in Mali. Si rischia l’instabilità della Regione, che potrebbe ricadere sulla aree a Nord, a partire dall’Algeria continuando per Tunisia e Libia, Paese già in difficoltà e fondamentali per il traffico dei migranti e l’approvvigionamento energetico.

© Riproduzione Riservata