L’amministrazione del presidente statunitense Donald Trump starebbe preparando un passaggio chiave nella gestione del dopo-guerra a Gaza: la nomina di un generale americano a due stelle alla guida della nascente Forza internazionale di stabilizzazione (ISF). Secondo quanto riportato da Axios e rilanciato dal Times of Israel, la decisione sarebbe stata comunicata direttamente dall’ambasciatore statunitense alle Nazioni Unite Mike Waltz al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, nel corso della sua visita in Israele questa settimana. Il nome dell’ufficiale non è stato reso pubblico, ma – secondo una fonte israeliana citata dal sito – Waltz avrebbe sottolineato di conoscerlo personalmente, descrivendolo come «una persona molto seria». La scelta segnerebbe un cambio di passo rilevante: gli Stati Uniti assumerebbero formalmente il comando della forza di sicurezza internazionale destinata a operare nella Striscia, pur ribadendo che non ci saranno truppe americane dispiegate sul terreno a Gaza. Il quadro giuridico dell’operazione è stato definito il 17 novembre, quando una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha autorizzato il Board of Peace e i Paesi partner a istituire una Forza internazionale di stabilizzazione temporanea. Secondo il piano, le Forze di difesa israeliane (IDF) – che oggi controllano circa il 53% del territorio di Gaza – dovrebbero ritirarsi gradualmente man mano che l’ISF verrà dispiegata.
Sul piano politico, tuttavia, restano molte incognite. Mercoledì Trump ha dichiarato che l’annuncio ufficiale dei membri del Consiglio per la pace, l’organismo che dovrebbe sovrintendere alla gestione postbellica di Gaza, arriverà solo all’inizio del prossimo anno, smentendo le indiscrezioni che parlavano di una comunicazione imminente. La settimana precedente, funzionari statunitensi avevano lasciato intendere che la transizione alla seconda fase del piano di pace in 20 punti per Gaza sarebbe stata annunciata entro Natale. Ma lo stesso Trump ha frenato, precisando che il Consiglio sarà presieduto da lui e composto da diversi leader mondiali che avrebbero manifestato interesse, senza che finora nessuno si sia esposto pubblicamente. Di fatto, il Consiglio avrebbe un ruolo soprattutto simbolico. La gestione concreta dovrebbe essere affidata a un comitato esecutivo ristretto, composto da figure di primo piano dell’entourage trumpiano come Jared Kushner e Steve Witkoff, affiancati dall’ex premier britannico Tony Blair e dall’ex inviato ONU per il Medio Oriente Nikolay Mladenov. Questo organismo sarebbe incaricato di supervisionare il futuro governo tecnocratico palestinese, che Washington intende presentare come pilastro della fase post-conflitto.
Il nodo più delicato resta però quello del disarmo di Hamas. Al termine della sua visita in Israele, Waltz ha ribadito che Washington si aspetta che l’ISF assolva pienamente al proprio mandato. «La forza di stabilizzazione autorizzata dalla risoluzione del Consiglio di Sicurezza è chiamata a disarmare Hamas, con tutti i mezzi necessari», ha dichiarato in un’intervista a Channel 12. Un passaggio che rischia di allontanare quei Paesi ancora indecisi se aderire o meno alla missione. «Il presidente Trump è stato chiaro: Hamas si disarmerà, in un modo o nell’altro. Nel modo più facile o nel modo più difficile», ha aggiunto Waltz, confermando che le regole di ingaggio sono ancora oggetto di negoziato. Tra i possibili contributori è stato citato pubblicamente l’Azerbaigian, ma da Baku è arrivata una smentita prudente: un funzionario azero ha spiegato che il Paese prenderebbe in considerazione solo missioni di peacekeeping, non operazioni di peace enforcement, cioè di imposizione della pace. Una linea condivisa anche da diversi Stati arabi e musulmani, che considerano il disarmo forzato di Hamas come una missione ad alto rischio politico e militare. A complicare ulteriormente il quadro c’è il veto israeliano al coinvolgimento della Turchia nelle forze di sicurezza. Alcuni potenziali partecipanti ritengono Ankara una presenza necessaria, sia per i suoi canali con Hamas sia per il suo ruolo di mediatore e garante del cessate il fuoco. Waltz ha ammesso che Washington sta cercando di far evolvere la posizione israeliana, assicurando che le discussioni sul punto sono «ancora in corso». La partita sulla stabilizzazione di Gaza, dunque, è tutt’altro che chiusa. La possibile nomina di un generale americano al comando dell’ISF rappresenta un segnale politico forte, ma resta da capire se gli Stati Uniti riusciranno a costruire una coalizione credibile, disposta ad assumersi il costo – anche militare – di una missione che va ben oltre il semplice mantenimento della pace.
