Rischia di tornare alta la tensione tra Washington e Ankara. Secondo quanto riferito da Reuters, gli Stati Uniti sarebbero in procinto di comminare sanzioni alla Turchia, per il suo acquisto del sistema missilistico russo S-400. Nella fattispecie, i provvedimenti punitivi rientrerebbero nel Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act del 2017 e dovrebbero riguardare la Presidency of Defense Industries (guidata da Ismail Demir).
Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha dichiarato venerdì che le sanzioni costituiscano una mancanza di rispetto per un alleato della Nato, aggiungendo di voler attendere l’ascesa al potere di Joe Biden per capire come si evolveranno le relazioni tra Washington e Ankara. Nel frattempo, l’indiscrezione sulle imminenti sanzioni statunitensi ha già prodotto delle ripercussioni economiche, con la lira turca che – nelle scorse ore – è scesa di circa il 2%.
La diatriba sui missili russi non è nuova e, anzi, si accompagna polemicamente dal 2017. Se la Nato teme un eccessivo avvicinamento di Ankara a Mosca, svariati settori del mondo politico americano hanno invocato da tempo la linea dura per mettere i bastoni tra le ruote a questa convergenza russo-turca. Donald Trump, dal canto suo, aveva finora cercato di mantenere una via mediana, evitando un approccio troppo muscolare. Dopo la forte crisi esplosa nell’estate del 2018 tra Washington e Ankara sulla questione del pastore Andrew Brunson, le relazioni tra i due Stati erano progressivamente migliorate. Nonostante il permanere di significativi attriti (Erdogan non ha mai per esempio digerito la politica filo-israeliana dell’attuale presidente americano), Turchia e Stati Uniti hanno avuto modo di collaborare l’anno scorso (insieme alla Russia) sul complicato dossier siriano. Senza poi dimenticare che Trump, nel novembre 2019, auspicò di stringere un accordo commerciale con Ankara dal valore complessivo di 100 miliardi di dollari. È probabilmente per queste ragioni che il presidente americano ha ultimamente evitato la linea dura nei confronti del Sultano. Una linea dura che tuttavia l’inquilino della Casa Bianca sembrerebbe pronto a rispolverare. Per quale ragione?
Secondo Foreign Policy, alla base vi sarebbe il test del sistema missilistico russo attuato a ottobre scorso dalla Turchia: un test che era stato duramente criticato dal Pentagono. Reuters ha invece riportato che, anche qualora Trump non agisse individualmente, le sanzioni verrebbero comunque contemplate dal National Defense Authorization Act in via di approvazione: in tal senso, il presidente americano sarebbe intenzionato a “spacchettare” la questione, per evitare di dare a intendere che la sua sia una mossa forzata. D’altronde, come notano in molti, i provvedimenti punitivi andrebbero a discapito del settore turco della Difesa, ma – almeno per ora – eviterebbero di prendere di mira direttamente Erdogan. Segno quindi che Trump, oltre al bastone, vorrebbe continuare ad usare anche la carota. Ma quali sono i fronti su cui questa mossa può avere maggiore impatto?
In primo luogo, non è al momento chiaro se le imminenti sanzioni contribuiranno ad allontanare la Turchia dalla Russia o se – al contrario – cementeranno il loro rapporto: un rapporto che, negli ultimi anni, è stato improntato a una progressiva convergenza (nonostante non si sia sempre rivelato idilliaco). Ed è proprio dal tipo di effetto che si produrrà sotto questo punto di vista che sarà possibile comprendere eventuali ripercussioni sulla spinosa situazione del Nagorno-Karabakh. Sul dossier, Erdogan e Vladimir Putin sembrano aver trovato – con il recente cessate il fuoco – un punto di equilibrio: un punto di equilibrio che rischia tuttavia di rivelarsi precario. Il Sultano, da Baku, ha continuato ad usare toni minacciosi, mentre il Cremlino ha fatto sapere che tollererà esclusivamente la presenza delle proprie forze di pace nella regione. Il ruolo delle sanzioni statunitensi su Ankara costituisce dunque un’incognita nei rapporti tra Turchia e Russia. Tutto questo, mentre un’ulteriore incognita sarà dettata dall’atteggiamento dell’amministrazione americana entrante, che dovrà presto chiare dove vorrà collocarsi nell’ambito degli equilibri di potere tra Putin ed Erdogan. È a questi numerosi (e aggrovigliati) punti interrogativi che risulta appeso il destino del Nagorno-Karabakh.
In secondo luogo, guardiamo alla tempistica delle sanzioni. È pur vero che alla base di questa scelta possa esserci il National Defense Authorization Act. Ma non dimentichiamoci della recente svolta del Marocco che – tramite la mediazione americana – ha normalizzato le proprie relazioni diplomatiche con Israele: un risultato che la Casa Bianca ha ottenuto, anche garantendo alla monarchia nordafricana la sovranità sul Sahara Occidentale. Ora, non dobbiamo trascurare che gli accordi di Abramo siano duramente osteggiati proprio dalla Turchia: una Turchia che, negli ultimissimi anni, si è avvicinata – pur con fare altalenante – all’Iran. In tal senso, è improbabile che la normalizzazione dei rapporti tra Israele e Marocco possa essere stata granché gradita dalle parti di Ankara.
