L’escalation della tensione tra Pechino e Taipei si aggrava, con «giochi di guerra» ormai all’ordine del giorno. L’obiettivo del gigante asiatico è quello di riportare finalmente sotto il suo controllo l’isola ribelle, pedina strategica nell’area e uno dei centri nevralgici mondiali della tecnologia.
Il colosso grigio dei cieli, con la stella rossa sulla carlinga, entra nella zona di identificazione aerea di Taiwan, che attiva le difese missilistiche e alza in volo i caccia intercettori. Il bombardiere cinese H-6, copiato dai russi, può sganciare ordigni nucleari. Il 9 novembre un dettagliato rapporto del ministero della Difesa di Taipei denuncia «554 intrusioni di aerei da combattimento cinesi dal settembre 2020 allo scorso agosto». E lancia l’allarme sui piani di Pechino di «blocco totale» di Taiwan incluse «linee aeree, marittime e di comunicazione».
È la prima mossa per la conquista dell’isola ribelle dal 1949, quando il generale Chiang Kai-shek, sconfitto da Mao si rifugiò a Taiwan, che Pechino considera parte integrante della madrepatria. In ottobre un editoriale del Global Times, il giornale in lingua inglese rivolto al mondo e controllato dal Partito comunista cinese, scriveva che «la guerra potrebbe scatenarsi in qualsiasi momento». Le manovre nello stretto di mare che separa l’isola dalla Cina «non sono più limitate a dichiarare la sovranità, ma in preparazione della mobilitazione per attaccare Taiwan». Le truppe sono pronte «a combattere per liberare l’isola».
«Taiwan resisterebbe a oltranza, ma la Cina dovrebbe distruggerla. Non può permetterselo di fronte alla comunità internazionale» dice a Panorama l’ex generale Carlo Jean. L’analista che ha tracciato quattro scenari, dal blocco navale allo sbarco anfibio, è convinto che «la «strategia di resistenza “a istrice” di Taipei mira a guadagnare tempo per permettere agli Usa di intervenire, ma se così fosse sarebbe impossibile limitare l’escalation. Il conflitto coinvolgerebbe il mondo».
Il rapporto annuale del ministero della Difesa della «Repubblica di Cina», nome ufficiale di Taiwan che conta 24 milioni di abitanti, indica la minaccia più «grave». Le forze armate di Pechino «sono in grado di imporre blocchi ai principali snodi portuali e aeroportuali tagliando le linee di comunicazione aeree e marittime e interrompendo quelle di rifornimento militare». Il generale Jean spiega che in contemporanea «potrebbero essere infiltrati sabotatori per eliminare i leader indipendentisti e destabilizzare l’isola».
Enrico Fardella, direttore del progetto ChinaMed.it che analizza il ruolo della Cina nel Mediterraneo, pensa non ci sarà un’invasione diretta: «Le isole di Matsu, un arcipelago a nove chilometri dalle coste del Fujien dove vivono 13.500 taiwanesi, e Quemoy, sei chilometri dalle coste cinesi e 140.000 abitanti, sono i bersagli che il governo di Pechino ha storicamente puntato nelle precedenti crisi, anche perché non rientravano nel trattato di difesa reciproca tra Stati Uniti e Taiwan, firmato nel 1954».
La preparazione dell’escalation è affidata alla tattica della «zona grigia», una continua pressione soprattutto con intrusioni aeree che attivano le difese di Taipei. Ai primi di ottobre, solo nel fine settimana della giornata nazionale della Repubblica popolare cinese, sono stati fatti alzare in volo verso Taiwan 149 aerei da combattimento. I piani si basano anche su «la guerra informatica e una campagna di propaganda per isolare Taiwan e costringerla ad accettare le condizioni della Cina senza un conflitto aperto».
Il rapporto rivela che i cinesi «stanno rafforzando le brigate di assalto anfibie e aviotrasportate». Un programma che prevede una flotta «potenziata da navi portacontainer commerciali» per mobilitare un migliaio di unità nei piani d’invasione. La Marina cinese impiegherà le portaerei per prevenire l’intervento della VII flotta Usa. Per ora ne ha due e la più moderna, nome in codice Type 003, dovrebbe essere varata nei prossimi mesi. Nel deserto interno del Taklamakan, intanto, i satelliti hanno scoperto la copia perfetta, a grandezza reale, di una portaerei americana e due cacciatorpedinieri, che saranno utilizzati da bersaglio per testare i missili cinesi.
Non solo: entro il 2030 Pechino vuole quadruplicare il suo arsenale nucleare che ora conta 350 testate rispetto alle 5.500 americane. «Non possiamo voltarci dall’altra parte. La Cina sta conducendo campagne di cyber attacchi, interferenze e propaganda in tutto il mondo occidentale, inclusa l’Italia» mette in guardia Marco Dreosto, europarlamentare della Lega. È l’unico italiano nella delegazione di Strasburgo che ha visitato Taiwan, le scorse settimane: «L’Occidente deve rimanere unito per la difesa di Taiwan. Se da una parte c’è la democrazia e la libertà e dall’altra il Partito comunista cinese, l’Europa e l’Italia sanno dove stare».
La prima missione dell’Europarlamento nell’isola ribelle con incontri ai massimi livelli come la presidente Tsai Ing-wen e il premier Su Tseng-chang ha scatenato le ire di Pechino. Ancora più accese il 9 novembre, quando si è scoperto che una delegazione di membri del Congresso americano era atterrata a Taipei a bordo di un aereo militare C-40 Clipper. La Marina cinese ha lanciato subito pattugliamenti nello stretto di Taiwan ed esercitazioni con lo scopo dichiarato di scoraggiare «le attività separatiste dell’isola» e bollando la visita dei membri del Congresso come «provocazione».
Dreosto sottolinea che l’Europa deve fare la sua parte: «Come Parlamento faremo pressioni perché ci si possa avvicinare a un accordo commerciale Ue-Taiwan che, ricordiamolo, è leader mondiale nel settore dei microchip e semiconduttori». L’Unione, come gli Stati Uniti e gran parte della comunità internazionale, riconosce Pechino e non Taipei. All’incontro con la presidente taiwanese, il capo delegazione del Parlamento di Strasburgo, il francese Raphael Glucksmann, ha affermato: «Non siete soli: l’Europa è con voi, al vostro fianco, in difesa della libertà e dello stato di diritto».
In prima linea sul mare è schierata la VII flotta Usa, ma gli americani hanno inviato in gran segreto specialisti a Taipei e iniziato un programma di addestramento dei marine taiwanesi nella base a stelle e strisce sull’isola di Guam. La Cia vuole creare un nuovo «centro operativo» per coordinare le operazioni di spionaggio nei confronti della Cina. Il direttore, William Burns, la definisce senza mezzi termini «la minaccia strategica più importante che abbiamo di fronte nel ventunesimo secolo».
Fardella di ChinaMed.it non ha dubbi: «Esiste una guerra latente tra Cina e Stati Uniti, con Giappone, India e Australia al fianco di quest’ultimi. Che la guerra da “fredda” si possa trasformare in “calda”, a breve, è purtroppo probabile». La flotta inglese è arrivata in soccorso e il conflitto segreto sotto i mari si rivela con uno strano incidente. Il 2 ottobre scorso il sommergibile nucleare Connecticut ha ufficialmente «urtato una montagna subacquea» nel Mar cinese meridionale. L’unità, che fa parte della classe «Lupo di mare», ha compiti di intelligence. Il Connecticut può condurre operazioni strategiche di ricognizione grazie a membri dei Navy Seal – i Rambo della Marina – e una serie di mezzi subacquei tecnologicamente avanzati compreso un drone sottomarino.
«Il sommergibile deve essersi spinto troppo vicino a qualche obiettivo o alla costa cinese» sospetta l’ex ammiraglio Fabio Caffio. «Probabilmente è stata una missione di intelligence che non è finita bene». Nel marzo scorso l’ammiraglio americano John C. Aquilino, comandante della regione Indo-Pacifico, ha dichiarato che l’invasione di Taiwan «è più vicina di quanto molti pensino» e, per Pechino, prendere il controllo dell’isola rimane la «priorità numero 1».
A metà novembre il plenum del Partito comunista cinese ha ulteriormente rafforzato il potere di Xi Jinping, che punta a rimanere presidente a vita. Nel 2022 verrà confermato per un altro lustro, come segretario generale del partito, dopo 10 anni al potere.
«Il modello “un Paese, due sistemi” che aveva permesso il mantenimento dello status quo e il progressivo riavvicinamento politico ed economico tra le due sponde con il beneplacito americano, è tramontato a Hong Kong» nota il direttore del progetto ChinaMed. I sondaggi evidenziano che la maggioranza dei taiwanesi non crede più alla riunificazione e una larga parte diffida della Cina comunista. «Come se ne esce? Ci sono tre possibilità e tutte prevedono un riassetto generale» dice Fardella. «La guerra. Una distensione 2.0, ossia una “grande intesa” tra Xi e il presidente americano Joe Biden. Infine, più difficilmente, un cambio di leadership a Pechino».
