La Cina è il terzo al mondo per numero di testate e vuole aumentarle. Un’escalation che fa paura a Taiwan, con cui le provocazioni si sono moltiplicate. Ma nella mappa atomica – sempre meno controllata dagli Usa – anche Iran, Pakistan, Israele, Arabia Saudita e la Corea del Nord sono in possesso di bombe pronte per conflitti regionali.
Il 28 gennaio una squadriglia di 15 aerei da guerra cinesi, caccia, bombardieri e velivoli di ricognizione sono penetrati nella spazio aereo di Taiwan. Un segnale forte e chiaro che l’isola ribelle tornerà, con le buone o con le cattive, sotto il controllo della madrepatria comunista. Pochi giorni prima Pechino aveva mostrato i muscoli nella stessa maniera facendo decollare otto bombardieri nucleari in risposta all’ingresso nel Mar cinese meridionale di una flotta di battaglia americana con tanto di portaerei. Wu Qian, portavoce del ministero della Difesa cinese, ha dichiarato senza mezzi termini che le violazioni dello spazio aereo taiwanese «sono azioni necessarie. Avvertiamo gli elementi indipendentisti che giocare con il fuoco significa bruciarsi».
Dopo la vittoria di Mao Zedong, il generale Chiang Kai-shek nel 1949 si rifugiò sull’isola ribelle che, pur essendo separata, non si è mai staccata ufficialmente dalla Cina. «L’indipendenza di Taiwan significa guerra» ha sentenziato Wu Qian. Sul numero di febbraio della rivista della Marina americana, l’ammiraglio Charles Richard scrive senza tanti giri di parole: «Esiste una reale possibilità che una crisi regionale con la Russia o la Cina possa degenerare rapidamente in un conflitto che coinvolgerebbe armi nucleari». Richard, che comanda Stratcom, il quartier generale strategico Usa, aggiunge che «le forze armate americane devono spostare il loro assunto principale “dall’impiego nucleare non è possibile” a “l’impiego nucleare è una possibilità molto reale”».
L’incubo dell’Armageddon atomico sembrava scomparso dopo l’equilibrio del terrore della Guerra fredda, ma in realtà il pericolo esiste soprattutto con lo scenario di uno scontro regionale e l’uso di armi nucleari tattiche, come potrebbe capitare fra americani e cinesi per Taiwan. «Armi nucleari sempre più avanzate ci sono, prima o dopo rischiano di venire utilizzate» afferma il generale in ausiliaria Marco Bertolini. «Una volta le possedevano solo Usa e Urss, adesso gli arsenali si sono espansi ad altri Paesi e la Cina ne ha uno discreto. Sullo scenario di Taiwan il governo di Pechino è un grosso punto interrogativo: potrebbe minacciare di usare la potenza atomica».
I cinesi sono i terzi al mondo con 320 testate nucleari e, secondo le stime militari, «puntano a triplicare o quadruplicare l’arsenale nel prossimo decennio». La Marina sta costruendo nuovi sottomarini a propulsione nucleare d’attacco, classe Tang, capaci di lanciare missili balistici sempre più sofisticati. Nel mondo si contavano nel 2020 circa 13.400 testate nucleari. Gli Stati Uniti ne hanno 5.800 e la Russia li supera con 6.375. In Europa, la Gran Bretagna possiede 215 ordigni atomici e la Francia 290. Le altre potenze regionali che fanno parte del club sono il Pakistan, con 160 armi nucleari, e l’India, che ne conta 150. Israele, pur non avendolo mai ammesso, avrebbe una novantina di testate atomiche e l’imprevedibile Corea del Nord conterebbe su un arsenale di 30-40 ordigni.
«Sta aumentando la probabilità di un utilizzo di queste bombe soprattutto a livello tattico o dimostrativo. Il dittatore nord coreano Kim Jong-un potrebbe fare qualche colpo di testa, ma non escludo che in Medio Oriente possa venire usata un’arma nucleare» sostiene Mario Arpino, in passato capo di Stato maggiore della Difesa. «Sia Iran che Arabia Saudita hanno la possibilità di arrivare alla bomba» spiega l’ex generale dell’Aeronautica. «E se Israele percepisse di essere veramente in pericolo non avrebbe remore a utilizzare le sue testate».
Nel 2020, 75 anni dopo le prime bombe H su Hiroshima e Nagasaki, il rischio di confronto nucleare ha superato per la prima volta il livello altissimo del 1953. «L’orologio dell’apocalisse», ideato dagli scienziati dell’Università di Chicago, è stato spostato in avanti a un minuto e 40 secondi dalla mezzanotte, ovvero la fine del mondo.
Gli scenari di un’escalation nucleare, con le nuove armi a disposizione, sono catastrofici. In una simulazione di guerra fra Russia e Nato, che inizia con l’impiego di armi atomiche tattiche, si passa da 2,6 milioni di morti nelle prime tre ore a 91,5 milioni fra deceduti e feriti in poco tempo con il ricorso a 300 testate Usa e 180 della Nato.
Scenari apocalittici ipotetici, ma il braccio di ferro militare con la Russia è sempre più serrato anche se l’opinione pubblica non lo percepisce con chiarezza. L’8 febbraio gli Usa hanno dispiegato i bombardieri strategici B1 in Norvegia. Non hanno armamento nucleare, ma sono un chiaro segnale a Mosca che gli americani vogliono accentuare la loro influenza sul nuovo Eldorado dell’Artico e difendere a qualsiasi costo gli alleati.
Il 26 gennaio il neo presidente Joe Biden e Vladimir Putin si sono accordati per prorogare di cinque anni il New Start, l’ultimo dei trattati ancora vigenti sulla riduzione delle armi nucleari, dopo che Washington e Mosca hanno assottigliato i loro arsenali di quasi l’80 per cento (38 mila testate) tra il 1991 e il 2010. Washington però vuole frenare lo smantellamento fino a quando la Cina, che ha in cantiere armi avanzate, non parteciperà al trattato. Pechino non ne vuole sapere, sostenendo che il suo arsenale atomico è nettamente inferiore a quello russo e americano. Mosca ha ridotto le testate, ma ha pure lanciato un piano di ammodernamento «arrivato al 70%», secondo l’ammiraglio Richard. Nuovi bombardieri strategici, missili balistici intercontinentali e vettori lanciati dai sottomarini oltre a velivoli ipersonici e siluri nucleari. Mikhail Mishustin, primo ministro russo, ha ripetuto più volte che vorrebbe sviluppare «una nuova generazione di armi nucleari che può colpire ovunque sul Pianeta».
Gli Stati Uniti hanno inviato lo scorso anno tre bombardieri invisibili Stealth nella base di Diego Garcia nell’Oceano indiano, dove non si vedevano aerei strategici con capacità nucleare dal 2016. Il motivo è l’aumento costante della tensione per Taiwan. Il Congresso deve approvare un gigantesco bilancio per rinnovare l’arsenale atomico Usa, ma con l’emergenza Covid ed economica non sarà facile.
Sempre in Asia, nel 2020, India e Pakistan si sono dati battaglia per l’antico nodo del Kashmir e ancora una volta si è temuto un confronto nucleare. «Sono potenze regionali con l’arma atomica. Non si può escludere uno scontro nucleare a livello locale» sostiene Bertolini. «India e Pakistan continuano a punzecchiarsi militarmente da anni. Se si passa ai colpi di daga, il passo per un’escalation è breve».
In realtà, i due Paesi hanno già combattuto quattro guerre convenzionali. Gli scenari nucleari, in caso di conflitto, prevedono che i pachistani usino la bomba solo davanti a un’invasione indiana che ha forze armate ben più numerose. Lo scontro potrebbe coinvolgere 50 testate che provocherebbero 44 milioni fra morti e feriti. L’India sta aumentando del 16 per cento la spesa militare non solo per l’antica rivalità con il Pakistan, ma a causa della minaccia cinese considerata ancor più seria, che ogni tanto provoca sanguinose scaramucce di confine.
Fra gli Stati che vorrebbero la bomba si parla sempre dell’Iran, che dopo l’uscita dell’accordo sul nucleare voluto dall’ex presidente Donald Trump ha arricchito l’uranio oltre il 20% rispetto al 3,5 previsto dall’intesa. Biden vorrebbe fare marcia indietro, ma gli ayatollah sono disponibili a sedersi nuovamente al tavolo negoziale solo se prima verranno tolte le sanzioni. La Casa Bianca ha nominato Robert Malley, che fu uno degli architetti dell’accordo sul nucleare, come inviato speciale per sbrogliare la matassa.
Un rapporto confidenziale cinese ordinato dalla monarchia saudita, nemica mortale dell’Iran, sostiene che il regno abbia abbastanza riserve di uranio (90 mila tonnellate) per arrivare a un’arma nucleare. Il principe ereditario Mohammad bin Salman ha già annunciato che se l’Iran avrà la bomba «seguiremo l’esempio il prima possibile».
Secondo l’ex generale Leonardo Tricarico, «il vero pericolo è che alcuni Paesi non democratici possano arrivare all’ordigno nucleare rischiando che lo utilizzino veramente. Oramai le regole stanno saltando soprattutto nel campo dei confronti militari».
Anche il neo sultano turco, Recep Tayyip Erdogan, ha bollato come «inaccettabile» il fatto che al suo Paese non sia permesso possedere un arsenale nucleare. E la stessa Taiwan, che ha promosso un programma atomico segreto fino al 1976, potrebbe riprenderlo, secondo due analisti strategici, Alex Littlefield e Adam Lowther, «per proteggere la sua libertà con o senza l’aiuto americano».