In Afghanistan il governo talebano perseguita le donne e il resto della popolazione, adotta la «legge del taglione» e la lapidazione. E ora anche i cinesi, con la loro Via della seta, finiscono sotto attacco.
«Salvateci. Mia madre è vedova e ha le lacrime agli occhi. Papà è stato ucciso dai talebani. Non ci permettono di andare più da nessuna parte, né a studiare, né a lavorare. Vogliamo scappare e venire in Italia, ma non ci danno neanche il passaporto. Aiutateci a trovare una nuova vita. Siete la nostra ultima speranza». La drammatica richiesta di aiuto arriva da H., una giovane di Herat, che ha fatto la giornalista prima della vittoria dei talebani. Da mesi si aggrappa a una chat con un gruppo di italiani che vuole salvarla portandola in Italia, ma i soldi raccolti non sono serviti a ottenere sotto banco i passaporti per la fuga verso la libertà.
In Afghanistan va sempre peggio: il Paese sta sprofondando nel buco nero dell’oscurantismo islamico dimenticato dalla comunità internazionale. Le donne non possono frequentare più l’università, 23 milioni di persone sono ridotte alla fame, negli stadi tornano flagellazioni e lapidazioni, i terroristi hanno trovato un rifugio sicuro e pure i cinesi, che puntavano sul forziere energetico dell’area, scappano sotto attacco dell’Isis.
Il 12 dicembre lo Stato islamico del Khorasan, costola afghana del Califfato, ha attaccato l’hotel Longan di Kabul, quartiere di Shar-e-Naw. L’albergo è noto per essere frequentato dai cinesi, sia diplomatici che uomini d’affari. Pechino ha strizzato l’occhio ai talebani, mantenendo sempre aperta la sua ambasciata, con l’obiettivo di trasformare l’Afghanistan in una tappa strategica della nuova Via della seta: il grande piano, in parte fallito, di penetrazione economica, energetica e con le infrastrutture verso l’Europa. Nell’attacco sono rimasti feriti cinque cinesi e tutti i kamikaze sono stati eliminati, ma il messaggio dei terroristi è stato forte e chiaro. Tanto che l’ambasciatore, Yu Wang, ha ordinato ai connazionali di lasciare l’Afghanistan.
Dall’arrivo dei talebani a Kabul sono circa 500 gli uomini d’affari di Pechino sbarcati nel Paese. Uno di loro, Yu Minghui, nel suo ufficio della piccola Chinatown di Kabul, è sconsolato: «L’80 per cento non tornerà più». In luglio, il rappresentante speciale della Cina per l’Afghanistan, Yue Xiaoyong, aveva annunciato il grande progetto di una ferrovia transnazionale attraverso l’Afghanistan per collegare l’Uzbekistan ai porti del Pakistan. L’investimento di Stato della più grande miniera di rame a cielo aperto del mondo, quella di Med Aynak, avrebbe dovuto riprendere a pieno ritmo. Pechino ha messo gli occhi anche su altre risorse naturali del Paese, stimate in mille miliardi di dollari, soprattutto in gas, litio, cobalto e oro. I mandarini comunisti erano pure riusciti a farsi consegnare alcuni uighuri che avevano combattuto al fianco dei talebani, sognando una «guerra santa» nella vicina regione cinese dello Xinjiang.
Un anno e mezzo dopo la Caporetto afghana della Nato, le donne non hanno più diritto di studiare all’università, mentre il blocco dell’istruzione superiore esclude 3 milioni di studentesse. Le ragazze possono andare a scuola fino a 12 anni e il 17 per cento delle minori si sposa prima dei 15 anni. Il Parlamento europeo ha accusato il regime talebano di «apartheid di genere». Ben sette grandi Ong, come Save the children e Action aid, hanno sospeso le attività dopo che il ministero dell’Economia ha emesso una direttiva che vieta alle donne di lavorare con loro lamentando «gravi lamentele sul mancato rispetto dell’hijab islamico e di altre norme e regolamenti relativi al lavoro nelle organizzazioni nazionali e internazionali».
Alberto Cairo, veterano della Croce rossa, da Kabul spiega a Panorama che «la situazione è insostenibile. I talebani hanno fatto sparire le donne dalla vita pubblica. Con l’economia disastrata molti uomini pashtun (il serbatoio etnico del regime, ndr) ammettono che così non si può più vivere». Le donne sono scese coraggiosamente in piazza a Herat e Kabul, gli studenti pure a Kandahar, capitale spirituale dei talebani. Le manifestanti sono state arrestate o disperse a colpi di fucile in aria e con i cannoni d’acqua. La linea dura è dettata dal «capo di tutti i credenti», il leader supremo, Hibatullah Akhundzada, che fa parte della faida all’interno del regime. I «giovani», come il facente funzioni di primo ministro, Mohammad Yaqoob Mujahid, figlio del fondatore del movimento talebano, mullah Omar, avrebbe allertato i suoi temendo un colpo di Stato della vecchia guardia.
Un altro «giovane», il ministro dell’Interno Sirajuddin Haqqani, ricercato dall’Fbi per terrorismo con una taglia di 10 milioni di dollari sulla testa, aveva dato rifugio ad Ayman al Zawahiri, erede al comando di al Qaida di Osama bin Laden, ucciso a Kabul il 31 luglio da un drone americano. E secondo il ministro dell’Interno del Tajikistan, Ramazon Rahimzoda, «oltre 3mila passaporti afghani sono stati rilasciati a membri di organizzazioni terroristiche». Su eBay è stato messo in vendita un dispositivo biometrico americano, per 68 dollari, con le informazioni di 2.632 persone registrate in Afghanistan, compresi noti terroristi. I talebani hanno rivendicato con orgoglio il divieto alla coltivazione dell’oppio, ma secondo l’Onu l’80 per cento del papavero, poi raffinato in eroina sul mercato mondiale, arriva dall’Afghanistan. Le coltivazioni sono aumentate del 32 per cento rispetto all’anno precedente.
Ed è tornata anche la legge del taglione con le punizioni corporali negli stadi. Da novembre, quando il leader supremo ha emesso un editto, oltre un centinaio di persone, comprese le donne, sono state frustate in diverse province. Il 7 dicembre i talebani hanno eseguito la prima condanna a morte in pubblico di un uomo. Alcune donne sarebbero state lapidate per adulterio senza tanta pubblicità. Adesso toccherà alla mutilazione delle mani ai ladri. Un’inchiesta della Bbc ha messo in luce la piaga della vendita di organi fra la popolazione più povera. Il rene di un giovane può valere 3 mila dollari. Le famiglie alla fame «vendono» la prole. «Fanno sposare le figlie a persone benestanti perché non riescono a mantenerle» afferma Cairo. «Ci sono anche bambini ceduti come piccoli servitori a famiglie più agiate senza figli, o che vengono utilizzati nei negozi con il rischio dello sfruttamento». L’Afghanistan ha bisogno di 4,6 miliardi di dollari per aiutare la popolazione allo stremo. Nella speranza di far uscire il Paese dal baratro, Cairo sostiene che «attraverso la diplomazia bisogna cercare un dialogo con Kabul. Quello che conta è non isolare completamente l’Afghanistan. I talebani sopravvivranno comunque, ma non la povera gente che soffre sempre più».