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I signor No dell’energia verde

I signor No dell’energia verde

Che funzioni hanno e perché oggi sono nel mirino le Soprintendenze, accusate di bloccare le rinnovabili. Le colpe, però, non sono solo loro. Per questi motivi.


Anche quelli di Fratelli d’Italia le hanno messe nel mirino: basta con i veti delle Soprintendenze che impediscono l’utilizzo pieno delle fonti rinnovabili, dicono nel partito di Giorgia Meloni. Basta ai vincoli per impianti che «deturperebbero aree non esattamente turistiche come il porto di Taranto o Colleferro. Bisognerà agire». L’Italia è in piena emergenza energetica, dobbiamo cercare di ridurre il più possibile l’importazione di gas che costa un occhio della testa e sta mettendo in ginocchio migliaia di imprese. E la soluzione è aumentare rapidamente la produzione di elettricità da fonti rinnovabili.

Ma per l’Italia è già molto ambizioso raggiungere gli obiettivi fissati a livello europeo con il piano Repower Eu: secondo Elettricità futura, la maggiore associazione delle imprese che operano nel settore, entro il 2030 l’Italia dovrebbe installare almeno 85 gigawatt di potenza da fonti rinnovabili per centrare i nuovi target. Peccato che da noi il 50 per cento dei progetti green non viene realizzato e il restante 50 va in porto con quasi sei anni di ritardo rispetto ai termini di legge. Di chi è la colpa di questa situazione? I principali indiziati sono le «Soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio», accusate di condurre una battaglia di retroguardia contro pale e parchi fotovoltaici in nome della tutela, appunto, del paesaggio.

Organi periferici del ministero della Cultura e guidate dal direttore generale Luigi La Rocca, nominato il 5 luglio 2022, le Soprintendenze sono 43, sparse sul territorio. Vi lavorano centinaia tra architetti, archeologi, storici dell’arte. Il loro ruolo è difendere e valorizzare i beni artistici, storici e paesaggistici del nostro Paese, in particolare nelle aree vincolate, che sono tantissime. Perciò quando occorre autorizzare un nuovo parco eolico o fotovoltaico, così come un termovalorizzatore o un rigassificatore, che possono avere un impatto sul panorama di un’area di un qualche pregio, è necessario avere anche il via libera della Soprintendenza.

Le cronache sono ricche di racconti di impianti bloccati per ragioni all’apparenza opinabili. Così ha fatto scalpore il caso di Genova dove la Soprintendenza speciale per il Pnrr ha dato parere tecnico favorevole, nella procedura di Valutazione di impatto ambientale (Via), alla realizzazione della nuova diga foranea, a condizione però che venisse stralciato dal progetto il previsto impianto eolico, «in quanto eccessivamente impattante in relazione ai valori paesaggistici e storico-paesaggistici tutelati». Quindi va bene una diga davanti a un porto commerciale pieno di gru, ma non una fila di pale che aiutano a ridurre le emissioni di CO2.

Oppure c’è il caso, stigmatizzato dal Sole-24 Ore, del no della Soprintendenza di Enna, in Sicilia, al progetto di una centrale fotovoltaica da 228,7 milioni di euro perché nelle vicinanze «sono stati rinvenuti in superficie ciottoli attribuibili alle facies clactoniane del Paleolitico inferiore (circa 300 mila anni da oggi)», e non lontano ci sono «aree con estesi frammenti ceramici», nelle vicinanze si sospetta un «ricco macro-contesto archeologico».

A Piombino nel complesso iter che coinvolge 35 enti per autorizzare la contestata nave rigassificatrice, fondamentale per coprire i buchi nelle forniture di gas via tubo, «ci si è soffermati sul colore della nave, che la Soprintendenza ha chiesto che abbia una tinta più omogenea al paesaggio», sostengono alla Regione Toscana. I veti possono colpire anche realtà molto piccole: per esempio a Montegrotto, provincia di Padova, il signor Emanuele Boaretto, titolare dell’hotel Millepini, è molto arrabbiato perché la Soprintendenza gli ha bloccato la costruzione di un impianto fotovoltaico su una parete esterna. «E ora chi paga le bollette?» protesta l’albergatore veneto.

«Sono inspiegabili i “no” ai nuovi impianti rinnovabili in nome della tutela del paesaggio» sostiene Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura. «Grande stima per il lavoro delle Soprintendenze, ma il cambiamento climatico sta già devastando i territori e se la temperatura continuerà a salire il paesaggio che abbiamo adesso e vogliamo tutelare non lo avremo più». Ma è davvero tutta colpa di questi organi pubblici? Il 28 aprile 2022 Federica Galloni, la dirigente che era alla guida della direzione Archeologia belle arti e paesaggio prima di La Rocca e andata in pensione in luglio, ha difeso davanti alla commissione parlamentare per le semplificazioni il lavoro dei suoi collaboratori: «È opinione purtroppo molto diffusa che gli uffici del ministero diano pareri troppo discrezionali, basati a volte sul “mi piace, non mi piace”. Non corrisponde a verità. Come in tutte le professioni c’è chi lavora meglio e chi lavora peggio. Ma questo avviene o sulla base di norme o, come nel caso dei piani paesaggistici approvati, sulla base di una classificazione di paesaggio condivisa con le Regioni».

Il problema è che solo «cinque Regioni hanno condiviso i piani paesaggistici». Galloni ha ricordato che la legge stabilisce un termine perentorio di 45 giorni «oltre il quale vale il silenzio-assenso. Per cui non corrisponde a verità quello che si sente dire sulle soprintendenze che impiegherebbero sei mesi per un’autorizzazione paesaggistica. Il problema è che la competenza paesaggistica spesso è trasferita alle Regioni e da queste agli enti locali».

E poi c’è la mancanza di personale dopo anni di blocco delle assunzioni. Cristina Collettini, direttore della soprintendenza per le province di L’Aquila e Teramo, racconta che con lei lavorano meno di 50 persone invece delle 129 previste. E sui suoi tavoli piovono un’ottantina di richieste di pareri al giorno, a cui si aggiungono una quarantina per la provincia di Pescara, coperta dagli uffici della Collettini ad interim. Del resto l’Abruzzo è un’area delicata per la Soprintendenza, interessata dalla ricostruzione post-terremoto, con un vasto parco nazionale e l’80 per cento del territorio con vincoli. «Lavoriamo ben oltre il normale orario. E siamo stati investiti da una valanga di richieste dalle società delle energie rinnovabili» spiega la dirigente. «In genere non diciamo di no, ma chiediamo che gli interventi vengano fatti in armonia con il contesto».

Viene voglia di spezzare una lancia a favore di questi dipendenti pubblici, caricati di lavoro e cronicamente sotto organico. La responsabilità dei ritardi e dei no alle rinnovabili è loro o di chi li ha lasciati senza armi sul fronte della transizione energetica? Intanto sono passate le sette di sera e per la soprintendente Collettini la giornata non è ancora finita.

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