La tanto sospinta «rivoluzione green» nel settore automotive è un flop. Le auto a batteria sono troppo care, troppo difficili da gestire, troppo poco sovvenzionate per sfondare. Senza contare la crisi economica, che certo non aiuta. Così le vendite si sono quasi dimezzate, e non è una buona notizia per nessuno. Tranne che per l’usato.
Nonostante il battage pubblicitario, le limitazioni alla circolazione imposte da alcuni sindaci e gli incentivi economici, l’auto elettrica non riesce a conquistare gli italiani. Troppi gli handicap e le incertezze legislative e il sospetto che dietro l’angolo delle agevolazioni, ci sia pronta la scure fiscale. Si spiega così il fatto che mentre in meno di un mese si sono esauriti i 150 milioni di euro di incentivi messi a disposizione dal governo per modelli a benzina e diesel, anche ibridi (operazione partita il 10 gennaio), quelli per elettriche e ibride plug-in sono ampiamente disponibili. Ne sono stati utilizzati solo il 4 per cento del totale. La differenza, come sempre, la fa il prezzo. Le vetture a portata di un portafoglio medio, sono quelle con emissioni di CO2 tra 61 e 135 grammi per chilometro, sotto questo livello sono meno abbordabili.
Va meglio per le due ruote: ci sono oltre 12 milioni su 35 milioni per l’acquisto di motocicli e ciclomotori elettrici. Infine, sono ancora disponibili quasi 15 milioni per i veicoli commerciali.
La somma stanziata per il 2023 dallo Stato per agevolare l’acquisto di auto e moto meno inquinanti ammonta complessivamente a 630 milioni. La legge di Bilancio del 2021 prevedeva la seguente ripartizione dei fondi: 190 milioni per i veicoli elettrici, 235 milioni per gli ibridi plug-in, 150 milioni per le auto a benzina o a gasolio di ultima generazione, 5 milioni per ciclomotori e motocicli a motore endotermico, 35 milioni per le due ruote elettriche, 15 milioni per i veicoli commerciali elettrici.
A gennaio, le costose auto elettriche sono scese da circa il 4 per cento di alcuni mesi fa al 2,6 per cento del totale delle vendite, mentre le ibride plug-in sono ferme al 4,7 per cento. Nel complesso le ECV (Electric Chargeable Vehicles, cioè elettriche e ibride plug-in) calano al 7,3 per cento delle preferenze. Questi numeri dimostrano che gli incentivi da soli non bastano a risollevare il mercato e soprattutto a farlo virare verso i motori green. «I bonus vorrebbero privilegiare le soluzioni ecologiche ma i risultati positivi immediati ci sono solo per le vetture con alimentazione tradizionale ed emissioni contenute» afferma il presidente del Centro Studi Promotor, Gian Primo Quagliano. Più caustico ndrea Cardinali, direttore generale dell’Unrae, l’Unione nazionale rappresentanti autoveicoli esteri: «Gli incentivi sembrano rivelare, per come sono concepiti, una scarsa convinzione per l’elettrico e il timore di penalizzare il settore del motore endotermico». Come dire che si sono voluti favorire quei consumatori con bassa capacità di spesa e che comunque avrebbero acquistato un’auto.
Secondo Cardinali lo schema degli aiuti è sbagliato. «Due gli errori: aver abbassato il tetto del prezzo di acquisto per aver accesso agli incentivi e aver escluso partite Iva e aziende. Inoltre, altro sbaglio, è il termine di 180 giorni per l’immatricolazione quando tutti sanno che con la crisi dei chip si sono allungati i tempi di consegna». Il flop degli incentivi all’elettrico era annunciato. «Si sta ripetendo ciò che è accaduto lo scorso anno, quando sono avanzati 272 milioni» aggiunge il direttore di Unrae. Allora perché continuare su questa strada? «La mia impressione è che si voglia procedere con cautela. C’è il timore di danneggiare le aziende dei componenti. Questi lavorano però per il 60 per cento con l’estero e si devono adeguare alle nuove tecnologie». Poi, sottolinea il manager, «i 150 milioni messi a disposizione dallo Stato sono briciole. Se si vuole spingere il mercato, va messo sul piatto almeno un miliardo di euro. Così come sono stati concepiti i bonus, si incentiva l’acquisto di auto che sarebbero state vendute comunque e si favorisce solo l’elettrico di piccole dimensioni, le quattro ruote da città».
Altro indicatore della scarsa attrazione del motore green è che si conferma la grandissima diffusione dell’usato. Stando ai dati diffusi dall’Aci (Automobile club d’Italia), a gennaio il mercato delle vetture di seconda mano ha registrato una crescita del 10,3 per cento rispetto al 2022, pari a 234.458 passaggi di proprietà, quasi il doppio rispetto al mercato delle auto nuove che a gennaio ha visto 129.992 immatricolazioni. Nel mese scorso per ogni 100 nuove, ne sono state vendute 192 usate. Secondo un’analisi di AutoScout24, il più grande mercato di vendite online pan-europeo, sui principali trend del mercato dell’usato per i prossimi mesi, il diesel continua a mantenere la quota principale (45 per cento), seguita dalle vetture a benzina (36 per cento). Cresce l’interesse sia per i veicoli gpl/metano (9 per cento) sia per quelli ibridi ed elettrici (10 per cento). Ma a frenare l’ascesa delle soluzioni meno inquinanti anche nel mercato di seconda mano c’è, lamentano gli utenti, principalmente il costo elevato (per il 47 per cento del campione) e la scarsa autonomia delle batterie (23 per cento). A questo andrebbe aggiunto l’aumento del costo dell’energia elettrica e la prospettiva che le agevolazioni vengano meno nel momento in cui il parco circolante ecologico diventerà più importante. Fino a quando continueranno i maxi incentivi all’acquisto, tra sgravi fiscali, parcheggi gratuiti nelle città e ingresso nelle zone a traffico limitato? Molto poco, almeno fino a quando l’auto verde diventerà un bene da tassare.
Considerato questo insieme di fattori non è azzardata la stima dell’Osservatorio Autopromotec sulla base di studi del Bloomberg New Energy Finance, Goldman Sachs e del Gruppo Wood Mackenzie. Dice che entro il 2050 il parco circolante mondiale di autovetture sarà composto per due terzi (per la precisione il 67 per cento) da auto a combustione interna (benzina, diesel e ibride), per il 28 per cento da full electric e ibride plug-in e per il 5 per cento da auto ad alimentazione alternativa (idrogeno, metano e gpl). Anche con la crescita della mobilità elettrica prevista in futuro, che in Europa sarà accelerata dal 2035 (anno a partire dal quale nei Paesi dell’Ue non potranno più essere commercializzati modelli a combustione interna), i veicoli ad alimentazione tradizionale continueranno quindi a lungo a essere i più diffusi a livello globale.
L’evoluzione del parco circolante non potrà non avere conseguenze importanti anche per il settore dell’autoriparazione. Da un lato, sarà sempre più importante essere aggiornati sulle ultime novità tecnologiche, adeguandosi alla diffusione delle auto elettriche (che necessitano di una manutenzione del tutto differente rispetto a quella dei veicoli tradizionali); dall’altro lato il fatto che continueranno a essere predominanti i motori a combustione interna, non potrà essere disperso il patrimonio di pratiche e conoscenze costruite in anni di attività dagli operatori, che avranno ancora per lungo tempo a che fare con vetture a benzina e diesel. Il settore dovrà quindi far fronte a due diversi scenari. La specializzazione diventerà cruciale. Addio vecchie piccole officine.