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Così l’Europa torna al carbone

Così l’Europa torna al carbone

Il 2022 ha segnato il record per il combustibile fossile, utilizzato tradizionalmente da un Paese inquinante come la Cina, ma adesso anche dal Vecchio continente (+12 per cento), che ha dovuto compensare le mancate forniture di gas metano dalla Russia. E il 2023 si annuncia anch’esso ai massimi per estrazione e consumi. La transizione verde della Ue è da rivedere e correggere.


Pare che la Befana stia per recapitare un enorme sacco di carbone alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen… Impossibile sapere se la mittente sia l’ecoattivista Greta Thunberg, di sicuro un biglietto di accompagnamento lo ha firmato gran parte dei cittadini europei che stanno pagando l’energia carissima a causa dell’albagia verde dell’Europa, il Green deal. Che a Bruxelles abbiano sbagliato i conti è manifesto: hanno accelerato sulla transizione ecologica senza una preventiva ricognizione delle effettive possibilità. Così si è accelerato sulle auto elettriche in assenza di sufficienti infrastrutture, consegnando di fatto la mobilità nelle mani dei cinesi – principali produttori delle batterie; si è poi programmata la disincentivazione agricola non avendo contezza dei bisogni alimentari; ancora, si stanno mettendo in ginocchio interi comparti industriali – in ultimo quello del riciclo e del packaging che sono perfettamente «green» – in forza di una scelta che ora appare ideologica.

Tornano in mente le fosche profezie del capoeconomista della Deutsche Bank che oltre due anni fa in un rapporto sull’evoluzione dell’economia europea alla luce del vangelo verde profetizzava disastri. Sosteneva Eric Heymann che attorno al Green deal c’è un dibattito non onesto: «Sanno benissimo che 830 mila addetti del settore automobilistico perderanno il lavoro. E cosa facciamo se i proprietari di case non vogliono convertirle in abitazioni a emissioni zero, o se non hanno i mezzi finanziari per farlo? E ancora perché non diciamo chiaro che dalla rivoluzione verde ci saranno vincitori e vinti e tra quest’ultimi ci saranno gli allevatori? Sarà un’eco-dittatura». E ancora: «So benissimo che dire “eco-dittatura” è un’eresia. Ma senza un certo livello di eco-dittatura, non funzionerà».

Sembra che quel che accade gli dia ragione; anche se quel rapporto è stato occultato perché nel frattempo Deutsche Bank ha «giocato» con i certificati verdi incappando nell’ennesimo scandalo, il Green deal per ora non marcia. Heymann scriveva prima dell’invasione dell’Ucraina, poi le cose sono andate pure peggio. Inflazione a due cifre, cibi sintetici, interi settori industriali in crisi, l’industria dell’auto in semi-rivolta con Akio Toyoda, presidente di Toyota, che ripete: «Se tutti guideranno auto elettriche il sistema collasserà, non può essere l’unica opzione». E l’energia continuerà a scarseggiare: le rinnovabili non ce la fanno, non bastano. Le indicazioni per quest’anno sono pessime e la stessa Ursula von der Leyen, il 12 dicembre scorso, è stata costretta ad ammettere: «È il momento di accelerare sugli acquisti comuni di gas. Secondo le proiezioni dell’Aie (Agenzia internazionale per l’energia, ndr) si profila un “buco” di circa 30 miliardi di metri cubi di gas». Fatih Birol, il capo dell’Aie, ha confermato che nel 2023 «la situazione delle forniture sarà più difficile di quella del 2022 perché mancheranno del tutto le importazioni dalla Russia e gli acquisti di Gnl (il metano liquefatto) dagli Usa saranno problematici».

Le recenti promesse di riapertura del gasdotto Yamal verso l’Europa da parte di Mosca sono tutte da dimostrare. Senza contare che gli stock di gas del Vecchio continente sono stati riempiti al 90 per cento, però secondo le stime più recenti a marzo quel gas sarà esaurito. Dunque il Green deal invece di una terra promessa per adesso ci porta le piaghe. E non ha prodotto benefici ambientali. Anzi, il 2022 è stato l’anno record nel consumo di carbone in Europa. Lo certifica l’Agenzia internazionale per l’energia. Il rapporto firmato dallo stesso Birol mette nero su bianco che nel 2022 il carbone utilizzato è aumentato dell’1,2 per cento rispetto al 2021, superando la quantità del 2013 che fu il precedente anno record. A contribuire al boom della fonte di energia che emette la maggiore quantità di CO2 è stata esclusivamente l’Europa, che ha accresciuto l’impiego in un anno del 12 per cento per far fronte alla crisi delle forniture russe. Secondo questo rapporto il livello record di consumi di tale risorsa si manterrà fino al 2025, incrementando l’immissione di CO2 nell’atmosfera.

Keisuke Sadamori, direttore del mercato e della sicurezza dell’energia all’interno dell’Aie, rincara la dose: «Il mondo è vicino al picco massimo di consumo di fonti fossili di energia, ci si attendeva un declino nel consumo di carbone e invece la tendenza si è invertita». Appunto. I dati dell’Aie dicono che la Cina, nonostante la crisi Covid e il rallentamento economico controbilanciati però dall’incremento di climatizzazione a causa del caldo anomalo, ha consumato il 51 per cento del carbone mondiale. L’Europa per cercare di arginare il caro metano dovuto alle sanzioni alla Russia, ma anche per la penuria di energia, nel 2022 ha aumentato per il secondo anno consecutivo l’impiego di esso rivolgendosi a Cina, India e Indonesia – i principali Paesi produttori – che hanno fatto fatica a tenere dietro alla richiesta.

È per questo motivo che la Germania – anche a fronte di minori importazioni dall’Australia che ha avuto difficoltà estrattive – ha riaperto le sue miniere. Quella di Hambach (44 chilometri quadrati per 300 metri di profondità) sta estraendo lignite come non mai. Così come Garzweiler: doveva essere dismessa invece è stata incentivata, e la produzione resta costante nella grande miniera di Lutzerath. I due colossi estrattivi Rwe e Mibrag si aspettano bilanci molto floridi mentre ha ripreso a pieno ritmo la produzione di energia elettrica da carbone dalla centrale di Niederaussem. Il ministro per la Potezione climatica e vicecancelliere Robert Habeck ha affermato che la legge che facilita l’uso del carbone scadrà nel 2024 ed è un male necessario. Gli uffici federali peraltro certificano che nel 2022 il carbone ha fornito il 32 per cento dell’energia tedesca a fronte del 26,4 per cento di due anni fa…

Le cose vanno allo stesso modo anche nella vicina Austria. Lì è tornata in funzione la centrale di Mellach, a sud di Graz, ferma dal 2020, e la ministra dell’Ambiente Leonore Gewessler ha ammesso: «Siamo in emergenza, non si può fare altrimenti». Analoghe considerazioni in Francia dove alcune centrali nucleari sono ferme per manutenzione. La centrale di Cordemais (Loire-Atlantique) che doveva essere chiusa funziona a pieno regime, nonostante gli impegni del governo, a causa del rischio di tensioni sulla rete fino al 2024, data in cui il reattore nucleare Epr di Flamanville entrerà in servizio. Anche in Italia vengono riattivate sei centrali a carbone; ma la cosa inspiegabile è che, nonostante l’emergenza e che venga finanziata con soldi pubblici la miniera sarda del Sulcis, il combustibile fossile resti sottoterra e si continui a importarne da mezzo mondo.

Tuttavia Ursula von der Leyen resta irremovibile. Vero, ha varato il RepowerEu che consente di usare solo temporaneamente queste fonti inquinanti per produrre energia, s’è pure accorta che in periodo di transizione «qualche contraddizione» è possibile, ma entro il 2030 – afferma – le emissioni da carbone dovranno ridursi in modo drastico. La Befana a quanto pare la pensa diversamente.

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