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Cairo VS Schwarzman: sfida spericolata per il re di via Solferino

In aprile, a New York, il tycoon affronterà il «peso massimo» del fondo Blackstone: in palio la storica sede del Corriere. È uno scontro che potrebbe costargli svariate centinaia di milioni di euro. Ma ci sono anche altre criticità che offuscano la sua stella da imprenditore di successo. Dai risultati dei giornali del gruppo alla crisi del Torino. E così l’accarezzata discesa in politica…


Anche Urbano Cairo può fare il passo più lungo della gamba. Il Napoleone dell’informazione italiana, padrone di media come Gazzetta dello Sport, Corriere della Sera e La7, con la sua Cairo communication guida un gruppo che in Borsa vale 220 milioni di euro. La partecipazione che lo ha fatto entrare in quel che resta del salotto buono è quel 59,8 per cento di Rcs Mediagroup che le banche creditrici gli hanno consegnato nell’estate del 2016 e oggi vale altri 208 milioni. Ma nelle prossime settimane l’imprenditore pubblicitario alessandrino rischia di perdere tutto o quasi.

Ha accusato Blackstone, il fondo di private equity più grande del mondo, di essersi portato via la storica sede del Corriere di via Solferino per quattro soldi prima che arrivasse lui, ma ora rischia di dover versare 600 milioni agli americani, che hanno preso molto male il suo tentativo di riaprire la partita e lo hanno subissato di carte bollate. E questa guerra dell’ex segretario di Silvio Berlusconi al finanziere Stephen Schwarzman, un soggettino da 17 miliardi di dollari di patrimonio personale, ha fatto arrabbiare anche Intesa Sanpaolo e Mediobanca, rispettivamente primo creditore e primo grande socio di Rcs. Il tutto mentre il Covid-19 ha già fatto slittare Giro d’Italia e rinviare Europei di calcio, da cui dipendono, in massima parte, le possibilità che Rcs e La7 generino utili in questo 2020. E già che si parla di sport, e diritti televisivi, l’unico motivo per cui l’editore alessandrino può forse benedire il coronavirus è che, prima del blocco dei campionati di calcio, il suo Torino stava scivolando inesorabilmente verso la serie B. Insomma, non esattamente un’immagine da vincente con la quale mettersi seriamente in politica, come da più parti ci si aspetta da tempo.

Solo dieci mesi fa, alla festa in discoteca per la Gazzetta, Cairo aveva dimostrato insospettabili doti di ballerino e si era lanciato a centro pista roteando la giacca come un nuovo Tony Manero. Ma ora la febbre che rischia non è quella del sabato sera, bensì quella che il collegio arbitrale chiamato a dirimere la sua controversia con Schwarzman può far venire ai bilanci Rcs. Urbanetto, come lo chiamano gli amici, ha chiesto l’annullamento della vendita dei palazzi di via Solferino e di via San Marco, andata in porto per 120 milioni di euro nel 2013. A scatenare Cairo è stata la notizia che il fondo Usa stava rivendendo quegli stessi immobili ad Allianz per 250 milioni.

Il ragionamento di partenza non è campato per aria, perché all’epoca la Rcs aveva l’acqua alla gola, tanto è vero che accompagnò la dismissione immobiliare con un sanguinoso aumento di capitale da 400 milioni. Ma se l’editore de La7 avesse ragione, allora i grandi creditori di Rcs, come Intesa e Ubi Banca, che avevano centinaia di milioni incagliati sul gruppo editoriale, sarebbero stati quanto meno dei polli. E lo stesso varrebbe per chi era in cda all’epoca, ovvero per la crème della finanza milanese. Cairo si è comunque svegliato un po’ tardi, ovvero nell’ottobre del 2018, chiedendo un arbitrato, perché ingolosito dall’offerta dei tedeschi. Schwarzman, 73 anni, presidente e co-fondatore di quello che è il più grande fondo di private equity al mondo (500 miliardi di asset in gestione), si è offeso a morte perché si è sentito trattato come fosse un usuraio. Così, i suoi legali hanno fatto notare che la causa intentata da Cairo, mentre lui stava concludendo un affare, poteva essere considerata estorsiva. Il risultato è che il finanziere di Philadephia ha depositato una richiesta di danni da 300 milioni di euro al tribunale di New York e un’altra di identico valore a Milano. La causa americana è sospesa in attesa dell’esito dell’arbitrato italiano, la cui sentenza è attesa non oltre il 10 aprile. E anche se le indiscrezioni che filtrano da entrambi i pool di avvocati danno per probabile una transazione, resta il fatto che a New York Cairo rischia una batosta. Per capire che peso specifico abbia il rischio di dover versare 600 milioni a Blackstone bastano pochi numeri.

La capitalizzazione di Borsa di Rcs Mediagroup, lo scorso 11 marzo, era pari a 354 milioni di euro. Per questa ragione tanto Carlo Messina di Intesa Sanpaolo (che dopo la fusione con Ubi Banca deterrà quasi tutto il debito Rcs) quanto Alberto Nagel di Mediobanca, azionista di Rcs con un pacchetto del 9,9 per cento, sono infuriati con Cairo, accusato di aver cercato un azzardo troppo grande per lui. Ed è anche per questo che da qualche settimana gira voce di un possibile addio a Rcs da parte del presidente del Toro. Anche perché il 28 gennaio, lo stesso Cairo ha ottenuto una «manleva» da parte del cda Rcs in caso di danni da pagare a Schwarzman. Ma rischierebbe comunque un’azione di responsabilità. Eppure, nel rendiconto finanziario al 30 settembre si legge: «La società, acquisite le valutazioni dei propri consulenti legali, ha ritenuto che non sussistano i presupposti per l’iscrizione di fondi rischi» (p.17). Insomma, tutto tranquillo.

Cairo sta comunque offuscando la propria immagine di grande risanatore. A luglio 2016, quando prese il controllo di Rcs, l’azione a Piazza Affari valeva 94 centesimi, mentre oggi si è scesi a 68 centesimi e nell’ultimo anno è stato bruciato il 52 per cento. Nello stesso anno, l’indice del settore media di Borsa italiana ha perso il 31 per cento, ovvero assai meno di Rcs. L’acquisto di Corriere e Gazzetta non ha portato bene neppure a Cairo communication, che in tre anni e mezzo ha ceduto il 63 per cento. Se lo scontro con Blackstone si chiuderà con una transazione di qualche decina di milioni, questo esborso si andrà ad aggiungere ai mancati introiti che Rcs Sport e La7 rischiano di dover contabilizzare nel caso saltassero, causa pandemia, il Giro d’Italia e l’Europeo di calcio. Dalla sola organizzazione del Giro, Rcs ha incassato circa 65 milioni nell’ultima edizione, che sono davvero importanti per un gruppo che nei primi nove mesi del 2019 ha registrato un utile operativo di 102,4 milioni.

La gestione Cairo, noto per la parsimonia e per la severità nei rapporti con i fornitori, ha dimezzato i debiti di Rcs (al 30 settembre erano a quota 151 milioni), ma non ha saputo invertire la tendenza al ribasso di vendite dei giornali e incassi pubblicitari. Cairo ha quindi annunciato a febbraio 50 esuberi su un organico complessivo di 354 giornalisti, con un taglio del 15 per cento che non sarà indolore. Del resto, a dicembre, le copie cartacee vendute del Corriere erano scese a 171.503 (-12.374 rispetto a un anno prima) e quella della Gazzetta erano 121.162 (-10.575). Insomma, con Cairo c’è stato un autentico tourbillon di iniziative promozionali e di marketing, ma le vendite in edicola continuano a scendere.

E se La7 va abbastanza bene, nonostante un contratto assai remunerativo (per la concessionaria di Cairo) sulla raccolta pubblicitaria, non così si può dire per il Torino, un giocattolo la cui rosa a settembre valeva 230 milioni (fonte: portale Transfermarkt.it) e ora è crollata a 181 milioni. Costruita intorno ai nazionali Andrea Belotti e Salvatore Sirigu per andare almeno in Europa League, dopo due mesi da incubo la squadra granata è quindicesima e a soli due punti dalla zona retrocessione. L’anno prossimo, il Toro rischia un esodo dei suoi giocatori migliori e niente introiti europei, con relativo bilancio in rosso. Per uno come Cairo, la contestazione permanente dei tifosi non è meno disturbante dell’irritazione delle banche per la perigliosa crociata contro Schwarzman. E il sogno di emulare in tutto e per tutto Berlusconi rischia di svanire per aver commesso l’errore che il suo maestro non avrebbe mai fatto: dichiarare guerra a un big fish più «big» di lui.

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