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Politiche del lavoro per la crescita

Politiche del lavoro per la crescita

Rubrica: Portugal Street

Per aumentare la produttività occorre promuovere un piano di azione straordinario che faccia leva su tre direttrici. La prima riguarda l’incrocio fra domanda e offerta, la seconda la cosidetta education e la terza la ricollocazione in uscita dagli ammortizzatori sociali.


La complessa situazione del mercato del lavoro e la sempre più evidente probabilità che si crei un consistente bacino di disoccupati pongono le politiche del lavoro e del welfare al primo posto dell’agenda politica dei prossimi mesi. Il completo ribaltamento dell’agenda economica e sociale rende evidente come le scelte fatte in materia di politiche del lavoro negli ultimi due anni, largamente improntate ad uno stampo assistenziale, siano largamente inefficaci.

L’Italia, al pari dell’Unione Europea, deve attuare una chiara rottura e predisporre un piano di riforme e di interventi capaci di dispiegare effetti già nel breve termine. E soprattutto assicurarsi che essi vengano dispiegati in rapidità. L’obiettivo prioritario è che il Paese ritorni a crescere, a un ritmo ben più deciso e solido dell’ante Covid, creando così ricchezza e permettendo al sistema di aumentare il livello di benessere e di coesione sociale.

Produttività è la parola chiave e su questo non bisogna deflettere. Una prima sfera interessa le politiche attive. L’Anpal (l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, che promuove il diritto al lavoro, alla formazione e alla crescita professionale, ndr) deve essere il perno di questa dimensione perché la sua costituzione non può essere rinnegata solo sulla base di scelte manageriali non felici. Si deve uscire dalle «sporche» polemiche di queste settimane – e qui il Ministero deve usare i suoi poteri legali e di moral suasion- e promuovere un piano di azione straordinario che faccia leva su tre direttrici.

Anzitutto, l’incrocio tra domanda e offerta più che mai necessario anche in questa fase della crisi, individuando le esigenze insoddisfatte delle aziende, analizzando i settori che ricercano manodopera e quelli che dismettono lavoratori e lavoratrici, costruendo un’efficiente rete (finalmente) con le Regioni e i centri per l’impiego, fondata su ciò che si fa a livello locale e sull’utilizzo il più massivo e flessibile dei navigator.

Serve certamente – al pari di molti altri Paesi europei sviluppare una applicazione per contrastare il mismatch che venga messa a disposizione dei centri per l’impiego, si integri con le basi informative di cui già dispongono le Regioni e anche altre basi dati (Inps per prime) per seguire e avere informazioni sulle caratteristiche della persona in cerca di lavoro e sulle dinamiche dei mercati aziendali/settoriali. Ma si deve essere consapevoli che non è con l’applicazione che risolviamo i problemi del mercato del lavoro.

Qui si innesta la seconda direttrice: la maggiore integrazione tra politiche del lavoro e politiche dell’istruzione/formazione, la cosiddetta education. Un attento programma di orientamento in cooperazione con le associazioni datoriali, un rafforzamento degli Its, la ripresa delle politiche per l’alternanza scuola-lavoro sono tutte azioni che Anpal deve gestire e promuovere, peraltro fondandosi su basi che già esistono e su positivi programmi svolti negli anni passati ma poi inspiegabilmente chiusi, quasi che il tema delle competenze e del capitale umano non fosse una priorità per il Paese. Oggi poi, con il possibile avvio del Fondo Competenze previsto nel cosiddetto DL Rilancio, Anpal potrà assumere un ruolo guida attuativo molto importante.

Una terza direttrice attiene alla gestione della ricollocazione in uscita dagli ammortizzatori sociali. L’esperienza dell’assegno di ricollocazione non è stata felice, occorre dirlo. Troppo complessa la macchina messa in moto, pochi i risultati ottenuti. Nondimeno, l’intuizione rimane attuale, particolarmente in una fase, come quella che si annuncia, nella quale è necessario diminuire il peso delle politiche passive e aumentare quello delle politiche attive.

È necessario, dunque, ripartendo dalla dote lombarda, promuovere uno strumento più semplice e immediato, combinandolo con le politiche di incentivazione per le assunzioni, eventualmente anche selettive. Una seconda sfera attiene alle politiche passive. Non deve sfuggire a nessuno che il ricorso alla cassa integrazione durerà ancora per molti mesi per molte imprese. Non è una prospettiva che deve fare paura se è vero, come riporta oggi l’ ultimo rapporto Fitch, che senza questo strumento nei Big Five europei la disoccupazione sarebbe di sette punti più alta. E non si tratta neppure di una scelta assistenzialista.

È Importante, dunque, anche nella prossima riforma, tenere attivo questo strumento, che deve essere reso più efficace nel suo utilizzo, ma non deve essere rivoluzionato nei suoi obiettivi e nella sua struttura. La riforma dovrà estenderne i principi di base, allargando la platea di copertura, riducendo la discrezionalità della deroga e disegnandone una gestione separata più condivisa dalle parti sociali e che unisca politiche passive con politiche attive. L’ipotesi che la gestione degli ammortizzatori confluisca in Anpal non deve essere un tabù. Anzi, servirebbe a meglio suddividere politiche del lavoro da politiche del welfare (previdenza, politiche sociali, assistenza). Sarebbe, peraltro, la finale attuazione del Jobs Act e del Libro bianco di Marco Biagi.

L’agenda è sicuramente ambiziosa, ma le risorse finanziarie in arrivo sono significative. Se mettiamo insieme SURE e Recovery Fund, possono aiutare a finanziare l’inizio di robuste politiche del lavoro. È l’ennesima finestra di opportunità per riorganizzare le politiche del lavoro. Non vorrei fosse l’ennesima occasione sprecata dal sistema Italia.

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