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Euro spreco

Euro spreco

I conti delle istituzioni che fanno capo a Bruxelles e Strasburgo sono stati appena approvati. Un budget stellare, che lievita da un anno all’altro e, oltre all’affitto di sedi prestigiose con schiere di funzionari, comprende il mantenimento di oscure Agenzie in tutto il Vecchio continente e di distaccamenti in giro per il mondo.


Pensavate che la furia continentale si sarebbe placata al cospetto dell’eurobanchiere assiso a Palazzo Chigi? Errore. I poteri taumaturgici di Mario Draghi non bastano. L’Unione europea, un giorno sì e l’altro pure, bacchetta l’Italia sciupona, dietro solita minaccia: tenersi il malloppo del Pnrr. Urge, dunque: aggiornare il catasto, incentivare la concorrenza, fare le riforme. E soprattutto, trasformarsi in diligenti padri di famiglia: tagliare le spese, insomma. Specialità in cui, a onor del vero, nemmeno l’Ue eccelle. Le periodiche letterine evocanti austerità sembrano inviate dal Marchese del Grillo, alias Alberto Sordi, quello dell’«io so’ io e voi nun siete un cazzo».

L’Europa brucia. E non soltanto per i focolai economici e politici appiccati dalla guerra in Ucraina, ma anche per i suoi intollerabili sprechi. Il falò delle vanità. I conti del mastodontico apparato di Bruxelles sono stati appena approvati. Che poi, tanto per cominciare, mica c’è solo la capitale belga. La sede principale sarebbe Strasburgo, nata per celebrare la grandeur francese. Viene però usata appena quattro giorni al mese, agosto escluso, in occasione della rituale «plenaria». Sono così costrette a sciropparsi un viaggetto di 440 chilometri oltre 5 mila persone: funzionari, deputati, interpreti e assistenti. Mentre i tir al seguito, come diligenze seicentesche, trasportano documenti e audiovisivi, consumando 19 mila tonnellate di CO2. Ovvero quelle letali emissioni che l’Unione, in ossequio al Green deal, s’è impegnata a ridurre del 55 per cento entro il 2030.

«Lavoratoriii…» schernisce ancora Sordi, stavolta nelle vesti del vitellone felliniano, gli alacri contadini. E giù con una tonante pernacchia. Incongruenze ambientali a parte, la nociva migrazione periodica da Bruxelles a Strasburgo costa un miliardo a legislatura. Cosa fare, allora? Si accorpa? Nemmeno per sogno. Anzi, qualche settimana fa i solertissimi hanno approvato la ristrutturazione di palazzo Paul-Henri Spaak, che ospita l’emiciclo di Bruxelles: costerà mezzo miliardo di euro. Del resto, sono passati la bellezza di 25 anni dalla sua costruzione. «Già nel 2019 erano stati spesi altri 430 milioni per l’intero edificio, molti dei quali destinati a piante, alberi e vere e proprie edere rampicanti lungo i corridoi, come a Strasburgo» ricorda l’eurodeputato leghista Angelo Ciocca, che imbrattò con una scarpa gli appunti dell’ex commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici, reo di attaccare una delle nostre manovre finanziarie. «Ormai non si contano più i soldi destinati alle tre sedi» aggiunge Ciocca. Giusto: perché, oltre a Bruxelles e Strasburgo, c’è anche Lussemburgo, che ospita il Segretariato generale.

A riprova dell’incoerente sciupio, lo scorso 5 maggio sono stati approvati i «discarichi» del 2020, ovvero i bilanci definitivi di consigli, agenzie, autorità, società miste. Si occupano di tutto lo scibile: dalle tossicodipendenze alle traduzioni. Il Parlamento, nel 2020, è per esempio costato quasi 2,04 miliardi. Sostanziosa cifretta in continua crescita. Alcuni esborsi sono più che raddoppiati. Vedi la comunicazione, indispensabile per diffondere il verbo europeo. Nel 2019, anno delle elezioni tra l’altro, disponeva di 39,3 milioni. L’anno successivo sono lievitati del 140 per cento: a 93,5 milioni. Del resto, le eroiche gesta vanno decantate. Anche quelle dei padri fondatori. Cosa volete allora che siano i 22 milioni usati per imperdibili esposizioni, a partire da quelle organizzate nella semideserta Casa della storia europea di Bruxelles, inaugurata nel 2017?

Visto il momento geopolitico particolarmente complesso, la burocrazia continentale può comunque contare pure su un pregiato servizio diplomatico. È il Servizio europeo per l’azione esterna: la Seae. Costa 934 milioni l’anno: 455 servono solo per tenere in piedi le 143 ambasciatine sparse nel mondo, altrimenti dette «delegazioni», dove lavorano 6.114 persone. In cambio di un salario appena dignitoso, 177 mila euro pro capite, si dannano l’anima per rappresentare l’Unione. Che difatti, colma di riconoscenza, sembra non badare a spese per rendere gradevole la loro strategica e perigliosa permanenza.

Il costo annuo degli immobili affittati per le delegazioni è di quasi 62 milioni. Anche i contratti stipulati nel 2020 confermano quanto l’Europa tenga ai suoi emissari, disseminati in ogni angolo del globo. Non lasciatevi però ingannare dall’amenità di certe sedi paradisiache. Pure lì servono frotte di funzionari e diplomatici capaci. Per esempio: i 30 indefessi di stanza a Trinidad e Tobago, perle dei Caraibi, si sacrificano in locali da 205 mila dollari l’anno. A Mauritius si dannano l’anima 32 impavidi in uffici per cui si sborsano 2,5 milioni di rupie locali, quasi 52 mila euro. A Barbados, luogo notoriamente decisivo per le sorti dell’Unione, il quartiere generale dei nostri valorosi costa invece 423 mila euro. I baldi al servizio del continente, d’altronde, sono una cinquantina.

Ancora più corposa è la delegazione nelle isole Fiji, ospitata in degne soluzioni da 123 mila euro l’anno. A buon mercato, in definitiva. A Gibuti, micro stato nel Corno d’Africa, servono 435 mila euro. In Armenia ne bastano 240 mila. Come sull’Himalaya: 242 mila euro è il canone a Katmandu, nel Nepal, luogo ideale per rischiarare idee e definire il daffarsi. Occorrerebbe comunque mettere a reddito, suggeriscono i lungimiranti euromandarini. Così, negli ultimi discarichi vengono elencati indispensabili progetti d’acquisto all’estero: palazzi in Congo e Mali, terreni in Afghanistan. Mentre proseguono ristrutturazioni in mezzo mondo. Decine di sostanziosi investimenti: uffici in Liberia e Uzbekistan o residenze in Guinea Bissau e Nuova Zelanda.

Anche le Agenzie europee sono sparse ovunque, sebbene si mantengano entro i confini continentali. Inarrivabile resta quella per le ferrovie, che ha doppia sede, sempre in territorio francese: l’ordinaria amministrazione si svolge nella placida Valenciennes, sul confine belga, mentre le decisive conferenze e gli strategici incontri avvengono cinquanta chilometri più a nord, a Lille. Logorante andirivieni e indifferibili obiettivi cui sono destinati quasi 31 milioni l’anno e 177 infaticabili.

Le 43 Agenzie, complessivamente, costano circa 3,7 miliardi e impiegano 12.881 persone. La guerra è alle porte, ricorda l’eurodeputato leghista Ciocca. «E l’Europa» aggiunge «invece che discutere delle ripercussioni energetiche, alimentari ed economiche, sembra più preoccupata dei “discarichi” a queste Agenzie dai risultati deludenti. Basti pensare al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, il cui fallimento è divenuto emblematico durante la prima fase pandemica. Mentre altre sono vere e proprie fotocopie, perfino i nomi si assomigliano».

Così Salonicco, in Grecia, ospita il Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale: il Cedefop. Causa a cui si dedica a Torino anche l’Etf, la Fondazione europea per la formazione professionale. Mentre a Budapest si trova il Cepol, specializzato in corsi destinati alle forze dell’ordine. Messi insieme, costano una cinquantina di milioni e impiegano quasi trecento dipendenti.

È la parità di genere, invece, a stare a cuore all’Eige, creata nel 2010 a Vilnius, in Lituania. Dispone di un bilancio di 7,7 milioni. Dà lavoro a 50 persone. Lo scopo è nobilissimo: «Rendere l’uguaglianza di genere una realtà all’interno e all’esterno dell’Ue». Eccezion fatta per il consiglio d’amministrazione dell’istituto stesso. Dove, si rammarica il Parlamento, vige un tremendo «squilibrio di genere». A favore del gentil sesso, però. Si potrebbe chiedere aiuto all’Agenzia europea dei diritti fondamentali, di stanza a Vienna. Per la modica cifra di 24 milioni all’anno, sforna indispensabili consulenze sulle ingiustizie planetarie. Ma il compito più incantevole è certamente quello attribuito della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, a Dublino. Ventidue milioni all’anno investiti per raggiungere lo scopo di ogni esistenza terrena. Una bazzecola, insomma.

Non ha invece bisogno di presentazioni l’Ema, l’Agenzia europea per il farmaco, agli onori della cronaca durante la pandemia. Dopo la Brexit, la sede è stata trasferita da Londra ad Amsterdam. La Corte dei conti segnala però un problemuccio sulla vecchia locazione nella capitale inglese: «Il contratto, avente validità fino al 2039, non contempla disposizioni per una rescissione anticipata». Capito gli strateghi? Mentre facevano le bucce ai conti italiani, si portavano avanti. A fine 2020 mancavano da saldare 377 milioni. Nell’attesa, gli uffici sono stati subaffittati, «ma l’Agenzia potrebbe essere chiamata a rispondere dell’intero importo ancora dovuto a titolo di detto contratto in caso di inadempienza».

Perfetta nemesi, persino i fustigatori della Corte dei conti sono bacchettati. Devono risolvere impellenti questioni etiche e finanziarie su membri e presidente, che sollevano inquietanti dubbi di imparzialità. Vengono elencate irregolarità e frodi: parco macchine, affitti, e conflitti di interesse. Il bilancio passa dunque per pochi voti. Bocciati invece i conti di Frontex, quartier generale a Varsavia, che si occupa della sicurezza delle frontiere interne. Nel 2020 ha speso 364 milioni, dando lavoro a 1.234 dipendenti. Già lo scorso giugno la Corte dei conti europea aveva pubblicato una relazione dal titolo eloquente: «Il sostegno di Frontex alla gestione delle frontiere esterne non è stato, finora, abbastanza efficace».

Insomma, l’Agenzia non supporta abbastanza gli Stati dell’Ue sul controllo dell’immigrazione irregolare e la lotta alla criminalità transfrontaliera. Rilievi a cui si aggiunge un’indagine dell’Olaf, l’Ufficio europeo anti-frode. Le accuse vanno dalla «condotta inappropriata» di alcuni ufficiali sospettati di molestie sessuali ai presunti respingimenti collettivi di migranti nel Mar Egeo. Un mese fa, proprio qualche giorno prima della discussione del discarico, il direttore esecutivo di Frontex, Fabrice Leggeri, s’è dimesso. Tra i rilievi del Parlamento, ci sono anche spese che vanno «contro una gestione responsabile del denaro dei contribuenti». Come la sommetta impiegata per inviare il direttore medesimo a Bruxelles a bordo di un jet privato: 8.500 euro. Solo andata, ovviamente.

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