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Robot trader, la finanza in balia degli algoritmi

Robot trader, la finanza in balia degli algoritmi

I recenti saliscendi dei mercati sono stati causati dagli scambi ad alta frequenza decisi non da persone in carne e ossa, ma da sistemi automatici. Sofisticati software che inviano ordini in frazioni infinitesimali di secondo. Amplificando anche i rischi.

Come vascelli in un mare sempre più tempestoso, i titoli azionari subiscono oscillazioni forti, a tratti violente e spesso imprevedibili. A scatenare le onde sono le dichiarazioni del presidente americano Donald Trump, ora sui dazi commerciali che infiammano i rapporti con la Cina, ora sulla Federal Reserve, ora sullo stato generale dell’economia. Un nervosismo di fondo alimentato dalle prognosi sempre più caute delle istituzioni internazionali, che avvertono di un rallentamento della crescita mondiale.

In questa fase di saliscendi vertiginosi un ruolo cruciale, sebbene spesso invisibile ai più, è svolto da operatori tanto potenti quanto discreti: i cosiddetti «robot trader». Basta guardare al recente tonfo di Wall Street: tra il 2 e l’8 aprile 2025, l’indice S&P 500 ha perso il 10,8 per cento in poche sedute, innescato dall’escalation sui dazi Usa-Cina. Molti analisti concordano: il ribasso è stato alimentato, accelerato, amplificato dagli scambi ad alta frequenza decisi non da trader in carne e ossa, ma da sistemi automatici. Si tratta di software sofisticatissimi, capaci di analizzare un’immensa mole di dati, decidere strategie operative e inviare ordini di acquisto e vendita in frazioni infinitesimali di secondo.
Questa rivoluzione silenziosa ha ridisegnato la natura stessa dei mercati finanziari. Si stima che ormai tra il 60 e il 75 per cento di tutte le negoziazioni a livello globale sia gestito da algoritmi, una percentuale che in alcuni segmenti, come i futures americani, supera l’80 per cento. Una trasformazione che porta efficienza e velocità, ma introduce anche rischi inediti e solleva interrogativi sulla stabilità futura della finanza.

Quando si parla di trading automatico, si entra in un universo complesso, dominato da due principali famiglie tecnologiche. La base è costituita dal trading algoritmico. In sostanza, si tratta dell’uso di programmi informatici per eseguire ordini di Borsa seguendo regole predefinite. Un algoritmo può essere istruito, per esempio, a comprare azioni se il prezzo supera una certa media mobile o a vendere se scende sotto una soglia. L’obiettivo non è solo speculativo. Grandi investitori istituzionali (fondi pensione, assicurazioni) usano il trading algoritmico per eseguire ordini di dimensioni enormi in modo efficiente, frazionandoli per non influenzare troppo il prezzo e ottenere condizioni medie migliori. È una questione di precisione e minimizzazione dei costi su larga scala. Dal trading algoritmico si è evoluta la sua versione più estrema: l’High-frequency trading (Hft). Se il primo è un’auto sportiva, l’Hft è la Formula1 dei mercati, dove l’unica cosa che conta è la velocità pura. Questi sistemi operano in millisecondi e addirittura milionesimi di secondo. Per farlo, le società Hft investono fortune in tecnologia: server potentissimi collocati il più vicino possibile alle Borse e connessioni ultra-veloci. Il loro gioco non è puntare su grandi trend, ma accumulare profitti minuscoli (frazioni di centesimo) su un numero gigantesco di operazioni, sfruttando micro-arbitraggi o agendo da market maker, cioè fornendo liquidità e guadagnando dal differenziale tra prezzo di acquisto e vendita.

Questo dominio algoritmico è globale. Come detto, oltre la metà degli scambi mondiali è automatizzata. L’Italia non fa eccezione. Già nel 2017, la Consob stimava una quota Hft vicina al 30 per cento sull’azionario di Borsa italiana. Dati più recenti indicano un peso complessivo del trading algoritmico intorno al 54 per cento sul segmento After hours.

I protagonisti sono i giganti della finanza: banche d’investimento, hedge fund, istituzionali e società specializzate nel trading proprietario che investono capitale proprio. L’Hft resta un club esclusivo per via degli alti costi. Tuttavia, forme più semplici di trading algoritmico sono accessibili anche a trader privati evoluti tramite piattaforme online, sebbene con capacità non paragonabili a quelle istituzionali. Il funzionamento di un «robot trader» è un ciclo continuo: riceve e processa in tempo reale un flusso enorme di dati (prezzi, volumi, order book, news finanziarie, dati macro, persino il sentiment sui social media). Per interpretarli, usa un arsenale di strumenti: dagli indicatori tecnici classici a tecniche più avanzate. Il vero salto di qualità è avvenuto con l’integrazione dell’Intelligenza artificiale (Ia) e del «Machine learning». Tecniche di «Natural language processing» consentono di «leggere» e interpretare news e tweet per catturare l’umore dei mercati. Modelli di «Reinforcement learning» permettono all’algoritmo di imparare autonomamente le strategie migliori operando in simulazioni. Cruciale è la capacità di adattamento: i sistemi basati sul «Machine learning» possono modificare il comportamento in risposta ai cambiamenti di mercato, senza intervento umano. Una volta generato il segnale, l’ordine è inviato alla Borsa in una frazione di secondo.

Il trading automatico offre molti vantaggi: velocità insuperabile, eliminazione totale dell’emotività, capacità di analisi sovrumana. Nonostante ciò, l’onnipresenza degli algoritmi introduce anche nuove e significative fragilità nel sistema finanziario. Nei momenti di panico, quando il mercato inizia a scendere rapidamente, gli algoritmi tendono a ritirare i loro ordini di acquisto quasi simultaneamente, prosciugando la liquidità proprio nel momento in cui ce ne sarebbe più bisogno. Oltre all’impatto sulla volatilità generale, l’automazione porta con sé rischi specifici e talvolta catastrofici: un semplice bug, un «baco» nel codice, un problema hardware, un errore nella configurazione dei parametri o un aggiornamento software difettoso possono scatenare conseguenze devastanti. Un algoritmo può iniziare a inviare ordini errati, a comprare o vendere quantità enormi di titoli a prezzi fuori mercato, generando perdite milionarie in pochi minuti.

Il caso più famoso e citato è quello di Knight Capital Group nell’agosto 2012: un algoritmo aggiornato male iniziò a comprare e vendere selvaggiamente azioni sul mercato di New York, costando alla società oltre 440 milioni di dollari in meno di 45 minuti e portandola sull’orlo del fallimento. Altro episodio famoso è il Flash crash del 6 maggio 2010, quando l’indice Dow Jones perse quasi mille punti (circa il 9 per cento) in pochi minuti, per poi recuperare gran parte della perdita a fine giornata. Sebbene la causa iniziale possa essere attribuita a un singolo ordine di vendita di grandi dimensioni (eseguito tramite un algoritmo), c’è ampio consenso sul fatto che le reazioni a catena degli algoritmi Hft, sia attraverso il ritiro massiccio di liquidità sia tramite l’attivazione automatica di ordini di stop-loss, abbiano amplificato a dismisura il crollo. Eventi simili, seppur di portata minore, si sono ripetuti, come il mini-crash dell’S&P 500 l’11 maggio 2022, che perse il 5 per cento in 10 minuti a causa, sembrerebbe, di un errore algoritmico.

Non solo. La velocità estrema dell’Hft può essere sfruttata per mettere in atto pratiche manipolative, difficili da individuare e contrastare in tempo reale. Per esempio, inserire grandi ordini di acquisto o vendita senza l’intenzione di eseguirli, al solo scopo di creare una falsa impressione di domanda od offerta e spingere così gli altri partecipanti (umani o algoritmi più lenti) a muoversi in una certa direzione, per poi cancellare rapidamente l’ordine-esca e approfittare del prezzo indotto.

I regolatori globali delle Borse (come Sec e Consob) sono consapevoli dei rischi e cercano di mitigarli con strumenti come i «circuit breaker» (interruzioni automatiche delle negoziazioni in caso di movimenti eccessivi), regole più stringenti sui test degli algoritmi e sistemi di sorveglianza di mercato sempre più sofisticati. Tuttavia, la tecnologia corre velocissima e mantenere il passo è complesso. I robot trader sono ormai parte integrante dell’ecosistema finanziario. Offrono efficienza e liquidità (in tempi normali), ma la loro rapidità e interconnessione li rendono potenti amplificatori di rischio, specialmente durante le fasi di stress. Non sono la causa ultima delle turbolenze, che hanno radici economiche e geopolitiche, ma possono trasformare un’onda anomala in uno tsunami. E rendere il mare della finanza molto più pericoloso.

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