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Rivoluzione per le tasse

Rivoluzione per le tasse

È una delle sfide principali per questo governo: riordinare finalmente un sistema tributario che somiglia a una giungla, in cui si stratificano norme che lo rendono iniquo e inefficace. L’obiettivo? Attraverso vari passaggi, arrivare a una più moderna flat tax. Il problema? Conciliare questo percorso con interessi e conti pubblici.


Che sia la volta buona? La coalizione al governo gode di una maggioranza assoluta in entrambe le Camere e al suo interno la leadership di Fratelli d’Italia è schiacciante, anche dopo le Regionali. Uno scenario ideale per prendere finalmente per le corna il nostro sistema fiscale iniquo, inefficiente e incasinato, e riformarlo in profondità restituendogli equità ed efficacia. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e il viceministro Maurizio Leo stanno già lavorando a una riforma che dovrebbe essere messa a punto entro il mese di marzo. I contenuti non sono ancora definiti, mentre i contorni sono già abbozzati.

Per quanto riguarda l’Irpef, la regina delle imposte sui redditi dei contribuenti, il governo pensa a una serie di interventi su più fasi, passando dalle quattro aliquote attuali (23, 25, 35 e 43 per cento) a tre (23, 27 e 43 per cento) per poi, con gradualità, ridurle ulteriormente. L’obiettivo finale, a medio-lungo termine, è una tassa del 15 per cento su tutti redditi da lavoro e pensioni accompagnata naturalmente da un sistema di detrazioni basato sulla composizione del nucleo familiare e dei suoi redditi, in modo da salvare la progressività della tassazione: uno schema previsto per esempio da una proposta della Lega del 2020. Meloni ha anche parlato dell’introduzione di un quoziente familiare. Parallelamente l’esecutivo dovrà brandire il machete e disboscare la giungla di detrazioni e deduzioni: se ne sono affastellate a decine, disegnate per aiutare questa o quella categoria di contribuenti, come il bonus cultura del governo Renzi o la deducibilità delle spese dal veterinario.

Se da un lato si è riuscito a depotenziare le detrazioni relative ai figli con l’istituzione dell’assegno unico e universale, dall’altro gli sconti per le ristrutturazioni edilizie mostrano come questi bonus, pur avendo obiettivi condivisibili, distorcano il sistema premiando chi guadagna di più. Sul fronte dell’evasione fiscale, l’idea è riproporre un concordato preventivo riservato ai lavoratori autonomi, spingendoli a concordare, appunto, con l’amministrazione delle entrate un livello di reddito realistico relativo ai due anni successivi su cui pagare le imposte, ottenendo in cambio l’esenzione dagli accertamenti. Va ricordato che tra i lavoratori indipendenti la propensione all’evasione è pari al 70 per cento (come del resto è elevata anche in altri Paesi europei). Infine, viene escluso l’aggiornamento del catasto per sgombrare il campo da ogni eventuale aumento della tassazione sulla casa.

Il governo Meloni ha quindi di fronte un lavoro estremamente impegnativo per ridurre se non eliminare le profonde distorsioni del nostro sistema fiscale. Nell’ultimo libro scritto insieme a Giovanna Faggionato (La guerra delle tasse, Editori Laterza) l’ex ministro Vincenzo Visco denuncia: «L’Italia si ritrova, all’inizio degli anni Venti del Duemila, con un’ampia erosione dei redditi di impresa, senza tassazione sul patrimonio, con un sistema catastale ancora non aggiornato, con un sistema iniquo e concentrato sulla tassazione del lavoro e ancora di più del lavoro dipendente e da pensioni».

Immaginiamo il caso estremo di un italiano che non lavora e possiede 10 milioni di euro, magari frutto di un’eredità: se li investe solo in titoli di Stato, paga un’aliquota di appena il 12,5 per cento sui suoi redditi e non deve neppure presentare una dichiarazione. Se invece decide di investirli in immobili da affittare, dovrà versare solo il 21 per cento grazie alla cedolare secca. Chi al contrario ricava il suo reddito dal lavoro paga molto di più, oltre il 25 per cento senza contare i contributi. «Solo riallineando alle aliquote Irpef la cedolare sugli affitti» ricorda Visco nel suo libro «rientrerebbero nelle casse dello Stato 2,3 miliardi di euro in più, che vengono “regalati” invece a chi possiede una abitazione oltre alla prima da affittare a terzi».

Queste macroscopiche anomalie sono il frutto della progressiva distruzione dell’Irpef. Che Alessandro Santoro, professore di Scienza delle finanze alla Bicocca di Milano (ha collaborato con il governo di Mario Draghi), considera la prima area di sofferenza del nostro Fisco: «In origine tutti i redditi sarebbero dovuti rientrare nell’Irpef, sia quelli da lavoro, sia quelli da capitale. Ma con gli innumerevoli interventi introdotti in 50 anni, l’imposta sui redditi delle persone fisiche ha perso la sua struttura, è diventata una somma di disposizioni accavallate l’una sull’altra, priva di equità e generalità. È un’Irpef à la carte, ognuno ha la sua». Mentre i redditi da capitale o da immobili vengono tassati in modo diverso a seconda che provengano da titoli pubblici, azioni o da contratti con cedolare secca, quelli da lavoro sono trattati a loro volta in misura differente in base alle detrazioni di cui godono i loro percettori. «Sembra che in questo Paese quando a un politico viene in mente di aiutare una certa categoria, la prima cosa che fa è proporre una nuova agevolazione fiscale» chiosa Santoro.

Il risultato è che abbiamo un sistema complicato e squilibrato: troppe le vie di fuga a disposizione dei contribuenti. E di conseguenza le aliquote restano elevate per salvare i conti pubblici. Quindi «non basta ridisegnare aliquote e scaglioni, ma occorre una riforma organica dell’Irpef» sostiene Santoro. Secondo il professore della Bicocca la soluzione ideale sarebbe riportare tutti i redditi nell’Irpef, sia quelli da lavoro, sia da capitale, e abbassare le aliquote. Si otterrebbe di fatto, a parità di gettito, un aumento della tassazione sul patrimonio e un abbassamento delle imposte sul lavoro. Come ci chiedono da anni Commissione europea e Fondo monetario. Ma questa soluzione, ammette Santoro, è politicamente inattuabile e bisognerebbe accontentarsi di raggiungere un obiettivo più modesto, già abbozzato da Draghi, che vedremo più avanti.

Il secondo fronte è la lotta all’evasione: in questi ultimi anni sono stati ottenuti dei buoni risultati (in cinque anni il tax gap, cioè lo scarto tra quello che lo Stato incassa e il gettito teorico in assenza di evasione, si è ridotto, in termini relativi allo stesso gettito teorico, di 5 punti percentuali) ma il livello di nero è ancora troppo alto. Quindi bisognerebbe dare all’amministrazione gli strumenti giusti per combattere l’evasione fiscale.

Visti con questa prospettiva, i provvedimenti prospettati dall’esecutivo vanno nella giusta direzione? L’insistere su riduzione delle aliquote, su flat tax o su concordato preventivo non ci allontanano forse dall’obiettivo di una maggiore equità? A queste domande Santoro risponde in modo laico e anche sorprendente: «Il numero di scaglioni o di aliquote non è importante, la progressività si ottiene anche con un corretto sistema di detrazioni. E il concordato preventivo in sé non va demonizzato, se ne sono fatti tanti con risultati alterni: se l’asticella del reddito futuro del contribuente è collocata in posizione sufficientemente ambiziosa, può funzionare ma bisogna stare molto attenti a non trasformarlo in un condono generalizzato che sarebbe inaccettabile». Invece il quoziente familiare ora servirebbe a poco, alla luce del nuovo assegno per i figli, molto utile sarà la revisione delle detrazioni. «Ma è difficile da realizzare se nel contempo non si riorganizza l’Irpef nel suo complesso» avverte lo studioso.

Gli esperti che, come Santoro e Visco, hanno avuto occasione di lavorare con i governi passati sanno quanto sia difficile per i politici realizzare una riforma organica del Fisco. Basti pensare a cosa è successo al progetto avviato da Draghi con un disegno di legge che prevedeva anche l’aggiornamento del catasto: «La parte più rilevante della riforma proposta» ricorda Visco «era la revisione del sistema di imposizione personale sui redditi con l’introduzione “graduale” di un sistema organico di dual income tax. Il sistema duale distingue i redditi di lavoro da quelli di capitale. Mentre i primi continuerebbero a essere soggetti all’imposizione progressiva, ai redditi di capitale si applicherebbe una sola aliquota proporzionale». Una piccola rivoluzione, insomma, che avrebbe lentamente portato tutti i redditi da capitale ad avere la stessa aliquota. Niente di drammatico. Eppure il progetto è stato colpito e affondato. Chi tocca il Fisco si scotta.

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