Spericolati investimenti finanziari e immobiliari che finiscono male. E ora, a causa della pandemia, una riduzione drammatica delle entrate. La Santa Sede deve far fronte a un 2020 complicato per le sue finanze. E Papa Francesco punta a tagli e risparmi fino a ora impensabili.
Sta scritto: «Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera?» (Luca 16, 1-13). Per Francesco è un bel problema; i bilanci del Vaticano in profondo rosso con entrate causa Covid-19 precipitate del 45%, la Curia in subbuglio, le galere papali che ospitano (presunti) truffatori. La cronaca s’incarica di annunciare che è alle viste il terzo Vatileaks col Papa che evangelicamente pensa: «Non potete servire Dio e la ricchezza».
Il Vaticano sempre attento agli affari immobiliari – il suo patrimonio è sterminato: vale 6 miliardi in Italia, 2.000 miliardi nel mondo, a cui si aggiungono 5 miliardi in titoli e pare 60.000 tonnellate d’oro, 140 miliardi, il doppio della riserva di Banca d’Italia – con un palazzo a Londra ci ha rimesso tanti quattrini e ha incassato l’ennesimo scandalo finanziario. È il caso dell’immobile di Sloane Avenue 60. Sono finiti dentro le papali galere in cinque, tra loro anche il «finanziere» anglomolisano Gianluigi Torzi tornato ora in libertà che annuncia rivelazioni esplosive. Il Papa sta cercando da anni di mettere sotto controllo i conti e compulsivamente assume e licenzia controllori e vertici dei suoi dicasteri «economici».
È il caso clamoroso di Eugenio Hasler per 12 anni massimo funzionario del Governatorato economico «sollevato dall’incarico» in un pomeriggio. La sua colpa? Aver aiutato il cardinale George Pell che il Papa aveva voluto come tagliatore di sprechi e moralizzatore. Perciò la confusione sotto il Cupolone è massima e i conti non tornano mai. Il dossier Londra, finanziato con le elemosine dell’Obolo di San Pietro che dovrebbero servire per la carità e le spese del Papa – parte con 200 milioni investiti nel petrolio angolano da monsignor Angelo Becciu allora Responsabile degli affari vaticani poi promosso cardinale e rimosso.
L’affare va male e per recuperare ecco che dal Credit Suisse – dove il Vaticano deposita oro e soldi donati dai fedeli – si fa largo R. M., un broker molto attivo. Propone l’affare del palazzo poi rigirato a Torzi. Alla fine l’Obolo di San Pietro paga 15 milioni a M. per il disturbo e altri dieci a Torzi. A sette anni dall’investimento Oltretevere non è arrivato un euro, ma il Vaticano continua a fare bizzarri investimenti, come finanziare attraverso il fondo di Enrico Crasso gli occhiali di Lapo Elkann o la produzione del film Rocketman sulla biografia di Elton John.
Che le cose così non potessero andare lo sapeva benissimo George Pell. Il Papa incarica il cardinale di rimettere a posto la finanza. Ma Pell fa di testa sua e perciò opportuna giunge la (falsa) accusa di pedofilia per farlo sloggiare. Nei tanti dicasteri e uffici che amministrano i soldi della Chiesa è un turbinio di accuse, rimozioni, mentre i fedeli continuano a versare all’Obolo. Il Papa nomina e poi licenzia Libero Milone, chiamato da Deloitte come revisore dei conti. Arriva Alessandro Cassinis Righini, ma ad interim perché Francesco sembra ossessionato dai complotti finanziari. Così affida il ministero delle finanze vaticane al cardinale Edgar Peña Parra che però è in ambasce per «l’affare» londinese. E allora il Papa chiede in prestito ai suoi Gesuiti l’uomo della previdenza. Arriva Juan Antonio Guerrero Alves, prefetto della Segreteria per l’Economia del Vaticano.
È un semplice monsignore che riferisce al Segretario di Stato Pietro Parolin e che cerca di ricevere quanti più soldi può dal cardinale Giuseppe Bertello, il «sindaco» della Città del Vaticano. È il solo che può salvare i conti di Oltretevere perché da lui dipendono i Musei vaticani – la vera miniera d’oro del Papa – le visite turistiche a Castelgandolfo e l’Obolo di San Pietro che però si è più che dimezzato da quando Bergoglio è papa passando da 90 milioni a meno di 50 e quest’anno, si teme, a meno di 30.
Un altro po’ di soldi Guerrero Alves li riceve dallo Ior – la banca vaticana che si porta ancora dietro la fama sinistra di Paul Marcinkus – che dovrebbe versare quest’anno 38 milioni di utili e altri quattrini potrebbero arrivare dall’Apsa, la società immobiliare dove si è insediato dopo lo scandalo londinese un laico, Fabio Gasperini, che affianca il cardinal Nunzio Galantino. Ma l’Apsa non ha più una sua contabilità: tutti i dati li conosce e li tiene solo Guerrero Alves divenuto una sorta di «curatore fallimentare».
Da anni la gestione d’Oltretevere è in rimessa di 60/70 milioni a esercizio – entrate 270 milioni uscite 330 – e di certo non per le opere di bene; per la carità si spendono meno di 8 euro ogni 100. Quest’anno però nei conti, come detto, c’è una voragine, con le entrate in contrazione del 45 per cento. I Musei vaticani non hanno incassato per quattro mesi causa coronavirus, l’Opera romana pellegrinaggi – il potentissimo tour operator del Papa – non ha fatturato e i fedeli versano molto meno. I tre Paesi maggiori contributori sono Usa, Italia e Germania.
Dagli Stati Uniti le donazioni si sono ridotte di oltre la metà. La battaglia che Francesco ha ingaggiato contro Raymond Leo Burke, accusato da Francesco di vivere nel lusso, uno dei quattro cardinali che hanno firmato i dubia contro l’enciclica papale Amoris Laetitia ha raffreddato i cattolici americani che ora «penalizzano» il Vaticano, l’8 per mille in Italia è in forte contrazione e in Germania il gettito verso la Chiesa cattolica si è ridotto del 30%. Due settimane fa Guerrero Alves è andato dal Papa con conti preoccupanti.
Francesco ha chiamato tutti i capi dei dicasteri e ha imposto una sorta di austerità. Non si pagano più gli straordinari, non ci saranno assunzioni, anzi se possibile si licenzia (gli ultimi cinque il mese scorso) e si cerca di risparmiare nella gestione degli ospedali che è stata commissariata già da quattro anni. Ma – tanto per dirne una – all’Idi (Istituto dermopatico dell’Immacolata) di Roma trasformato in centro Covid-19 medici e infermieri minacciano lo sciopero per il taglio degli stipendi. Ora è scoppiata anche la grana Avvenire. Con le parrocchie chiuse le copie del quotidiano sono crollate: -18,37% in aprile e -6,7 per cento su base annua.
La campagna che ha fatto perché sotto Covid le chiese rimanessero chiuse e l’appoggio incondizionato al governo Conte (sponsorizzato dal cardinale Pietro Parolin) sono costati parecchio alla Cei. Si dice che il cardinale di Perugia Gualtiero Bassetti, che è l’editore del giornale, abbia proposto una sostanziosa liquidazione al direttore Marco Tarquinio. È uno scontro tra umbri: il giornalista di Assisi subito si è messo in polemica con i vescovi sulla legge anti-omofobia. Guerrero ha cercato di convincere il Papa a fare un po’ di economie anche su quel fronte.
Ma Francesco non è disposto a rinunciare ai media. Anzi in Vaticano c’è chi sussurra che il Papa vorrebbe guidare una Chiesa in povertà e sta pensando a una patrimoniale da mettere su tutte le proprietà degli ordini religiosi. L’alternativa è che dall’Italia arrivi un sostanzioso contributo. Il cardinale Parolin ha telefonato spesso in questi mesi al suo ex allievo di Villa Nazareth Giuseppe Conte per sbloccare i Musei vaticani e per dilazionare le (poche) tasse che il Vaticano paga (sono meno di 17 milioni). Avrebbe proposto una sorta di Recovery fund per Oltretevere. Anche perché il Papa ha spostato l’incasso dell’Obolo di San Pietro dal 29 giugno al 4 ottobre, festa di San Francesco. Perciò, acqua santa a parte, in Vaticano sono a corto di liquidi.
