La storia è piena di corsi e ricorsi, di eventi che si ripetono per moventi e modalità, e uno dei suoi più famosi ha per protagonisti la Russia ed il suo temutissimo inverno. Più volte è stata invasa ed altrettante volte l’invasore è stato respinto. Le sconfinate steppe russe hanno segnato la fine di molte armate, sconfitte dall’arrivo dal più fedele alleato della Russia: il Generale Inverno. Oggi stiamo assistendo ad un’altro conflitto dove però la Russia non viene invasa ma colpita dalle sanzioni economiche e finanziarie dell’Occidente che, da un lato tendono ad impedire le esportazioni delle materie prime russe, mentre dall’altro cercano di bloccare l’ingresso nel paese di tecnologie necessarie alla sua industria.
Oggi, anche se il Generale Inverno non ferma le sanzioni, il ruolo del territorio russo resta determinante in un mondo in cui la domanda globale di materie prime, essenziali per lo sviluppo tecnologico e la transizione ecologica, sta crescendo in modo esponenziale per l’aumento dei flussi commerciali e la crescita demografica nei Paesi emergenti. Ed in questo contesto la Russia è il paese più ricco del mondo, la stima delle sue risorse naturali rappresenta un valore totale equivalente a 75.000 miliardi di dollari. Le risorse del Paese includono importanti depositi di diamanti, oro, platino, palladio e carbone, oltre a vaste riserve di ferro, manganese, cromo, nichel, titanio, rame, stagno, piombo e tungsteno.
Le strategie sanzionatorie dell’Occidente stanno causando una crescente inflazione dovuta all’aumento del prezzo di alcuni metalli e minerali che si somma alla crescente domanda legata alla transizione energetica. Per Mosca, la sfida si è quindi trasformata in un buon affare, in quanto utilizza le proprie risorse minerarie come arma di ritorsione nei confronti dei Paesi sanzionatori. Da tempo, la politica mineraria russa tende a diversificare le proprie fonti di reddito dagli idrocarburi che hanno creato una dipendenza strutturale per le finanze pubbliche del Paese.
La Russia intende perseguire lo sviluppo e la modernizzazione di un settore industriale che non risente delle sanzioni e che è ormai diventato strategico. Dallo sfruttamento dei giacimenti di diamanti ai metalli preziosi allo sviluppo di una catena del valore sui “metalli tecnologici” passando per il rilancio del settore carbonifero. Nell’attuale contesto internazionale questa strategia le consente di sviluppare le esportazioni minerarie le cui spedizioni sono più flessibili e modulabili, rispetto a quelle degli idrocarburi, e di utilizzare le proprie competenze tecnologiche nel settore come strumento di influenza geopolitica, soprattutto in Africa.
Quando terminerà il conflitto con l’Occidente, la Russia potrà posizionarsi stabilmente come grande potenza mineraria globale: probabilmente “la” potenza mineraria del XXI secolo. Il Paese è un vasto serbatoio di vari metalli e minerali, che coprono l’intera Tavola Periodica degli Elementi e la produzione mineraria russa rappresenta, secondo alcune stime, già oggi il 14% della produzione mineraria mondiale. In altre parole, le materie prime necessarie alla nostra transizione energetica rafforzano la dipendenza delle nostre società dal settore minerario e di conseguenza dalle riserve minerarie russe. Il paese detiene la terza riserva mondiale di nichel, la quarta riserva di uranio e di rame, tutti elementi essenziali per la transizione energetica.
Il rame evidenzia l’aspetto strategico che i giacimenti russi potrebbero svolgere nei prossimi decenni in un mercato attualmente dominato da Cile e Perù, le cui riserve però iniziano a scadere qualitativamente, mentre questo metallo resterà indispensabile nelle nostre società moderne. Infatti, in un momento in cui le prospezioni non identificano nuovi grandi depositi di metallo rosso a livello globale, la Russia si prepara a iniziare a sfruttare la miniera di Udokan, nella Siberia orientale, che con 26,7 milioni di tonnellate di riserve, diventerà il terzo deposito di rame operativo al mondo.
Numerosi progetti sono in sviluppo nella regione artica per l’estrazione di metalli preziosi: si ritiene che il sottosuolo nella regione di Monchetundra, situata nel distretto di Monchegorsk, contenga fino a 400 tonnellate di platino e oro. La società mineraria Beloye Zoloto detiene la concessione del giacimento di Kyuchus, situato vicino a Tiksi, sul mare di Laptev, che contiene oltre 175 tonnellate d’oro. La Russia e i suoi partner rappresentano circa il 57% delle nuove forniture di oro fisico per il mondo ogni anno, e con l’inclusione di Venezuela e Perù, tale quota aumenterebbe al 62%. Un fatto poco noto è che la più grande esportazione non energetica della Russia è costituita da lingotti d’oro.
Non è un mistero che il Cremlino ritenga di poter rompere il monopolio della London Bullion Market Association (LBMA) istituendo un proprio cartello sui prezzi con la maggior parte delle nazioni produttrici di metalli preziosi del mondo. Nell’ultimo vertice BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) è emersa la crescente evidenza di un piano da parte di questi paesi per sostituire il dollaro statunitense con una nuova valuta basata sulle materie prime. In quell’occasione Vladimir Putin ha dichiarato che “La questione della creazione di una valuta di riserva internazionale basata su un paniere di valute dei nostri paesi è in fase di elaborazione“.
Secondo Ronan Manly, di Bullion Star, le potenze occidentali dovrebbero porre la dovuta attenzione su queste alleanze: se 3 miliardi di persone usano una nuova valuta sostenuta da oro e materie prime è qualcosa su cui è opportuno non scherzare. Quando LBMA al centro del commercio globale di metalli preziosi ha escluso la Russia dai mercati internazionali per l’oro e l’argento Mosca ha cercato acquirenti alternativi. Non doveva guardare lontano: la Cina ha importato 108,8 miliardi di dollari di oro russo a luglio con un aumento del 750% rispetto a giugno e del 4.800% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. Anche se molti ipotizzano che la Cina sia solo una delle numerose nuove destinazioni per l’oro russo, in Asia e in Medio Oriente.
Per le potenze occidentali, il fatto che la Russia sia così profondamente integrata nelle catene del valore di numerosi segmenti dell’economia, come aeronautica, industria automobilistica, comunicazioni ed energia, rende difficile mettere in atto sanzioni efficaci. Pertanto, se la statunitense Boeing ha sospeso le sue forniture di titanio con Rostec, il gruppo europeo Airbus ha continuato ad acquistarle dalle sussidiarie di Rostec. Analoga situazione per il gruppo minerario Alrosa: mentre il Dipartimento del Tesoro statunitense ha inserito il gigante dei diamanti nella sua lista di aziende da sanzionare, l’UE ha deciso di non imporre sanzioni su pressione del Belgio. Anversa è uno dei centri commerciali di diamanti più grandi del mondo e probabilmente ha influito sensibilmente nella decisione europea.
Quello dei diamanti è un altro settore dove l’Occidente dimostra l’inefficacia delle sue sanzioni. Alrosa, il più grande produttore globale, produce ogni anno tra i 35 e i 40 milioni di carati. E la Russia svolge un ruolo cruciale nel Kimberley Process, il forum istituito su mandato delle Nazioni Unite, per certificare la vendita di diamanti grezzi e conferire maggiore trasparenza alla produzione, soprattutto in Africa. La presenza della Russia a capo di due dei sei gruppi di lavoro del Kimberley Process ha impedito di includere l’uso di forze paramilitari private, il riferimento alla Wagner non è casuale, nella definizione di “diamanti di conflitto” e di fatto Mosca ha il dominio sia economico che politico su questo segmento.
Nel settore delle terre rare, dove l’Occidente dipende dalla Cina, la Russia detiene la quarta più grande riserva di minerali di terre rare al mondo pari a 12 milioni di tonnellate che la pone molto al di sopra di Australia e Stati Uniti. Tuttavia secondo Vladimir Putin, si consideri che ha un master in economia dell’Istituto Minerario di San Pietroburgo, la Russia potrebbe, in realtà, essere al primo o al secondo posto, per la metodologia di valutazione delle riserve, diversa dallo statunitense USGS, e soprattutto per il vasto territorio inesplorato.
Inoltre è concreta la possibilità che Mosca imponga un embargo su alcuni metalli strategici per i paesi occidentali reindirizzando i suoi flussi produttivi verso paesi “amici”. Tuttavia, per quanto i paesi colpiti potrebbero ricorrere a nuovi fornitori esistono casi, come quello del palladio, di cui Mosca detiene il 38% della produzione mondiale, dove un embargo avrebbe un impatto finanziario minimo, dato che rappresenta appena lo 0,43% del PIL, ma provocherebbe una crisi produttiva all’industria automobilistica occidentale. Crisi che potrebbero essere indotte nei mercati globali anche a seguito di restrizioni alle esportazioni di nichel componente essenziale nella produzione di alcuni modelli di batterie per veicoli elettrici.
Se consideriamo singolarmente ogni segmento dell’industria estrattiva russa non ne riscontriamo nessuno che la renda una potenza mineraria specializzata, come, ad esempio, il caso del cobalto per la Repubblica Democratica del Congo, ma valutata nel suo complesso si tratta di un’industria in grado di rendere il Paese un attore essenziale per soddisfare le esigenze delle grandi potenze industriali, in particolare in Asia.
