Il giardino pensile più grande d’Europa sul tetto della Fiat a Torino. Piazzale Loreto a Milano che si trasforma da grande snodo di traffico a luogo di incontro verde. Viaggio nelle metamorfosi delle città e nella mente degli architetti che le stanno progettando.
Henry David Thoreau in Walden ovvero vita nei boschi, uno dei libri più emozionanti che la letteratura conosca, scrisse: «Le cose non cambiano, siamo noi che cambiamo». Dopo la pandemia siamo diversi e anche i luoghi dove viviamo, desideriamo che lo siano. La parola del momento è «riqualificazione». E molti progetti nati prima del Covid ora sono in dirittura d’arrivo. Ne abbiamo scelti quattro che in comune hanno la nascita di «nuove centralità» urbane.
Il primo a essere terminato, aperto al pubblico da novembre, è La Pista 500 che vede trasformata nel più grande e alto giardino pensile d’Europa la celebre pista del Lingotto, dove un tempo venivano testate Balilla e Topolino. Un polmone verde progettato dall’architetto Benedetto Camerana, affiancato per la scelta botanica dalla famosa paesaggista Cristiana Ruspa. «La natura ha preso il posto del cemento» spiega l’architetto torinese. «L’idea è stata di Ginevra Elkann, presidente della Pinacoteca Agnelli. Mi chiese se fosse possibile avere come i newyorkesi una nostra High Line». E così sono state collocate 40 mila piante di 300 specie e varietà, suddivise in 28 isole. «Volevamo creare un giardino indigeno, spontaneo, come se i semi fossero stati portati dal vento». Un Rinascimento «green», dove si passeggia tra lavande, timo, salvia, euforbia, iperico e piante tintorie dai colori meravigliosi. «Quando fu costruito negli anni Venti il Lingotto era una fabbrica all’avanguardia, un capolavoro che si sviluppava in verticale. Nel 1984, dopo un concorso di idee voluto da Gianni Agnelli, ha inizio la sua nuova storia. Renzo Piano lo trasforma, creando una sorta di città. Ma la pista per 30 anni è rimasta senza una funzione, un’icona abbandonata, che d’estate diventava una distesa di asfalto rovente».
Oggi è un giardino ad alta biodiversità con una pista riservata alle auto elettriche. Si potrà fare jogging su un percorso di oltre un chilometro, ci sarà un’area per meditazione e yoga, amache e panchine per ammirare il paesaggio a 360 gradi, uno spazio per le mostre e un bar tra i più raffinati di Torino. «La città post Covid riscopre lo spazio aperto come valore assoluto» conclude Camerana.
Anche Milano è ripartita. Il progetto LOC, Loreto Open Community, trasformerà uno dei luoghi simbolo della nostra storia da grande snodo di traffico a piazza verde. «Uno spazio che sarà un simbolo di architettura contemporanea e di vita» afferma l’architetto Andrea Boschetti, ideatore del piano (studio Metrogramma) insieme all’architetto Andrea Caputo, fondatore dell’omonimo Studio, co-progettista del masterplan di LOC e progettista del palazzo che sorgerà su via Porpora. Il progetto restituisce alla città 24 mila metri quadrati di spazio pubblico, di cui oltre 12 mila organizzati su tre livelli, ospitati nell’area dell’attuale piazzale intorno alla fermata della metropolitana. Diventerà un distretto urbano del commercio, ospiterà coworking e un asilo. «Vista la rilevanza non abbiamo voluto calare nulla dall’alto, sono stati attentamente ascoltati i cittadini e le loro necessità». Grande importanza sarà data al verde, ma niente vasi, le piante verranno direttamente interrate. «Metà dello spazio sarà nel mezzanino, altri 3 mila metri quadri saranno a protezione delle strade che continueranno a girare nel quadrato intorno alla piazza. E altrettanti verrano disposti al primo livello, sopra grandi padiglioni, contenitori di servizi, come vaste terrazze».
Il tutto sarà il più possibile «carbon neutral»: «C’è un tema di ingegneria ambientale estremamente sofisticato. Si tratta di una grande sfida. Con una riduzione di oltre il 35 per cento di smog in quel punto. Oggi per attraversare piazzale Loreto ci vogliono più di 15 minuti e scendere nel sottopassaggio significa trovarsi in una zona insicura e degradata» dice Boschetti.
Un’altra zona squalificata che sta per conquistarsi una nuova vita è il quartiere San Paolo di Bari. Periferia difficile, palazzoni seriali, uno di quegli esempi di urbanistica anni Settanta, come il famigerato Zen di Palermo o Corviale a Roma. Partiti con le migliori intenzioni e finiti con il suicidio dell’architetto. Almeno così vuole una leggenda su Corviale. Gli ideatori sono Stefano Antonelli e Gianluca Marziani, che parlano di «museoformazione urbana», una trasformazione che ambisce a fare del quartiere un museo d’arte grazie a importanti interventi di Street Art. Spiega il curatore Marziani: «Io la chiamo rigenerazione umana perché per sei mesi è stato fatto un lavoro approfondito sulla comunità. Ogni artista ha conosciuto gli abitanti del palazzo su cui sarebbe intervenuto, sono stati creati laboratori per l’ascolto, il confronto e la discussione. Certo, non è stato semplice, quando abbiamo aperto il primo cantiere la via non era neanche presente nel catasto. Come non esistesse».
I sopralluoghi sono iniziati nell’estate del 2020, al momento otto muri sono terminati, ma si arriverà a 12. «Non è semplice decorazione, ci siamo concentrati su temi sociali, come quello della città, oggi diventato centrale. Ormai il museo chiuso tra quattro mura è un’idea vecchia. E poi tutto questo porterà alla sistemazione delle infrastrutture, dalla rete fognaria a quella idrica, fino alle aree verdi. Sarà un volano per altri interventi».
Un’idea simile pervade il progetto di Marco Casamonti e del suo studio Archea Associati per la riqualificazione di Ponte di Legno, stazione sciistica sotto il ghiacciaio del Tonale. «Il virus ci ha fatto riscoprire i luoghi dell’abitare, il valore dello spazio, vogliamo vite più rilassate, meno spostamenti e meno inquinamento. Si è sentita la necessità di riqualificare» afferma Casamonti. Anche nei luoghi di vacanza, come questo, dove sorgeva il municipio, al centro del paese, nascerà uno stabilimento termale aperto ai cittadini. Un luogo di aggregazione che punta ad allungare la stagione turistica. Spiega l’architetto: «L’edificio delle nuove terme si protende dalle viscere della montagna fino a scalare il cielo. Dove prima c’era il luogo della politica, ora ne avremo uno dedicato al benessere. Al centro oggi c’è la vita delle persone e il loro stare bene».
La struttura architettonica è come un blocco di ghiaccio con vetrate bianche su cui si riflettono le montagne, caratterizzato da una profonda fenditura, un crepaccio artificiale che termina in un’enorme vasca d’acqua a 12 metri sotto terra. Si tratta di 8 mila metri quadrati che si svilupperanno su più livelli, raggiungibili da ascensori panoramici: «Sul tetto ci sarà una piscina di acqua calda, dove immergersi anche d’inverno». L’inaugurazione è prevista nel 2023: «Cambierà la percezione del luogo e il vapore acqueo che emanerà dalla vasca più alta disegnerà nuove nuvole. Questa è architettura emozionale, non dimensionale». n
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