La riforma dei valori del patrimonio immobiliare degli italiani si propone di eliminare gli squilibri. Il governo continua nelle sue rassicurazioni («non ci saranno rincari») ma in tante città aumenterà l’imposta sulle seconde case, sulle prime abitazioni considerate «di lusso» e su quelle ristrutturate.
Guerra in Ucraina, crisi energetica, pandemia di Covid: succede di tutto nel mondo. Ma il governo italiano ha rischiato di cadere su un provvedimento che non ha niente a che fare con queste emergenze, andrà in vigore tra ben quattro anni e, promette l’esecutivo, non farà aumentare le tasse. Il problema è che la riforma avviata dal governo di Mario Draghi riguarda la casa. Tema delicatissimo in un Paese dove la proprietà immobiliare è molto diffusa (circa l’80 per cento degli italiani vive in una casa di proprietà, certifica l’Istat), la fiducia verso lo Stato rasenta lo zero e la convinzione di essere tartassati è solida come una roccia.
Che cosa prevede la norma. Il provvedimento tanto temuto è racchiuso nel disegno di legge delega per la riforma fiscale, trasmesso alle Camere il 29 ottobre 2021. All’articolo 6, un paragrafo di 16 righe, affronta il tema del catasto. Ecco che cosa recita la prima parte del testo: «La legge delega prevede una modifica della disciplina relativa al sistema di rilevazione catastale, al fine di modernizzare gli strumenti di individuazione e di controllo delle consistenze dei terreni e dei fabbricati, e un’integrazione delle informazioni presenti nel catasto dei fabbricati in tutto il territorio nazionale, da rendere disponibile a decorrere dal primo gennaio 2026. Ciò premesso, va, in primo luogo, sottolineato che alla disposizione in esame non si ascrivono effetti di natura finanziaria sul lato delle entrate, stante la prevista invarianza della base imponibile dei tributi, la cui determinazione continuerà a fondarsi sulle risultanze catastali vigenti». Questa riforma, attesa da anni (l’ultimo a provarci fu Matteo Renzi, costretto a un rapido dietrofront) si propone di assegnare a ciascuna unità immobiliare un valore patrimoniale e una rendita in linea con gli attuali valori di mercato e prevede l’introduzione di meccanismi di adeguamento periodico.
In pratica l’Agenzia delle entrate da qui al 2025 attribuirà a ogni immobile un valore di vendita e uno di locazione utilizzando come unità di misura non più il vano catastale, come oggi, ma il metro quadrato, come si fa nelle normali compravendite. Inoltre dovrebbe anche andare a caccia degli immobili non censiti che sarebbero 1,2 milioni.
Gli effetti della riforma. L’obiettivo è consentire allo Stato di avere un quadro più realistico sul valore del patrimonio immobiliare degli italiani. E, in prospettiva, di eliminare molti squilibri: ci sono immobili di pregio che pagano poche imposte e case di periferia che invece sono tassate troppo. Già questo proposito, all’apparenza condivisibile, ha fatto scatenare però le proteste del centrodestra: il timore è che alla fine le imposte sulle case possano aumentare in maniera indiscriminata, mandando in cavalleria l’obiettivo dell’«invarianza della base imponibile».
Ma come cambierebbero i valori delle rendite catastali? Il Servizio lavoro, coesione e territorio della Uil, guidato da Ivana Veronese, ha provato a dare una risposta realizzando delle simulazioni basate sui valori dell’Osservatorio mercato immobiliare relativi alle compravendite del secondo semestre del 2020. Il riferimento è un appartamento ubicato in zona semi centrale nelle città capoluogo di Regione.
Come c’è da aspettarsi, con la riforma le rendite catastali subiranno un forte aumento. Dall’elaborazione emerge infatti che, a livello nazionale, con i nuovi valori catastali mediamente le rendite saliranno del 128,3 per cento con punte del 189 a Trento, 183 a Roma, 164 a Palermo, 155 a Venezia, 123 per cento a Milano. Di conseguenza, se la ricognizione dell’Agenzia delle Entrate non sarà utilizzata solo a fini statistici, i nuovi valori farebbero aumentare l’Imu, l’imposta municipale propria sulle seconde case e sulle prime abitazioni di lusso: a livello nazionale l’incremento sarebbe, per l’appartamento-tipo, di 1.150 euro passando dagli attuali 896 euro a 2.046 euro.
Geografia del rincaro.A Roma il rincaro dell’Imu sarebbe di 3.648 euro; a Venezia di 2.341 euro; a Milano di 2.260 euro. Al capo opposto, in altri capoluoghi i rincari sarebbero molto più modesti: ad Ancona, per esempio, il valore catastale dell’appartamento-tipo salirebbe del 5 per cento soltanto, a Genova del 5,9 per cento, a Trieste del 7,3. L’adeguamento dei valori catastali a quelli di mercato avrebbe poi un effetto domino, investendo a cascata altri indicatori di patrimonio e trasferimenti. Come l’Isee, i passaggi di proprietà, le successioni. Non solo.
Una prima casa che oggi non paga l’Imu perché non è di lusso, con il nuovo catasto potrebbe salire di valore e trovarsi dunque a pagare l’imposta. E anche gli edifici sottoposti a ristrutturazioni agevolate dal superbonus subiranno un incremento di valore. Prendiamo poi il caso dell’Isee: l’indicatore consente di ottenere agevolazioni e sconti (dalle bollette alle rette per i servizi quali asili, mense, Rsa) e prende in considerazione la situazione economica della famiglia compreso il patrimonio immobiliare e mobiliare.
Se questo aumentasse in seguito all’adeguamento dei valori catastali, la famiglia subirebbe un rincaro delle rette o un’uscita dalla protezione sociale. Secondo lo studio della Uil, una prima casa ai fini del calcolo dell’Isee vedrebbe salire mediamente il suo valore di 75 mila euro a livello nazionale, con punte di 213 mila euro a Roma, di 142 mila a Milano e Venezia, 99 mila a Trento, 76 mila a Palermo. Naturalmente tutto questo succederebbe solo se, dopo il 2026, il governo adottasse le nuove rendite catastali a fini fiscali. Oppure, lo facesse senza modificare parallelamente aliquote e parametri con cui si calcolano l’Isee, le tasse di successione, le imposte di registro e soprattutto l’Imu.
Anomalie reali. Al di là delle promesse, è probabile che l’obiettivo del governo sia quello di far pagare di più i proprietari che oggi si avvantaggiano con rendite catastali troppo basse, e tassare di meno quelli che adesso versano troppo. Del resto il 28 ottobre 2021, presentando il disegno di legge sul fisco, il ministero dell’Economia affermò che la disposizione all’articolo 6 «è coerente» con la raccomandazione della Commissione europea di «ridurre la pressione fiscale sul lavoro attraverso una riforma dei valori catastali», rivelando così la finalità di aumento della tassazione sugli immobili.
In effetti, come sottolineano i ricercatori Emma Paladino e Giorgio Pietrabissa in un’analisi pubblicata sul sito Lavoce.info, «il valore catastale sottostima quello di mercato nella grande maggioranza dei comuni. La vasta opposizione alla riforma, che la rende da sempre una battaglia politicamente complessa, è quindi dovuta all’effettivo timore dei cittadini che l’aggiornamento dei valori determini un aumento della stima del loro patrimonio e, di conseguenza, un incremento della pressione fiscale. In secondo luogo, due direttrici principali di disuguaglianze emergono chiaramente: tra Nord e Sud da un lato, e tra aree interne e aree urbane e aree costiere dall’altro. In particolare, quelle maggiormente agevolate dall’attuale disallineamento dei valori sono le zone costiere di Sardegna, Toscana e Liguria, oltre a grandi città come Roma e Milano. Dall’altro lato dello spettro, troviamo invece le aree interne del Sud Italia. Dall’attuale sistema catastale sembrano beneficiare quindi i proprietari di immobili in zone turistiche e nei centri produttivi».
Una platea che sta a cuore ai partiti del centrodestra, contrari alla riforma, che però non hanno la memoria lunga: Lega, e anche Fratelli d’Italia, votarono sette anni fa in Parlamento un disegno di legge delega di riforma del fisco che prevedeva una revisione del catasto molto simile a quella contenuta nel provvedimento approvato dall’attuale Consiglio dei ministri.
