Per garantire i livelli di occupazione in Italia, c’è bisogno di una visione. Le riforme strutturali non possono più attendere. E occorre ristrutturare la Pubblica amministrazione.
Ormai bollinato il Dl Agosto e nell’attesa di comprendere le intenzioni del Governo riguardo al Recovery fund, i dati economici indicano con sempre maggiore chiarezza che l’uscita dalla crisi Covid-19 sarà lunga e complessa ed escludono una rapida ripresa delle attività.
Lo hanno confermato i dati sulla produzione industriale di giugno che hanno registrato una crescita del 9% comparata a un aumento atteso sopra il 10%. Lo confermano le analisi che arrivano dal sistema delle banche centrali americane, che segnalano come le perdite di molte posizioni lavorative potrebbero essere irreversibili e come alcune professioni potrebbero essere destinate a scomparire (in particolare quelle delle attività di tempo libero o legate al benessere delle persone).
Altre prime evidenze empiriche negli Usa segnalano come i più colpiti sono coloro che hanno bassi livelli di formazione e le giovani mamme (le cosiddette «millennial moms»). E anche se i dati usciti in queste ore e che riguardano i sussidi di disoccupazione negli Usa appaiono essere ancora in discesa (sotto un milione per la prima volta da marzo 2020), le preoccupazioni per l’evoluzione del mercato del lavoro in tutto il mondo sono molto forti.
Con una riduzione dell’attività economica prolungata come potranno essere garantiti gli stessi livelli di occupazione e di benessere? Quali strategie potranno essere adottate dai Paesi industrializzati per permettere a giovani, donne, persone con maggiori difficoltà di entrare nel mercato del lavoro e agli adulti capofamiglia di mantenere il loro posto di lavoro? Quale sarà l’evoluzione nel medio termine dell’economia?
Come questa rubrica ha più volte sottolineato, non sarà più sufficiente solo il sostegno delle banche centrali né il continuo alimentare dei sussidi di disoccupazione (per quanto sarà ancora necessario) ma occorre pensare a nuovi paradigmi di sviluppo. L’Unione Europea sta mettendo a disposizione un importante pacchetto di risorse finanziarie per riorganizzare le economie europee, ma si fa fatica a vedere la chiara direzione di marcia che i governi stanno assumendo, a livello nazionale e a livello europeo.
La svolta «green» certo non verrà abbandonata, ma in questa fase potrebbe comportare pesanti costi di transizione che molte economie e società non possono permettersi. Investimenti pubblici e privati sulle infrastrutture sono indifferibili e questi certamente determineranno una spinta sul Pil e sull’occupazione, soprattutto se sapranno combinare pubblico e privato. Una nuova strategia sulle competenze e una rivisitazione di modelli educativi e formativi sono necessari per aumentare le capacità di ricollocazione sul mercato delle persone.
L’aumento di produttività che combina competenze e innovazione è un obiettivo che non può essere oggi più rimandato. Nel contesto mondiale l’Italia deve crescere e riequilibrare le sue storiche fragilità. Le riforme strutturali – definizione tanto odiata – non possono più attendere ed occorre un orizzonte di medio periodo. Le imprese non possono essere più ostacolate e neppure la vena imprenditoriale di tanti giovani. Il Mezzogiorno deve diventare un luogo di grandi investimenti come il resto del Paese e che può sviluppare le proprie risorse e capacità.
Il Paese ha bisogno di una visione e di un sogno. La visione di un ambiente economico più semplice, con meno tasse, con meno oneri, con più possibilità per tutti; un Paese in cui si riaccende la mobilità sociale e si valorizzano i meriti. Flessibilità del lavoro e occupabilità devono tornare ad essere i cardini delle politiche attive del lavoro, con una rete di sicurezza sociale più semplice ed efficace. La scuola l’investimento primario delle politiche di sviluppo. Il riequilibrio territoriale con investimenti in infrastrutture, un rilancio del turismo, la crescita dimensionale delle aziende la priorità della politica di coesione.
Per ottenere questi risultati occorre una ristrutturazione della Pubblica amministrazione che passi per la sua semplificazione, l’identificazione degli ambiti di azione, la premialità dei comportamenti, la punibilità degli occhiuti ed inutili burocrati. Di tutto questo noi al momento nulla sappiamo. Vediamo solo una economia ed una società fragile e provata che tenta di rimettersi in cammino. Per questo ha bisogno di libertà, flessibilità, chiarezza di regole e premialità delle competenze. Lo chiameremmo «dei meriti e dei bisogni», un paradigma creato per l’Italia che si modernizzava e che a maggior ragione serve ora. Un facile programma che la politica, sempre più distratta da altre cose, non sembra volere recepire.
