Se non si vuole aggravare una situazione occupazionale già difficile, occorre riaprire molte attività minori. Altrimenti la crisi rischia di durare per molti trimestri.
Tutti i Paesi industrializzati sono preoccupati per i possibili effetti cumulati e progressivi sul mercato del lavoro. Nonostante vi sia una comune azione volta a proteggere il reddito e il rapporto di lavoro – come accade in Germania e in Italia – ciò non protegge dalla crescita della disoccupazione. È possibile, invece, che la ritardi solamente, considerato che la ripresa delle attività sarà lenta e molto graduale.
È una prospettiva che potrebbe appesantire per lungo tempo i conti degli ammortizzatori sociali e, di conseguenza, anche i bilanci dei singoli Stati. E, al contempo, impoverire una fascia crescente di famiglie con conseguenze anche sulla ripresa dei consumi e dell’attività produttiva. Lo spettro della disoccupazione di lunga durata torna ad agitare i sonni della politica (e gli studi degli economisti).
A ciò si deve aggiungere che questo spettro si abbatte non più solo sui lavoratori dipendenti ma su una fascia crescente di lavoratori autonomi, indipendenti, partite Iva che non hanno strumenti di protezione automatica del reddito. Un fenomeno che non si era mai visto nelle società moderne. E al quale oggi, in questa situazione, diviene complicato dare una risposta strutturale.
Per ora la risposta scelta è quella delle indennità – probabilmente riviste al rialzo nel prossimo decreto – ma è una strada di breve periodo e che deve necessariamente essere combinata con l’erogazione di somme a fondo perduto per l’attività di queste persone. Forse si potranno innestare queste indennità in una Naspi rafforzata e allungata temporalmente, ipotesi già avanzata per il decreto-legge di maggio, ma comunque sono soluzioni parziali.
Ecco perché, per non aggravare una situazione occupazionale già difficile, la ripartenza di molte attività minori appare non rinviabile. Se non si riattiva il circuito economico del commercio, delle libere professioni, dell’artigianato, della microimpresa, la recessione prevista rischia di durare per molti trimestri. E il Paese subirà pesanti fratture sociali.
Non è facile intervenire su questo mondo. Le sue caratteristiche economiche e sociali lo rendono complesso da sostenere con strumenti di welfare. E anche quando immaginiamo di estendere il sistema di ammortizzatori sociali a queste categorie, dobbiamo ragionare con gli occhi rivolti al futuro e non all’indietro, altrimenti finiremmo con istituire un generalizzato e pericoloso reddito di emergenza.
La legge di bilancio per il 2021 sarà lo strumento per finanziare le future riforme, ma già prima di allora occorre prevedere passaggi e azioni per costruire un nuovo sistema di welfare state. Il Governo – giustamente – ha ritardato la presentazione del Piano Nazionale di Riforme. Per farlo, è necessario avere chiarezza su dove andare e come andare, una caratteristica che al momento manca vista la condizione del Paese.
Però il Piano bisognerà scriverlo nei prossimi mesi e allora quella sarà l’occasione per costruire un nuovo sistema di ammortizzatori sociali. Da un lato, certamente vi è la necessità di riordinare la materia in base alle tipologie di imprese in crisi e alle nuove esigenze del mercato (digitale e green deal), al fine di non stressare eccessivamente il tavolo delle crisi aziendali del Mise (che comunque sarà sottoposto ad una forte sollecitazione). Dall’altro, si pone l’esigenza di un forte ristrutturazione del sistema che possa coprire anche le categorie oggi non protette.
Torna utile in questo senso la riflessione avviata nel 2008 con il Libro Verde sul modello sociale nel quale si delineava un sistema di ammortizzatori sociali fondato su tre pilastri, uno sostanzialmente obbligatorio, uno di tipo contrattuale mutualistico ed il terzo individuale. Questo modello potrebbe essere applicato anche per i sistemi di lavoro indipendente, prefigurando una base obbligatoria più bassa ed un più sostanziale apporto degli altri due pilastri, eventualmente aiutato da agevolazioni fiscale alla partenza.
Qualche forma, peraltro, già esiste e da quella dovremmo partire. La crisi covid-19 ci sta insegnando che vi sono delle fragilità nel nostro sistema sociale. Quella del lavoro indipendente è una di queste, anche in virtù del fatto che oggi questa categoria di lavoro è molto eterogenea. Lo Stato deve rioccuparsi di questi elementi, il welfare e la giustizia sociale, promuovendo un nuovo patto sociale e su di essi concentrare la sua azione e il suo intervento. E lasciando stare, invece, quei fenomeni di impresa e del mercato dove l’iniziativa d’impresa deve continuare ad essere protagonista.
