Aliquote sempre più alte e portafogli costantemente più vuoti. Ogni anno gli italiani devono fare i conti con l’Imu, la Tasi, la Tari e l’Irpef. E sperare che il comune di residenza dell’immobile non aumenti le aliquote rispetto all’anno precedente.
Per non parlare poi di tutte le imposte che ruotano attorno all’atto di compravendita di una casa e le pratiche burocratiche che bisogna sbrogliare prima di dirsi definitivamente proprietari. La casa è dunque passata dall’essere un investimento per il futuro ad un bene di lusso per pochi.
Dal momento che si diventa proprietari di un’immobile si deve dunque pagare l’Imu (imposta municipale unica). Dal 2014 fino ad oggi questa è stata abolita sulla prima casa (eccezione per quelle di lusso). Ma chi possiede un secondo immobile, magari ereditato da un famigliare deceduto, deve pagare il tributo al comune di competenza, così come i proprietari di negozi, capannoni e locali che non appartengono all’abitazione principale. Fino al 2019 questa imposta era separata dalla Tasi (tassa sui servizi indivisibili) introdotta nel 2014 e che vede come destinatario il comune dell’immobile. L’obiettivo di questa era di andare a coprire i costi legati all’illuminazione pubblica e alla manutenzione delle strade. Con la Legge di bilancio 2020 si è però deciso di riunire questi ultimi due tributi in uno solo, facendo nasce la “super Imu” (Imu + Tasi). E dunque l’aliquota di base per l’abitazione principale che è stata classificata come A/1, A/8 e A/9 e per le relative pertinenze è stata fissata pari allo 0,5%. Il comune può però decidere di aumentarla dello 0,1% o diminuirla fino all’azzeramento.
Cambia nel caso si posseggano dei fabbricati rurali ad uso strumentale. In questo caso l’aliquota è fissata allo 0,1%. Per i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, questa, fino al 2021, è dello 0,1%. Potrà però essere aumentata fino allo 0,25% o essere diminuita a secondo di quanto deciderà il comune di appartenenza. A partire dal 1° gennaio 2022 scatta l’esenzione per queste categorie.
Per i terreni agricoli la percentuale sale allo 0,76% con la possibilità di aumentarla fino all’1,06% o diminuirla fino all’azzeramento. Passando poi agli immobili ad uso produttivo, classificati al gruppo D, l’aliquota base è pari allo 0,86% (lo 0,76% è riservata allo Stato) e i comuni possono aumentarla fino all’1,06% o diminuirla fino al limite dello 0,76%.
E infine per quanto riguarda gli immobili diversi dell’abitazione principale la percentuale è dello 0,86% con possibilità di aumentarla fino all’1,06% o diminuirla.
A queste imposta si aggiunge anche la Tari (tassa sui rifiuti). Anche in questo caso si tratta di un tributo di competenza comunale. E viene determinato in base alla superficie della casa e al numero dei componenti del nucleo famigliare. Obiettivo di questa entrata, per i comuni, è far fronte alle spese legate allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
Per completare le spese legate alla casa ci si deve però ricordare dell’Irpef o della cedolare secca. Se infatti si decidere di dare la casa in affitto, per poterne ricavare una rendita annuale, si deve pagare oltre che l’Imu (visto che l’immobile in questione sarà una seconda casa) anche la tassa sui canoni di locazione percepiti. Per saldare il tutto chi affitta può decidere se pagare le tasse dovute in base al proprio scaglione Irpef o applicare la cedolare secca.
Questi tributi per i possessori di prima o seconda casa non sono stati sospesi né tanto meno hanno subito proroghe nel corso del 2020 nonostante la pandemia in atto. E dunque si è stati costretti a pagare anche se in difficoltà economiche. In nessuno decreto, voluto dal governo Conte, durante la prima e la seconda crisi sanitaria ed economica, si è pensato di dare una mano anche a questa categoria di cittadini. E sullo stesso filone si inserisce anche la Legge di bilancio 2021. Uno dei pochi emendamenti che andava su questa strada, il blocco degli sfratti, è stato infatti ritirato dal Pd. E dunque si è messo un freno alla sospensione di questi per le famiglie, gli artigiani, i commercianti e chi ha un esproprio in atto. Da ricordare come il blocco degli sfratti fissato al 31 dicembre riguarda solo le esecuzioni. L’avvio delle procedure nei tribunali non ha infatti mai subito uno stop. Accanto alla non presenza di questo tipo di iniziative il governo Conte ha però trovato i fondi per introdurre il bonus bagno e quello verde 2021 (una detrazione Irpef del 36% sulle spese fatte per sistemare i giardini e le aree verdi).
