I «professionisti dell’anti-evasione» insistono nel fare la morale sulle centinaia di miliardi di «nero» e imposte non versate. La realtà è un fisco che non riesce a far pagare di più chi registra reali fatturati d’oro – a partire dai giganti del web – e continua a vessare i cittadini, nonostante il collasso dell’economia causa Covid-19. Intanto il governo non sa tagliare le spese e non cancella i tributi.
Il 9 dicembre 2019 il Covid-19 da noi era ancora «in incognito». Sergio Mattarella ammonì un gruppo di studenti: «L’evasione fiscale è una cosa davvero indecente. Se mi sottraggo al mio dovere di contribuire, sto sfruttando quello che gli altri pagano». Un assist formidabile per i professionisti dell’anti-evasione che grazie all’epidemia sono tornati a rivendicare la loro (presunta) superiorità morale.
Fabio Fazio, ben retribuito dalla Rai che si avvale di un canone riscosso coattivamente, nel suo Che tempo che fa nel marzo scorso ha predicato: «È diventato evidente che chi non paga le tasse non commette solo un reato, ma un delitto: se mancano posti letto e respiratori è anche colpa sua». Erano i giorni dei convogli militari che portavano via le bare da Bergamo con tanto di fattura dello Stato ai parenti per la cremazione. Scrisse Leonardo Sciascia il 10 gennaio 1987 sul Corriere della sera: «In nome dell’antimafia si esercita una specie di terrorismo, perché chi dissente da certe cose è subito accusato di essere un mafioso». Così i professionisti dell’antimafia, oggi ci sono i professionisti dell’anti-evasione.
In questi giorni gli italiani «sequestrati» per tre mesi dalla pandemia pagano la prima rata dell’Imu: 10 miliardi, altrimenti i Comuni vanno in default. Entro il 30 giugno si pagheranno il saldo dell’Irpef, le addizionali Irpef, l’Ires: un salasso da 29 miliardi a cui va aggiunta la Tari, la tassa sui rifiuti che molti Comuni non hanno ancora «fissato». Facendo una stima a occhio, il governo ha concesso alle imprese, tra garanzie, fondo perduto e sostegni vari, 35 miliardi, entro fine mese ne riprende 29 e stavolta di denari contanti.
Giuseppe Conte – presidente del Consiglio – è tra i principali professionisti dell’anti-evasione. Intervenendo a Di Martedì, su La7, sentenziò: «Serve un piano antievasione. Sappiate, io lo dico a tutti, se non piace il piano antievasione cercate di mandarmi a casa, ma 110 miliardi evasione sono intollerabili». Da avvocato Conte ha difeso degli evasori e anche il padre della sua compagna – Cesare Paladino condannato per 4 milioni di tassa di soggiorno non pagata – si è fatto assistere nella mediazione col fisco con la Rottamazione ter. Come direbbe Sciascia, ai professionisti dell’anti-evasione mai ricordare faccende private, loro stanno compiendo una missione.
Il Covid-19 ha scatenato la caccia all’evasore con tanto di mantra: pagare tutti per pagare meno. È davvero così? Da almeno 10 anni – come ha più volte fatto notare Nicola Rossi, economista, già deputato del Pd poi passato a presiedere il think tank liberale «Istituto Bruno Leoni» – non un euro recuperato va, come sarebbe invece obbligo di legge, al Fondo per la diminuzione della pressione fiscale.
Tant’è che alla domanda di quegli studenti un altro presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, avrebbe risposto così: «La frode fiscale non potrà essere davvero considerata alla stregua degli altri reati finché le leggi tributarie rimarranno, quali sono, vessatorie e pesantissime… Non è male che il tentativo della Finanza di costringere tutti a pagare le altissime aliquote italiane incontri una vivace resistenza. La frode persistente la costringe a riflettere se non le convenga diminuire le aliquote per indurre i contribuenti a miglior consiglio o per scemare il premio della frode».
Purtroppo non è andata mai così e, intanto, siamo passati da Luigi Einaudi a Luigi Di Maio che gridava da capo del Movimento 5 Stelle: «Manette agli evasori». Le pene in Italia sono – teoricamente – diventate pesantissime. Si può andare in galera per 50 mila euro non dichiarati. C’è scritto nel decreto fiscale approvato sotto Natale – forse la lezioncina di Mattarella non fu casuale? – voluto dal ministro Pd dell’Economia Roberto Gualtieri che sogna di recuperare 7 miliardi di imposte evase quest’anno.
Perfino per la Corte dei conti è un’esagerazione. La Cassazione però è venuta in soccorso e ha stabilito che per i reati fiscali si può essere condannati non su prove certe, ma basta una «credibile ricostruzione presuntiva fatta dall’Agenzia delle entrate».
Il Pd è da sempre il partito dei professionisti dell’anti-evasione. La filosofia di fondo è: lo Stato tassa non per corrispondere servizi, ma per redistribuire. Il primo a crederci è Vincenzo Visco, più volte ministro delle Finanze, ispiratore del «Grande fratello fiscale»: dagli studi di settore alle fatture elettroniche. Sul Sole 24 ore un anno fa scriveva: «Al più si parla della grande evasione dei giganti del web negando la natura stessa dell’evasione che è di massa e coinvolge milioni di contribuenti».
Tra i presunti evasori ovviamente ci sono piccole imprese, artigiani, partite Iva. Lo sanno alla Cgia di Mestre. Paolo Zabeo – direttore del centro studi dell’associazione degli artigiani veneti – ha stimato che nei tre mesi di lockdown l’evasione fiscale è calata di 27,5 miliardi euro. Il ragionamento provocatorio della Cgia è il seguente: se come presumono i professionisti dell’anti-evasione che a evadere sono autonomi e partite Iva, siccome per tre mesi non hanno fatturato un euro basta dividere per 12 l’evasione di 110 miliardi e moltiplicare per tre. Così l’evasione fiscale grazie al Covid-19 è diminuita del 25%.
Ma i 110 miliardi di mancate tasse come sono calcolati? Si chiama «economia non osservata», l’ultimo dato Istat è del 2017. Si stimano 211 miliardi di «nero» cui si applica una teorica aliquota del 48%. Dentro ci sta tutto: dalla droga ai proventi della camorra. E ovviamente il sommerso che scandalizza i professionisti dell’anti-evasione e però giustifica il reddito di emergenza da 500 euro elargito causa virus per sostenere gli «invisibili» che sono un esercito di 3,7 milioni di occupati soprattutto al Sud.
Tra le tasse evase ci sono anche le mancate ritenute su 14,4 miliardi di traffico di droga, su 5 miliardi di «incassi» delle prostitute e su mezzo miliardo di contrabbando delle sigarette. I professionisti dell’anti-evasione però se la prendono con le partite Iva e non dicono un fiato sul fatto che in Italia Google, Amazon, Twitter, Airbnb sono tutte «srl» e che pur incassando miliardi hanno pagato due anni fa in tutto 14,3 milioni di tasse. Facebook nel 2017 se l’è cavata con 123 mila euro. Ma l’Agenzia delle entrate sta lavorando, rivendica Ernesto Maria Ruffini che da capo gabelliere la dirige.
L’anno scorso Amazon ha pagato 3 milioni a fronte di 11 di utile, Google 4,7 per 15 milioni di utile. Ruffini annuncia una riforma del fisco epocale e intanto ha pronte 8 milioni di nuove ingiunzioni, si trincera dietro l’articolo 53 della Costituzione che dice che tutti devono contribuire alle spese. Magari si dimentica di tutti gli altri articoli della Costituzione: dalla tutela del risparmio e della proprietà privata all’obbligo per lo Stato di assicurare l’istruzione sospesa per tre mesi, ma è il primo cantore del «pagare tutti pagare meno, e chi non paga fa un danno agli altri».
Andiamo a vedere se è vero. Basta un solo dato anche se ci sarebbe da rilevare che la spesa pubblica continua a correre senza freni e così le tasse, mentre i redditi degli italiani restano fermi. Coloro i quali hanno guadagnano attorno ai 20 mila euro – i famosi dipendenti e pensionati che non possono evadere salvo fare i lavoretti in nero – pagano in totale 16 miliardi di Irpef, meno del 10% del gettito di quell’imposta pari a 165 miliardi. Però solo per assistenza sanitaria ricevono servizi per 50 miliardi. Ma i professionisti dell’anti-evasione non lo sanno. Andrebbe però loro ricordato con Maffeo Pantaleoni, uno dei massimi economisti, che «qualunque imbecille può inventare e imporre tasse. L’abilità consiste nel ridurre le spese, dando nondimeno servizi efficienti, corrispondenti all’importo delle tasse».
