Le «nozze» della compagnia nata da Alitalia con Lufthansa ritardano. Bruxelles frena, ma vari problemi ipotecano periodi preziosi per il traffico aereo.
Prima hanno chiesto informazioni su slot, rotte ed eventuali sovrapposizioni, quindi si sono spinti a porre domande sui menu che venivano serviti a bordo e adesso interrogheranno le maggiori agenzie di viaggio e i principali fruitori dei servizi per avere un parere sull’operazione. Per carità, alcune di queste «domande» rientrano nella prassi, ma il dossier che l’ormai famosa Dg Comp europea (la direzione generale per la Concorrenza della Commissione Ue) ha aperto per dare il via libera all’operazione Ita-Lufthansa è diventato a tutti gli effetti una telenovela. Un tormentone che, nonostante i recenti passi in avanti, rischia seriamente di insabbiare il decollo di una compagnia nata a fine 2021 come una start up e che come ogni impresa di questo tipo ha bisogno di investimenti e di essere supportata da un compagno di volo solido mentre sale di quota.
Il pericolo, senza stare neanche troppo a girarci intorno, è che nonostante le rassicurazioni sui tempi rapidi del commissario pro-tempore alla Concorrenza Didier Reynders (ha preso di recente il posto di Margrethe Vestager impegnata nella corsa alla Bei), si decida di non decidere e di rimandare la palla al dopo il voto per il nuovo Parlamento dell’Unione di giugno 2024. Altro che turbolenze, si tratterebbe di un colpo sotto la cintura che farebbe precipitare le ambizioni di Ita, rallentando sinergie commerciali, ammodernamento della flotta e centinaia di assunzioni, ma soprattutto l’arrivo di nuovi capitali per circa 830 milioni, quelli che Lufthansa ha garantito per il 100 per cento della società italiana. Calendario alla mano vorrebbe dire perdere il giro della stagione estiva, la più redditizia, e che l’a.d. tedesco Carsten Spohr entrerà in Ita tra circa un anno o poco meno. Con un’ulteriore complicazione, Ita attualmente fa parte del gruppo Sky Team, ma i suoi «soci» (Air France e Delta Air Lines su tutti) sanno già che se la ritroveranno come concorrente nell’altra alleanza dei cieli, Star Alliance. Insomma, non le stanno rendendo la vita facile. Si tratta comunque di tempi biblici rispetto a un processo iniziato nel giugno del 2022 e che si è rivelato subito complicato. Come detto, da Bruxelles sono arrivate via mail centinaia di quesiti alle compagnie e per quasi tutte le risposte c’è stata una richiesta di ulteriori approfondimenti. Una fase interminabile che ha spostato la notifica dell’accordo siglato a maggio, in cui si impegnava ad acquisire il 41 per cento di Ita attraverso un aumento di capitale di 325 milioni di euro, con l’opzione di fare proprie in seguito tutte le azioni rimanenti, al 30 di novembre.
Cosa succede adesso? La palla è nelle mani di Lufthansa e della Dg Comp. Bruxelles e i tedeschi stanno trattando sui cosiddetti «remedies», sulla necessità cioè di evitare che ci siano problemi legati alla restrizione della concorrenza in alcuni aeroporti. Le richieste «più delicate» riguardano gli slot su Milano Linate (in corsa tra le altre, EasyJet e Wizz Air), mentre Malpensa non sarebbe toccata e ci sarebbero piccoli aggiustamenti su Fiumicino. Sul versante tedesco i riflettori sono accesi soprattutto sugli scali di Francoforte e Monaco, sulle rotte di lungo raggio verso Stati Uniti e Canada, ma anche in Asia verso Cina e Giappone, molte tratte particolarmente profittevoli. «Marginali invece le sovrapposizioni» si legge in un documento dell’Antitrust «sul mercato del trasporto merci». Il punto è che Lufthansa – possiede già Swiss, Brussels e Austrian Airlines, Air Dolomiti, Eurowings ed Edelweiss Air – non sembra disponibile a fare troppe concessioni alle pretese della Commissione e dei suoi concorrenti.
Se si trovasse un equilibrio, entro fine gennaio (c’è un tempo di 25 giorni lavorativi) Dg Comp darà una risposta positiva, come da prassi, altrimenti se Bruxelles dovesse richiedere altre «correzioni di rotta», si entrerebbe nella fase due. Tradotto: altri 90 giorni lavorativi più due ulteriori proroghe di 15 o 20 giorni su richiesta delle parti prima di arrivare a una decisione. Ecco che si materializzerebbe lo scenario peggiore: restare appesi all’Europa per un altro anno. Gli ostacoli maggiori sono due. Da una parte è possibile che un commissario pro tempore e a fine mandato (Reynders appunto) opti per non decidere e per non prendersi responsabilità su un dossier a grosso rischio di cause legali da parte dei concorrenti. E dall’altro, c’è il «forcing» degli stessi concorrenti che negli ultimi giorni hanno presentato il loro cahiers de doléances alla Commissione. Sono in azione Air France-Klm, certo, che secondo i ben informati starebbe lavorando da mesi soprattutto sul versante politico, ma anche EasyJet e Wizz Air, come visto sopra, e ovviamente Ryanair che quando si tratta di azzuffarsi con l’Italia non si tira mai indietro. Senza dimenticare gli interessi di British Airways. Una partita tutta da giocare, in cui, conti di Ita alla mano, la variabile tempo non è affatto secondaria.
Nei primi nove mesi dell’anno Ita ha trasportato 10,9 milioni di persone, in crescita del 56 per cento sul 2022. Ma il vero picco c’è stato nel terzo trimestre, quello estivo e storicamente decisivo per i conti delle compagnie, con ricavi passeggeri cresciuti del 37 per cento rispetto all’anno prima. L’Ebitda, il margine operativo lordo che misura la redditività del gruppo, ha superato le previsioni ed è in positivo per circa 80 milioni contro il rosso di 243 della stagione passata. Così come buoni segnali arrivano dalla cassa che alla fine del terzo trimestre era arrivata a quota 635 milioni. Fisiologicamente però arriva il periodo più complicato dell’anno e i numeri inizieranno a calare. L’ideale sarebbe avere il via libera di Bruxelles a gennaio per essere operativi già a marzo-aprile e programmare nel migliore dei modi la stagione estiva 2024. Altrimenti il cielo di Ita si addenserà di nuvole grigie. Quelle nuvole che molto lentamente si stanno diradando sull’orizzonte italiano. Trovata la soluzione sui circa 2.800 dipendenti Alitalia sulla base degli esodi volontari e della possibilità di accedere alle prestazioni della Naspi dal 2024, resta aperto il filone giudiziario dei lavoratori ancora in pancia all’ex compagnia di bandiera che chiedono di essere assunti in Ita. Un tormentone nel tormentone. Il punto è la discontinuità tra le due aziende, partendo però da un presupposto: quando la Commissione Ue ha dato il via libera alla nascita di Ita dalle ceneri di Alitalia ha chiesto il rispetto di determinate condizioni proprio per sancire il principio della discontinuità.
Discontinuità che è stata «confermata» da 44 sentenze dei giudici del lavoro, l’ultima del 14 dicembre, che hanno respinto le richieste dei lavoratori (coinvolgendo complessivamente 1.094 dipendenti) e messa in discussione da tre sentenze che vanno, ma in modo assai diverso, nella direzione indicata dai ricorrenti. A giugno, il tribunale di Roma aveva disposto che 71 ex Alitalia fossero reintegrati in Ita e gli fosse anche pagato un anno e mezzo di arretrati. Non tutti però hanno stappato la classica bottiglia: la cassa integrazione ricevuta da ottobre 2021 ha garantito loro entrate superiori rispetto agli stipendi iniziali da start up di Ita, e quindi in molti temendo di dover restituire la differenza tra cassa integrazione e stipendi arretrati (in alcuni casi si parla di somme consistenti) prima di rientrare a lavoro prendono tempo. C’è stato quindi un secondo verdetto a Milano che ha disposto il reintegro di una lavoratrice ma alle condizioni economiche decise dal giudice. E infine una terza sentenza a Roma, a settembre, che non ha più parlato di reintegro ma di diritto all’assunzione (quando si apriranno le posizioni e quindi senza gli arretrati) di 174 ex Alitalia con lo stipendio che avevano nell’ex compagnia di bandiera. In questo bailamme il governo è intervenuto con un’interpretazione che ribadisce appunto il principio della discontinuità. Bene, ma non benissimo, verrebbe da dire, sempre aspettando che Godot Bruxelles «liberi» l’operazione con i tedeschi.