Home » Niente casa né laurea, siamo inglesi

Niente casa né laurea, siamo inglesi

Niente casa né laurea, siamo inglesi

Carenza di alloggi, alte tasse di frequenza e un costo della vita insostenibile. Non solo: sono in aumento i casi di grave depressione e tossicodipendenza. Frequentare le 200 università britanniche è sempre più difficile. E anche prestigiosi atenei rischiano di veder diminuire iscritti e finanziamenti.


Si fa presto a dire «bella la vita da campus». L’agognata esperienza universitaria lontani da casa, liberi di fare nottata con gli amici, entusiasti dello studio indipendente, per molti studenti britannici si è trasformata in un incubo di cui farebbero volentieri a meno. A partire dalla sistemazione in alloggi che sono sempre più costosi e sempre meno decenti. I ragazzi italiani si accampano con le tende fuori dalle facoltà per protestare contro il caro-alloggi, ma i loro colleghi inglesi non se la cavano meglio. Mentre il leader laburista Keir Starmer, furbescamente, promette di abbassare le tasse d’ingresso una volta salito al governo, oggi la situazione abitativa nelle città universitarie ha raggiunto un punto di crisi che non si vedeva dagli anni Settanta. E se allora gli universitari – nel Paese sono 761 mila divisi in 200 atenei – erano costretti a dormire nelle palestre e nelle loro auto, ora si ritrovano spesso «senzatetto temporanei», costretti a chiedere ospitalità sul divano di amici più fortunati o ad accettare soluzioni vergognose come stanze senza finestre che costano un occhio della testa; per non parlare di chi decide di tornare a casa dai genitori sperimentando una sorta di pendolarismo che trasforma la frequenza al corso di studi in una corsa a ostacoli.

La situazione è andata via via aggravandosi dalla pandemia in poi, quando le università hanno smesso di realizzare nuovi alloggi per i ragazzi e poi, finita l’emergenza, si sono ritrovati con il doppio delle richieste abitative. Gli esperti prevedono che nel 2024 le cose andranno anche peggio. Attualmente gli studenti di Durham si mettono in fila durante la notte per assicurarsi una casa per l’anno prossimo. Gli iscritti di Bristol vengono sistemati a Newport, quelli di Manchester a Liverpool e Huddersfield, quelli di York a Hull: in tutti questi casi, in città e cittadine a svariate decine di chilometri di distanza. E le matricole nelle università dell’Irlanda del Nord hanno appena creato la loro prima cooperativa per l’assegnazione degli alloggi. «La carenza crescente di soluzioni abitative, anche tra i privati, sta compromettendo l’esperienza universitaria di chi le frequenta» spiega Chloe Field, vicepresidente del Sindacato nazionale studenti. «E senza un’azione urgente per incrementare il numero delle case a disposizione sarà inevitabile sia un aumento di studenti senzatetto che del numero di abbandoni».

La rinuncia agli studi è sempre stato un fenomeno secondario nel Regno Unito, ma non è più così. Secondo una ricerca effettuata su 8.500 intervistati dal sindacato studentesco del Russell Group – l’organismo che raggruppa le principali università del Paese – un giovane su cinque valuta di abbandonare la propria facoltà causa l’aumento del costo della vita e uno su quattro salta i pasti per poter sostenere le spese essenziali. Una tendenza che preoccupa enormemente gli atenei e ha indotto molti rettori a chiedere interventi urgenti al governo come l’aumento dei fondi destinati ai prestiti studenteschi e la reintroduzione del supporto per gli studenti svantaggiati. «Se non si troveranno presto soluzioni alternative» ha dichiarato Dani Bradford, la manager del sindacato che ha guidato la ricerca «corriamo il rischio che il nostro sistema rimanga aperto soltanto a pochi privilegiati».

Un’ipotesi temuta anche dalle amministrazioni universitarie che presto potrebbero ritrovarsi con una riduzione significativa degli studenti di casa propria e una conseguente emorragia di fondi. Dopo la pandemia non sono pochi gli istituti con situazioni finanziarie critiche e il governo non ha intenzione di sovvenzionarli ulteriormente. Quanto al loro carattere elitario gli atenei inglesi, così come quelli americani, sono sempre stati luoghi accessibili a una ristretta cerchia di privilegiati. Ragazzi, preferibilmente bianchi, provenienti da famiglie agiate, abituati a frequentare scuole private fin dalla tenera età in modo da poter venir inseriti quasi automaticamente nelle università più prestigiose come Oxford e Cambridge. Proprio queste due istituzioni negli ultimi anni sono state indicate come luoghi dove la correttezza politica è ormai di casa, disposte ad aprire i propri cancelli anche agli studenti neri e svantaggiati. Un nuovo libro scritto a due mani da Kalwant Bhopal e Martin Myers afferma che si tratta soltanto di un’illusione. Classe e censo contano eccome proprio nelle istituzioni che formano i dirigenti della classe politica di domani.

Nelle altre università meno importanti intanto, i ragazzi arrancano, spesso sperimentano nuove forme di ansia e depressione che troppe volte si trasformano in tentativi di suicidio. Il sistema universitario tende a minimizzare e sottovalutare questi fenomeni, e per timore di un riscontro pubblicitario negativo evita persino di avvertire i genitori. La famiglia di Harry Armstrong, studente dell’Università di Exeter, morto suicida sei mesi dopo aver ricevuto pessimi risultati negli ultimi esami, ha raccontato che le loro preoccupazioni nei confronti del figlio non sono mai state prese in seria considerazione dalle autorità dell’ateneo, rivelatesi in seguito molto evasive anche quando è stato chiesto degli studenti suicidi, 11 negli ultimi sei anni. Ancor più della depressione uccidono gli stupefacenti, killer che s’infiltrano nella vita degli studenti fin dal primo anno e mietono sempre più vittime. La ketamina, anche conosciuta come la droga per i cavalli perché somministrata a questi animali prima di un’operazione, è la responsabile delle morti di 41 giovani. Un’ecatombe che ha indotto alcuni atenei, come quello di Newcastle, ad ammorbidire le sanzioni nei confronti di chi è trovato in possesso di droga per consentire ai ragazzi di chiamare aiuto per l’amico in difficoltà senza timore di venir espulsi.

L’unico fiore all’occhiello di un’istituzione in crisi sembrano essere gli arrivi internazionali. Gli studenti che giungono dall’estero, pagando tasse più alte, nel 2022 hanno contribuito alla ripresa dell’economia con un introito di 42 miliardi di sterline. Eppure il ministro degli Interni Suella Braverman, paladina della lotta all’immigrazione, vorrebbe limitarne l’accesso, posizione contro cui si schierano tutti gli atenei del Paese e parte dello stesso esecutivo. Dopo la Brexit, il numero degli iscritti extraeuropei è cresciuto del 68 per cento portando nelle casse universitarie fondi a cui nessuno è disposto a rinunciare. Nemmeno il premier Rishi Sunak, che aveva promesso di restituire il Regno ai propri connazionali e invece si ritrova, ancora una volta, a dipendere dagli stranieri.

© Riproduzione Riservata