Le bollette dell’energia sempre più care e i prezzi alle stelle delle materie prime impattano drammaticamente su artigiani e piccoli imprenditori. A Panorama, il racconto in presa diretta delle loro difficoltà. Che arrivano dopo due anni durissimi di pandemia e possono costringere alla chiusura molte, troppe aziende.
La crisi dell’Ucraina è arrivata fino alle porte di Torino. A Rivalta, cittadina di 20 mila abitanti a 15 chilometri dal capoluogo piemontese, il signor Marco Vacchieri gestisce una nota pasticceria che dà lavoro a sei dipendenti e ha un giro d’affari di circa 500 mila euro. Ora questo artigiano, che sforna dolci e prepara gelati, è alle prese con i rincari di burro e farina: «Sono aumentati dal 30 al 50 per cento» dice il piccolo imprenditore.
Dietro al balzo delle quotazioni di questi ingredienti c’è infatti anche la crisi tra Kiev e Mosca: il Paese dell’Est è il terzo maggiore esportatore di grano del mondo, al quinto posto per la produzione di mais per l’alimentazione animale, da cui dipendono poi i prezzi del latte e della carne. E così una tensione geopolitica apparentemente lontana si dirama nei mille canali dell’economia per arrivare nelle nostre aziende e nelle nostre case. Risvegliando alla fine l’inflazione. Lo sappiamo, gas, acciaio, legname e un lungo elenco di altre materie prime sono stati investiti da uno tsunami che ha fatto salire i prezzi, spinti da una marea inarrestabile. Ma una cosa è leggerlo sul giornale, altra è viverlo sulla propria pelle.
Come può testimoniare suo malgrado Vacchieri, che deve affrontare anche l’impennata dell’aumento dell’elettricità, necessaria per far funzionare il forno: «Fino a sei mesi fa per la corrente elettrica spendevo in media 2.200-2.300 euro al mese. La bolletta di dicembre è schizzata a 5.030 euro, più del doppio». Tra rincari dell’energia e delle materie prime, racconta l’artigiano, «il panorama è completamente cambiato. Gestisco la pasticceria da una trentina d’anni e una situazione simile non l’ho mai vissuta».
Per la pasticceria è un duro colpo che arriva dopo due anni di emergenza Covid. L’azienda è stremata. «A queste condizioni vorrei aumentare i prezzi, ma ho paura a farlo perché i consumi potrebbero calare. Dovrei riuscire a resistere senza ritoccare i listini per un paio di mesi. Ma se le cose proseguiranno così a lungo, non ho alternative, dovrò alzare i prezzi e ridurre il personale» ammette a malincuore Vacchieri. «Le nostre imprese artigiane sono al collasso e rischiano di chiudere» lamenta Dino De Santis, presidente di Confartigianato Torino. «Non possiamo riversare tutto quel che succede sulla clientela ma le nostre imprese non riescono, da sole, far fronte ai rincari di questa portata, sicuramente saranno in grave sofferenza economica e finanziaria».
A una quindicina di chilometri dalla pasticceria colpita dal rincaro dei prezzi di energia, burro e farina, lavora Claudio Rizzolo, imprenditore e titolare di Vibel Group, impresa con sede a Nichelino, cittadina del torinese con 48 mila abitanti. L’azienda produce carpenteria leggera, ha una decina di dipendenti e un fatturato di circa 2,5 milioni di euro. Rizzolo deve fare i conti con le quotazioni del ferro: «Sono passate da 0,6 euro a 1,6 euro al chilo nel 2021, con un aumento di oltre il 150 per cento. Alluminio e acciaio hanno subìto rincari simili. Ora il ferro sta rallentando ma alluminio e inox continuano a salire. Il risultato è che nel mio bilancio i costi delle materie prime sono cresciuti di 150 mila euro e prevedo che nel 2022 lo stato delle cose sarà simile».
Non bastasse, Vibel Group è strangolato dal caro-energia: «Fino all’ultimo trimestre dell’anno scorso» aggiunge Rizzolo «pagavamo per l’elettricità intorno ai 4 mila euro al mese: ora siamo arrivati a 10 mila». Incremento del 150 per cento che, insieme agli sbalzi delle materie prime, mette in pericolo la redditività dell’azienda: «Penso che in gennaio chiuderemo i conti non in utile ma in pareggio. Il fatto è che dovremo trasferire questi sovraprezzi sui clienti. È abbastanza semplice farlo con gli aumenti delle materie prime, perché tanto è salito il ferro, tanto sale il costo di quell’articolo costruito con quel materiale. Molto più difficile invece ribaltare l’incremento dell’energia sui prezzi finali. È una situazione complicata, imprevedibile».
Di più, è una situazione folle. Usa questo aggettivo Michele Furlan, titolare della Furlan Costruzioni, impresa edile di Mestre (Venezia) con quattro dipendenti. Il piccolo imprenditore veneto si scaglia contro l’aumento di alcune materie prime e la loro difficile reperibilità. «Per esempio la lana di roccia, isolante che serve a realizzare il “cappotto” degli edifici, non si riesce a trovare e segna un 40 per cento in più. Anche il polistirene è introvabile e, quando si riesce a recuperarlo, ha avuto un aumento del 40-50 per cento rispetto a un anno fa. E poi non ci sono i ponteggi, e quelli che ci sono si pagano a peso d’oro».
Tra i rincari segnalati dall’imprenditore c’è quello dell’asfalto, +40 per cento in un mese per il boom dei prezzi del gas. Furlan naturalmente lavora con clienti che hanno ottenuto il superbonus ed è un problema perché «i loro preventivi sono costruiti su prezzi di un anno fa, non tengono conto degli aumenti e la differenza è difficile se non impossibile da recuperare». L’effetto di questo contesto «folle»? Che tra scarsità di materie prime, rincari e guadagni che si assottigliano, la qualità dei lavori ne risente.
Furlan, vista la sua attività, non deve preoccuparsi troppo dei prezzi dell’energia. Che sono invece un grosso problema per Marco Filauro, amministratore delegato della Cartiera A. Merati di Laveno Mombello, elegante cittadina sulle sponde del Lago Maggiore, provincia di Varese. Le cartiere sono grandi consumatrici di elettricità e la A. Merati, specializzata in cartone industriale (70 milioni di ricavi e una settantina di dipendenti) se la produce in casa con un impianto a gas.
Il guaio è che le quotazioni del metano di oggi sono nove volte quelle del gennaio del 2020. Questo significa che per l’intero settore la bolletta del gas è passata dai 600 milioni di euro del 2019 ai 1.400 milioni del 2021. Una crescita difficile da sostenere. «A dicembre 2020 abbiamo speso 350 mila euro per il gas, un anno dopo il costo della bolletta mensile è salito a un 1,8 milioni euro» dice Filauro. «Fino a una decina di anni fa il prezzo del gas era agganciato a quello del petrolio e le quotazioni erano prevedibili. Poi il mercato del gas si è liberato da quel legame ed è diventato più speculativo. Le aziende per tutelarsi dagli scossoni dei prezzi comprano strumenti di copertura ma ora l’aumento è talmente repentino che le imprese non riescono a coprirsi». Anche il manager della Cartiera A. Merati è disorientato: «Lavoro in questo settore dal 2005 e una situazione così complessa non mi era mai capitata». All’impennata dell’energia si è aggiunta quella delle materie prime: i maceri, cioè carta e cartone da riciclare, hanno registrato dal 2020 rialzi dei prezzi nell’ordine del 150 per cento.
E le quotazioni cambiano ogni mese, provocando grosse difficoltà operative. Un cocktail difficile da digerire anche per una realtà industriale dalle spalle solide: «Avremo un forte calo della marginalità» dice Filauro. E questo nonostante la cartiera abbia aumentato quasi del 100 per cento i propri listini. «Siamo preoccupati per le condizioni dei nostri clienti, che non sempre possono trasferire i rincari sul mercato».