Il Covid-19 cambia anche il Primo Maggio. Non ci saranno cortei, manifestazioni, cerimonie affollate e concerti ma celebrazioni virtuali per ricordare il valore del lavoro. Tanti messaggi viaggeranno sulla rete per ricordare la tragedia di tutti coloro che oggi hanno perso un lavoro o non posso aprire i cancelli della propria impresa. Siamo al giorno dopo di una serie di dati che hanno iniziato a certificare realmente la portata della crisi. Crollo del Pil nei maggiori Paesi europei, con l’Italia che segna -4,7%, a sorpresa meglio delle previsioni ma con aspettative per il secondo trimestre molto pessimistiche. Negli Stati Uniti si registrano quasi altri 4 milioni di disoccupati, che portano il numero complessivo dall’inizio della crisi a circa 30 milioni, l’area dell’eurozona che vede crescere la disoccupazione, la Germania che accusa un primo sensibile incremento, mentre in Italia si segnala un boom di inattivi a fronte di una caduta della disoccupazione di quasi un punto percentuale (8,4%) e di una leggera riduzione degli occupati.
Occorre sottolineare che, pure in presenza di una certa fragilità del dato –il lockdown mina anche le capacità di raccolta statistiche- la situazione italiana appare perché il diffuso utilizzo della cassa integrazione protegge il posto di lavoro della persona e non la classifica formalmente nei disoccupati. Ecco perché in una fase come questa è necessario fare un maggiore affidamento sui dati amministrativi, che già registrano una esplosione della cassa integrazione. Le celebrazioni virtuali evidenziano anche la direzione verso cui si è mosso il rapporto lavorativo: lo smart working, assurto a paradigma della nuova società. Si comprende bene però come questa dimensione divenga sempre più non una scelta ma uno stato di fatto imposto dalla pandemia. E allora le valutazioni cambiano perché il telelavoro non fa altro che produrre maggiore diseguaglianza in base all’istruzione, al reddito, alla residenza, alla tipologia di lavoro. Le diseguaglianze appaiono uno dei prodotti di questa pandemia su cui sarà necessario intervenire. Il 1° Maggio 2020 deve avere però un nuovo significato: celebrare il valore dell’impresa. Solo in questi giorni, per la prima volta dopo tanti anni, diventa palese come il valore del lavoro è inestricabilmente legato alla presenza dell’impresa. Senza impresa il lavoro non esiste, un paese non produce più ricchezza e diventa dipendente solo dall’assistenzialismo di Stato (e dallo Stato imprenditore).
Per questa ragione l’impresa non può e non deve essere abbandonata nella convinzione che poi interverrà lo Stato con un reddito di emergenza o con lavori socialmente utili. Non si può pensare di indebitare le imprese e poi mettere in piedi meccanismi di statalizzazione. Non si possono imporre condizioni rigide alla attività di impresa quando serve maggiore flessibilità nella combinazione dei fattori produttivi. Non si può vivere in una economia in cui l’impresa è vista solo come un fattore da limitare e da correggere. Il vivo pregiudizio anti impresa che circola ancora in una parte della politica italiana deve essere smontato e non ci vuole la Chiesa a ricordare l’etica del profitto.
L’Italia, al contrario, deve puntare sulla impresa e sulla imprenditorialità privata. Deve promuoverla nel mondo –perché ha eccellenze importanti- e deve sostenerla in Italia, perché attraverso di essa sviluppa ricerca, accresce capitale umano, sostiene il tessuto sociale. Si ribalti il paradigma tradizionale del Primo Maggio e si celebri il valore dell’impresa, strumento necessario per il lavoro. Non è tempo per farsi attirare dalle sirene, che cantano forti, dello stato imprenditore. Oggi purtroppo esiste (forse) solo lo Stato “salvatore”, quello che ha il compito di riorganizzare settori industriali che sono allo stremo, dal settore del trasporto aereo a quello del turismo, quello che deve assicurare risorse a fondo perduto e allentamento degli adempimenti fiscali e contributivi, quello che deve ristabilire alcune regole del gioco. Chi pensa oggi di trasformare Cassa depositi e prestiti o Invitalia nella Iri 4.0 commette un errore strategico e condanna il Paese ad un lento arretramento. Al contrario, chi pensa ad uno Stato regolatore e che interviene per garantire un mercato di beni pubblici, ad uno Stato che accompagna i processi produttivi e le imprese, ad uno Stato nazionale e regionale che crea le condizioni per l’attività di impresa fa un investimento sul futuro del Paese ancora nel G7 mondiale. Il Primo Maggio del 2020 coincide con la partenza di quella che si annuncia come una nuova stagione della associazione degli industriali italiani, una stagione che ha tutte le caratteristiche e le potenzialità per ripercorrere le stagioni della Confindustria protagonista della storia del Paese, tesa a difendere le ragioni dell’impresa e a promuovere politiche per la crescita. Ecco la nuova presidenza dovrebbe reimpadronirsi della festività del 1° Maggio perché se il lavoro è un valore e la nostra Repubblica è fondata sul lavoro, senza l’impresa rischiamo di essere la Repubblica del divano.
