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Grano amaro

Grano amaro

Delle 383 navi di cereali partite dall’Ucraina, solo 39 sono arrivate in Africa. L’allarme sulla guerra di Putin «contro i poveri» ha sì sbloccato le partenze, ma ha soprattutto avvantaggiato i migliori offerenti.


I cereali bloccati nei porti ucraini sono vitali per milioni di persone in Africa sull’orlo della carestia» riportava Euronews a ridosso dell’accordo che avrebbe sbloccato le navi ferme in Ucraina dall’inizio della guerra. Cereali destinati «all’Africa affamata», titolava l’agenzia AP. Eppure dal 1° agosto, quando le navi hanno iniziato a partire grazie all’accordo Black Sea Grain Initiative tra Ucraina, Russia e Turchia, «i poveri africani» hanno visti ben pochi cereali. Al 24 ottobre, su 383 navi salpate da Odessa, Chornomorsk e Yuzhny, solo 39 sono arrivate in Africa e la maggior parte nei Paesi più ricchi come Egitto e Algeria; solo quattro, del World Food Program, hanno portato aiuti in quelli colpiti da povertà, siccità e guerre come Etiopia, Somalia e Sudan.

Un numero esiguo se si pensa che l’Onu era stata tra i primi a segnalare come fossero centinaia di milioni gli africani che dipendevano dai rifornimenti ucraini. «In molti Paesi dobbiamo togliere il cibo dalla bocca dei bambini affamati per darlo a quelli che stanno letteralmente morendo di fame» dichiarava accorato il Direttore esecutivo David Beasley il 6 maggio. Un allarme che aveva portato i media a tratteggiare il rischio di primavere arabe e una possibile crisi del grano in mano a Vladimir Putin. «Lo scenario drammatico in Africa non si è ancora verificato, ma presentarlo già come esploso rischia di innescare l’emigrazione di massa come è già accaduto nel 2011» scriveva il Corriere della Sera il 6 giugno suggerendo come «lo scenario migliore per Putin, forse parte della sua strategia: usare la leva alimentare per destabilizzare». Peccato però che tale pericolo non era stato suggerito dalla Russia bensì dall’Ue e dall’Unione Africana. In un video diretto ai leader europei, il 31 maggio, il presidente Macky Sall spiegava come il protrarsi del blocco delle navi nei porti ucraini avrebbe rappresentato «uno scenario catastrofico» data la stretta dipendenza delle nazioni africane dal grano russo e ucraino. Allarme amplificato dal presidente del Consiglio europeo Charles Michael che paragonava il cibo a un «missile stealth» in mano a Putin contro i Paesi in via di sviluppo.

Dalla sua, in un meeting al Cairo, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov cercava di persuadere i partner arabi che era in atto un’operazione di distorsione della verità voluta dall’Occidente. «Le statistiche della Fao fanno risalire le difficoltà del mercato alimentare all’inizio della pandemia» quando i costi di trasporto aumentano per effetto del Covid. Il prezzo del grano però schizza in alto due giorni prima della guerra, quando i mercati subodorano l’attacco russo. Di sicuro, la propaganda sull’Ucraina «granaio del mondo» ha un po’ distorto la realtà, a partire dal fatto che questa rappresenta solo il 5 per cento delle esportazioni mondiali di grano mentre la quota della Russia è quattro volte superiore, tant’è che le esportazioni non si sono mai fermate. Secondo SovEcon, istituto che monitora il transito di grano sul Mar Nero, sarebbero aumentate del 60 per cento, specie verso il Nordafrica.

«È probabile che la questione africana abbia rappresentato un elemento di moral suasion nei confronti di Putin, che per non sembrare troppo cattivo si è adoperato per lo sblocco delle navi» dice l’analista finanziario Maurizio Mazziero. Una misura servita a calmierare il prezzo del grano sul mercato (sceso del 18 per cento a Parigi e del 30 alla borsa di Chicago) di cui paiono essersi avvantaggiati soprattutto Recep Tayyip Erdogan e gli Stati occidentali.

Se infatti si vanno a guardare le principali destinazioni delle navi, si scopre che quasi la metà (ben 127) si sono dirette in Turchia, seguite dalla Spagna (59) e dai principali paesi europei tra cui l’Italia (51). Una realtà ben diversa da quella propagandata a partire dal primo carico: 26 mila tonnellate di mais non per i poveri ma per i polli, poi però rimbalzato a causa dei ritardi persino da un Paese non florido come il Libano. Uno scenario che deve aver spiazzato anche un giornale non certo pro Putin qual è il New York Times, visto che già il 9 agosto sottolineava come nessuno dei carichi di grano e mais partiti dai porti ucraini fosse diretto ai Paesi africani a rischio fame. «Sono navi commerciali, trasportano grano per il migliore offerente e spesso Turchia e altri paesi sono solo tappe intermedie» commenta Mazziero.

Contattato da Panorama, il World Food Program, che nel 2021 si è rifornito in Ucraina per oltre metà dei propri carichi di grano, assicura di avere in programma nuove partenze per l’Etiopia oltre che per Yemen e Afghanistan.

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