Home » Grandi magazzini addio. Il Regno Unito li cambia così

Grandi magazzini addio. Il Regno Unito li cambia così

Grandi magazzini addio. Il Regno Unito li cambia così

La Brexit e la pandemia hanno accelerato la trasformazione degli storici «mall». Non più contenitori di marchi intercambiabili, ma personalizzati e su misura a seconda delle zone e dei gusti degli acquirenti. Una necessaria evoluzione in un settore che ha registrato in cinque anni una perdita dell’83 per cento di questi spazi di vendita. E una tendenza che da Londra e dal resto del Paese coinvolgerà sempre più l’Europa.


Il 24 settembre di un anno fa, una folla di londinesi si è radunata di fronte al più brutto centro commerciale della capitale per dirgli addio. In fila, con striscioni e bandiere rosa, uomini, donne e bambini della zona hanno reso omaggio allo shopping center di cemento e vetro di Elephant & Castle, che chiudeva i battenti causa ristrutturazione, dopo una vita piena e dignitosa proseguita per 55 anni. Le varie amministrazioni di Southwark, area sud-est della capitale britannica, tentavano di ridargli nuova vita fin dal 1989, ma si erano ripetutamente scontrate con l’ostilità della comunità locale. Il progressivo allontanamento degli abitanti meno abbienti e la pandemia hanno dato l’avvio al processo di modernizzazione e, a inizio estate, i nuovi proprietari hanno diffuso le prime immagini del complesso che potrebbe venir costruito in futuro. La vecchia cupola di vetro e l’iconico orologio verranno restaurati, l’antica scala mobile centrale rifatta e incorporata in un hotel. Nell’edificio principale, tanto verde dove passeggiare, per mitigare l’effetto del cemento. All’interno, abitazioni, palestre e centri ricreazionali. I piccoli negozi fuori, ma a portata di mano dei residenti. C’è chi grida alla «gentrificazione» selvaggia, ma questa è la realtà.

È solo uno dei tanti esempi dei nuovi centri commerciali che stanno nascendo e modificandosi in tutto il Paese, Londra in testa. La tendenza era già in atto prima della Brexit e della tempesta coronavirus, ma i due fattori hanno impresso al fenomeno un’accelerazione che nessuno poteva prevedere. Ora, dopo mesi di forzato immobilismo, l’Inghilterra è tutta un cantiere. È il punto di forza degli inglesi: imbattibili nel reagire immediatamente ai cambiamenti e nel cogliere i mutamenti nei gusti dei consumatori, pionieri di un fenomeno destinato a diffondersi – seppur con tempi e modalità diverse – in tutto il mondo.

Nel Regno Unito la fine definitiva dell’era dorata degli affitti commerciali, la crisi delle grandi catene di consumo sconfitte dagli acquisti online, unite alla carenza di alcune categorie professionali dovuta alla Brexit, hanno portato a un ripensamento globale del business. Per non morire bisognava trovare nuove formule differenziate, chiudere le attività meno redditizie, offrire soluzioni più adatte a una vita che, dopo la pandemia, non sarà mai più la stessa. Che piaccia o no.

Così a Londra i grandi mall commerciali di una volta, fatti con lo stampino, tutti riempiti dagli stessi marchi (Gap, Boots, e Primark), sono destinati all’estinzione per lasciare il posto ai loro eredi monotematici, pensati a seconda delle varie aree urbane. Alcuni, come il complesso ipermoderno di Hawley Wharf a Camden (sorto sulle ceneri della vecchia area del mercato sul fiume, distrutta da un incendio) sono nuovi di zecca e hanno appena aperto.

Ci si trova un mix di negozietti indipendenti e grandi nomi del commercio internazionale, ristoranti vegani, un cinema con cinque sale ispirate al design dei jazz caffè newyorkesi, una palestra e un club di boxe esclusivo. Oltre a 195 appartamenti, nuovi spazi per il coworking e un mercato biologico strizzato tra Regent’s Canal e la linea della metropolitana.

Altri, come Whiteleys, il più antico della capitale, situato nella zona residenziale di Notting Hill, affronterà un make up da un miliardo di sterline per riciclarsi da centro commerciale popolare a complesso di super lusso. Sempre dedicato a una clientela selezionata, ma questa volta limitato ai marchi internazionali di alta moda, verrà realizzato nella zona residenziale ed elegantissima di Mayfair. In sobborghi londinesi più accessibili come Wandsworth, dove lo stile di vita è mutato radicalmente dopo il lockdown e la gente ha riscoperto ritmi più conviviali e rilassati, sono state studiate ancora nuove ricette. Nello shopping center Southside, al pianoterra che una volta ospitava il reparto di bellezza della catena Debenhams (tra le prime a fallire nel 2020) adesso c’è una pista di go-kart.

L’ex sede della filiale bancaria della NatWest, a Southfields, ospita uno dei tanti locali di Gail’s, piccola catena di bistrot per palati più raffinati. L’arredo è in quello stile shabby chic che tanto piace alle mamme delle scuole private dei dintorni. In questa ripresa di stampo sartoriale, tuttavia, le criticità non mancano e i processi di trasformazione rischiano di venir deviati dall’andamento imprevedibile dell’economia britannica, colpita (su fronti e in modi diversi) dalla accoppiata del virus e dell’addio all’Europa.

Negli ultimi sei mesi, in tutto il Regno Unito, più di 8.700 filiali delle grandi catene commerciali hanno chiuso i battenti e dal 2016 fino a oggi il Paese ha chiuso l’83 per cento dei suoi grandi magazzini, con perdite per miliardi di sterline. Ogni giorno, secondo una ricerca della società di consulenza PwC, abbassano le serrande una media di 50 negozi nelle piccole, così come nelle grandi città. I centri commerciali cittadini sono quelli in maggior sofferenza, mentre i grandi outlet semi-periferici reggono meglio. Ma a dispetto dei fallimenti eclatanti che hanno lasciato a casa migliaia di disoccupati, la situazione sta migliorando e offre speranze concrete. «I dati raccolti ci fanno capire che il peggio sta passando» spiega Lucy Stainton, capo del settore commerciale e strategico della Local data company, la compagnia che ha collaborato allo studio. «Ma, detto questo, non possiamo trascurare l’effetto combinato dei continui lockdown. Se quindi un rallentamento nelle chiusure commerciali è positivo, il volume dei locali rimasti vuoti ha raggiunto livelli impressionanti e al momento non sono abbastanza gli imprenditori disposti a riempirli».

La corsa contro il tempo è perciò già partita: se nei prossimi due anni non si saranno fatti i passi giusti, la crisi degli immobili diventerà cronica e la disoccupazione raggiungerà cifre mai conosciute dall’Inghilterra. Un po’ di fortuna, quella che aiuta gli audaci anche nel cambiare, sarebbe auspicabile.

© Riproduzione Riservata