Il collegamento Asti-Cuneo è in costruzione da 17 anni e, forse, sarà inaugurato nel 2026. Ma l’imprenditore di Tortona che doveva realizzarlo, lungi dal pagare penali, vede generosamente aumentarne il prezzo che gli sarà riconosciuto dallo Stato. E, grazie al gioco delle «concessioni comunicanti», quei lavori infiniti saranno finanziati dal caro-pedaggi della Torino-Milano.
Non solo Benetton. Anche i Gavio. Uno dei motivi per i quali il Pd andrebbe tenuto lontano dalle famiglie, dalle banche e dalle autostrade è che quando si trova al governo proprio non riesce a mantenere la distanza di sicurezza dai «signori del casello» e dalle loro dinastie. Nelle ultime settimane, mentre andava in scena la commedia del sequestro-regalo di Autostrade per l’Italia, il colosso della famiglia di Tortona, quarto operatore al mondo con 4.150 chilometri di rete in Italia, Brasile e Regno Unito, piazzava una serie di colpi magistrali.
Non solo il rinnovo delle concessioni in scadenza per la Torino-Aosta, la Torino-Piacenza e la Sestri Levante-Livorno, ma anche la registrazione in Corte dei conti della nuova concessione per «l’Incompiuta del Nord-Ovest», ovvero la Asti-Cuneo. Novanta chilometri di autostrada (la A33) tra i vigneti di Langhe e Roero, con un famoso viadotto che finisce nel nulla immortalato da decine di giornali e trasmissioni tv. Un’opera appaltata nel 2003 dall’Anas per un costo previsto di poco inferiore al miliardo e con un (finto) contratto-capestro che ne imponeva la consegna entro cinque anni. Ora si scopre che i Gavio la completeranno nel 2026 per 1,5 miliardi, senza più gallerie e continuando a incassare pedaggi per una semi-autostrada.
Il gruppo guidato da Beniamino Gavio (55 anni, figlio e nipote dei mitologici Marcellino e Beniamino senior), che nelle concessioni opera con la Astm con alla testa Umberto Tosoni, ha concordato con il governo un meccanismo di finanziamento geniale, avallato dal ministro delle Infrastrutture Paola De Micheli. È il sistema delle «concessioni comunicanti», grazie al quale gli oltre 600 milioni di euro che servono per completare la A33 usciranno dalle tasche degli ignari automobilisti della Torino-Milano (sempre dei Gavio). Milanesi e torinesi, anziché avere finalmente diritto al ribasso dei pedaggi dopo anni e anni di disagi e rincari, pagheranno i cantieri della Asti-Cuneo.
Anche i Gavio se l’erano vista brutta, con il crollo del viadotto sulla Savona-Torino a novembre dell’anno scorso. Ma oltre al fatto che per l’orario (era una domenica mattina e c’era allerta meteo) nessuno ci ha rimesso la pelle, va detto che rispetto ai Benetton i Gavio hanno sempre coltivato understatement ed ecumenismo. Nella Seconda Repubblica, le società del gruppo hanno finanziato in chiaro Forza Italia, Alleanza nazionale, i Ds (Pierluigi Bersani in particolare), il Pd e la fondazione Open di Matteo Renzi. Prima, erano democristiani, ma sapevano dialogare anche con il Pci, attraverso l’amico Primo Greganti, il «Compagno G» che anche in carcere non spiccicò una parola sulle mazzette rosse.
Il 24 ottobre, mentre il premier Giuseppe Conte prepara il secondo lockdown, al ministero delle Infrastrutture c’è aria di festa. La Corte dei conti registra la delibera con la quale il Cipe, il 14 maggio, aveva dato via libera alle richieste dei Gavio. La De Micheli s’intesta il capolavoro della coppia Tosoni-Gavio: «Durante la visita ad Asti avevo rappresentato ai sindaci e alle istituzioni locali la complessità amministrativa che volevamo fortemente superare» racconta la ministra. «Ci siamo riusciti e ora tornerò per la riapertura definitiva del cantiere».
La storia dell’autostrada del vino inizia ufficialmente nel luglio del 2003, con Silvio Berlusconi al governo, quando l’Anas lancia una gara per la ricerca di un socio privato nella costituenda società concessionaria della futura Asti-Cuneo. Si tratta di una novantina di chilometri disegnati «a zeta inversa», nel linguaggio dei tecnici, che dovrebbe anche collegare la Torino-Savona e la Torino-Piacenza. Il 20 dicembre del 2004 arrivano le offerte, per un investimento previsto a base d’asta in 1,15 miliardi di euro e consegna fissata in cinque anni e mezzo. Per i tratti che l’Anas aveva appaltato in proprio, c’erano stati ribassi medi del 25 per cento. Insomma, era lecito aspettarsi un costo reale al massimo 900 milioni.
Le tariffe medie di pedaggio, sulle quale i pretendenti erano invitati a proporre sconti, erano indicate in 0,09 euro al chilometro per le auto e 0,18 euro per i camion. La gara lasciava invece piena libertà di fare le proprie stime di traffico. In ogni caso, l’Anas metteva a disposizione i suoi studi, in base ai quali si stimavano 15.339 veicoli al giorno nello scenario alto, 12.909 in quello consigliato e 8.809 in quello basso.
Il 25 marzo del 2005, con Vincenzo Pozzi alla guida di Anas e Pietro Lunardi (Forza Italia) al ministero delle Infrastrutture, le società del gruppo Gavio vincono la gara con un’offerta da 899 milioni di euro battendo, tra gli altri, un colosso come il gruppo Caltagirone. Anas e vincitori vanno dal notaio a costituire la concessionaria il primo marzo del 2006, ma non versano tutto il capitale sociale di 200 milioni di euro (70 Anas e 130 Gavio), come prescritto dal patto parasociale compreso nel bando. Si limitano al 25 per cento, facendosi un gran bello sconto.
Nonostante si sia già partiti in ritardo, un altro anno passa senza che si muova una ruspa. In compenso, il primo agosto 2007 i Gavio ottengono, con beffa dei concorrenti battuti nel 2005, una nuova convenzione «a titolo transattivo» che sposta il termine del lavori al 10 febbraio 2012. Al governo ci sono Romano Prodi, l’indimenticato privatizzatore di Autostrade, e l’ex pm di Mani Pulite Antonio Di Pietro, un nome una garanzia. Altra stranezza della vicenda: in quei primi tre anni di ritardo sul cronoprogramma, Anas affida a Salt (sempre dei Gavio) l’esercizio dei brevi tratti già completati, senza fare una piega per i ritardi. Ma nel patto parasociale c’era anche l’obbligo per il privato di reperire tutti i finanziamenti necessari e questo patto aveva una durata di cinque anni, tacitamente rinnovabile.
Il patto garantiva lo Stato da inadempienze e ritardi e prevedeva una clausola di salvataggio a favore di Anas, che avrebbe obbligato il privato a pagare un rimborso maggiorato del 20 per cento sul capitale investito dalla società pubblica. A quel punto, visto che Anas e Gavio avevano versato solo i minimi di legge, se il privato avesse dato disdetta del patto, Anas avrebbe incamerato appena 26 dei 104 milioni previsti. Ovviamente, il socio privato non ha rinnovato il patto e l’Anas non si è minimamente tutelata, a riprova del fatto che quando una gara pubblica è tosta o, sulla carta, poco remunerativa, conviene portarla a casa, fare melina e poi rinegoziare il tutto approfittando del fatto che tanto la colpa mediatica delle incompiute ricade sempre e comunque sul governo.
Nel corso degli anni, la piccola Grande opera viene più volte riprogettata, abbassando le previsioni di traffico a quota 6-8.000 veicoli (in base ai consuntivi parziali). Gli errori nelle stime al momento dell’appalto sono stati addossati alla crisi economica del 2007. Intanto va in scena l’apertura (a pagamento) dei tratti più semplici, con un generale effetto «tangenziale». Ma le tre opere da realizzare più importanti sono (erano) le gallerie di Alba, Verduno e Asti Ovest, che insieme valgono circa 900 milioni di euro.
Nell’ultimo rinnovo concesso dal governo Conte, il costo della A33 lievita a 1,5 miliardi, con ogni singolo lotto che sale di prezzo.
In sostanza, servono oltre 600 milioni di euro per chiudere la concessione e, dovendo incrementare le tariffe del 200 per cento per andare in pareggio, vengono rinegoziate tutte le condizioni, mettendoci dentro quelle della Torino-Milano. E si semplificano i tracciati della Asti-Cuneo. Il sistema è semplice: si aumentano a tavolino i «termination value», ovvero il prezzo che un nuovo concessionario dovrebbe dare al vecchio per subentrargli, e così quello della A4 sale di 300 milioni di euro (ovvero 900 milioni al 2026) e quello della A33 di altri 300. I valori di subentro sono qui 4,3 volte la concessione originaria, mentre la Commissione europea suggerisce al massimo l’1,4. Il famoso «ce lo chiede l’Europa» per Conte, De Micheli e il Pd tutto, in questo caso non vale.
Se poi si guarda a questa operazione dal punto di vista meramente finanziario, qui c’è un soggetto privato (la A4) che presta 626 milioni al tasso elevatissimo del 9,2 per cento a un soggetto misto (la A33), senza alcuna gara. Va tutto bene? E a proposito di gare, visto che la concessione della A33 sarebbe decaduta dopo i primi 15 mesi di ritardo (sono passati ben nove anni), il Mit avrebbe dovuto rifare l’appalto. Invece il 14 maggio il Cipe, presieduto dal sedicente premier Avvocato del popolo, ha «sanificato» tutto. Avallando anche il meccanismo della «concessioni comunicanti», in base al quale, per fare un esempio, i Benetton oggi potrebbero far pagare il costo del nuovo ponte di Genova a chi percorre l’Autosole. A riprova del fatto che in Italia, quando ci si mette in autostrada, si paga tanto e non si sa neppure dove vanno i soldi. Ma quando arrivi a casa sano e salvo sei già contento.
