Dopo l’accelerazione post-pandemica il mercato immobiliare (tranne che in città come Milano, Firenze, Roma) segna il passo. I motivi? Oltre l’inflazione e la crisi economica, le banche concedono molti meno mutui, mentre Bruxelles impone rigide certificazioni. Così, comprare (o affittare) «il mattone» diventa un investimento dalle troppe variabili.
Da quando la presidente della Bce Christine Lagarde ha deciso di inseguire la Fed, sulla linea dell’aumento dei tassi d’interesse per abbattere l’inflazione, il mercato immobiliare è tornato preda del pessimismo. A parte alcuni casi isolati, come Milano in cui il settore continua ad andare a gonfie vele e poche aree urbane centrali quali quelle di Firenze e Roma dove le compravendite mantengono il ritmo, il clima generale è di grande prudenza e di ripiegamento.
La fibrillazione scatenata dall’uscita dal Covid e l’eredità lasciata dalla pandemia come desiderio di una migliore qualità abitativa appaiono smorzate. «Nella prima parte del 2022 le compravendite sono andate molto bene, con un incremento tendenziale del 10,1 per cento e rispetto al 2019, al pre-Covid, del 34,2 per cento. Ma poi i venti di guerra, l’inflazione, l’incertezza economica e le prospettive di una recessione hanno creato una battuta d’arresto» spiega il presidente di Scenari Immobiliari, Mario Breglia. Nel solo segmento abitativo c’è stata una flessione delle transazioni nel secondo semestre rispetto al primo pari all’8,9 per cento, riconducibile alla performance del quarto trimestre. «Chi compra lo fa quasi esclusivamente per migliorare la propria condizione abitativa, non per un investimento o per procurarsi una forma di reddito. Questo è un meccanismo che non conviene più. Il rapporto tra il costo di un immobile e il suo potenziale rendimento è svantaggioso».
C’è anche un’altra caratteristica che si sta imponendo. «Chi si affaccia sul mercato usa soprattutto i propri risparmi o l’incasso dalla vendita di una proprietà. Affidarsi a un mutuo è sempre più difficile, le banche concedono i prestiti con il contagocce. Gli istituti non si fidano più dopo le batoste del passato, dopo essersi ritrovati in pancia una mole di crediti inesigibili». Per Breglia più che l’aumento dei tassi, il freno del mercato immobiliare è rappresentato dalla difficoltà ad accedere a un finanziamento bancario. Il suo giudizio è tranchant: «Il mattone sta diventando un settore per ricchi». Comprare a Milano significa mettere in conto in media anche oltre 5 mila euro al metro quadro, a Firenze, seconda nella classifica del portale Immobiliare.it per il 2023, circa 4.180 euro, a Roma oltre 3.300.
Peraltro la possibilità di rinegoziare il mutuo (una delle norme inserite nella manovra economica), passando dal tasso variabile a quello fisso senza dover cambiare banca è condizionato a un importo non superiore a 200 mila euro e a un Isee, l’indicatore della situazione economica, fino a 35 mila euro.
Lo scenario trova conferma nel terzo report 2022 di Nomisma, che contiene alcune tendenze prevedibili per il prossimo anno. L’analisi precisa che il progressivo deterioramento dello scenario macroeconomico ha indebolito il trend rialzista che da oltre un anno e mezzo caratterizzava il mercato immobiliare. A ciò si aggiungono gli esiti dell’impennata dei prezzi sulla capacità di spesa e investimento di famiglie e imprese. Il clima di fiducia «si è drasticamente ridimensionato», c’è scritto, e l’effetto della contrazione del potere di acquisto non può che essere un calo della domanda immobiliare, accompagnato tra l’altro dalla chiusura del canale creditizio da parte del sistema bancario, preoccupato da una nuova ondata di insolvenze.
Le previsioni per il 2023 sono dunque fosche. Il mercato immobiliare, stima Nomisma, diverrà meno accessibile rispetto a qualche mese fa, anche a causa del rialzo dei valori di compravendita e locazione. Dopo l’exploit dell’ultimo anno e mezzo, «ci sarà una riduzione dell’intensità della domanda».
Confedilizia chiama in causa anche un altro fattore di frenata che ha a che fare con la transizione ecologica. Stiamo parlando della direttiva di Bruxelles che impone regole più stringenti per la certificazione energetica e il cambiamento dei parametri. Sicché immobili oggi perfettamente adeguati agli standard di risparmio energetico potrebbero presto essere fuori norma, imponendo al proprietario nuovi interventi di efficientamento.
Chi non si adegua, «rischia la perdita di valore del proprio bene» afferma Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia. «Persino gli interventi svolti in questi ultimi anni, anche grazie all’Ecobonus, sia nella sua versione originaria sia nella forma rafforzata del superbonus, potrebbero non essere considerati sufficienti a garantire le prestazioni energetiche richieste. Al danno si aggiungerebbe la beffa».
Un altro fattore di disturbo, anch’esso figlio dell’ossessione regolatoria della Ue, riguarda gli affitti brevi. L’ultima novità che entra in vigore proprio in gennaio, in base al recepimento della direttiva comunitaria, prevede l’obbligo della comunicazione da parte delle piattaforme online di locazione, come Airbnb e Booking, all’agenzia delle Entrate, del codice fiscale del proprietario, del reddito da lui percepito con l’affitto e dell’entità delle commissioni.
Questi intermediari diventano così una sorta di collaboratori del fisco con l’obiettivo di arginare l’illegalità diffusa nel settore. Chi non mette a disposizione questi dati, viene estromesso dalla piattaforma. La mancata comunicazione è perseguita con sanzioni salate fino a 20 mila euro. Attualmente il settore movimenta circa 950 mila abitazioni ed è particolarmente vivace nelle grandi città. Secondo Airdna, l’applicazione che analizza i dati degli annunci su Airbnb, a fine dicembre 2021 a Milano si contavano 11.116 offerte che a fine settembre sono lievitate a 15.900 (+43 per cento in base ai dati Airdna); a Roma sono passati da 20.668 a 23.427 (+13 per cento); a Firenze da 8.535 a 10.291 (+20,6). Airbnb ha già comunicato ai locatori che in assenza delle informazioni richieste per il fisco, scatterà il blocco dei compensi e dei calendari. Il giro di vite comporterà un onere maggiore per la gestione che potrebbe essere scaricato sulle commissioni ai locatori.
Questa norma si innesta in una giungla di disposizioni locali che intendono mappare gli affitti brevi, come l’obbligo da parte degli intermediari di comunicare i dati catastali degli immobili. In attesa di una banca dati nazionale per questo particolare tipo di locazioni, regioni quali Lombardia, Puglia, Veneto, Piemonte e Campania hanno introdotto un codice identificativo Cir da utilizzare negli annunci online. Gli «short rental» rappresentano la gamma top degli investimenti sul mattone in quanto assicurano rendimenti che superano il 5 per cento.
Basti pensare che a Milano e a Roma si può arrivare a spendere anche 400 euro a notte, mentre il canone medio di un monolocale, nelle stesse città, è intorno ai 200 euro e a Firenze ai 165 euro. Un giro d’affari che rischia di incepparsi.
L’alternativa dell’affitto tradizionale è sempre più vista come un’operazione ad alto rischio per il proprietario. La legge, paradossalmente, favorisce gli inquilini morosi a causa delle pratiche di sfratto lunghe, costose e farraginose. Questo sta determinando una contrazione del mercato delle locazioni a medio-lungo termine e un incremento dei prezzi dei canoni. Un single per un monolocale si vede mangiare il 40 per cento del reddito. «Una sfida per il 2023 può esser proprio quella di tutelare l’affitto attraverso procedure di rilascio delle case rapide e certe, e riqualificare il patrimonio edilizio sia privato che popolare con incentivi equilibrati e stabili» è l’input lanciato da Spaziani Testa. Le idee ci sono, serve la volontà politica di metterle in atto. n
© riproduzione riservata
