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La finanza verde si mette l’elmetto

La finanza verde si mette l’elmetto

Il conflitto in Ucraina e le tensioni sul gas stanno minando le fondamenta delle emissioni obbligazionarie e delle azioni Esg, quelle cioè che rispettano obiettivi ambientali e sociali. E così gli investimenti nei settori della difesa, degli idrocarburi e del carbone, prima abbandonati dai risparmiatori, rientrano nei portafogli dei fondi di tutto il mondo.


La vernice verde per un po’ dovrà tornare nello sgabuzzino. La crisi del gas e poi la guerra in Ucraina stanno incrinando le fondamenta della finanza sostenibile, una moda che ha contagiato in massa banche e risparmiatori ma che oggi mostra tutte le sue contraddizioni. Rivelando i limiti di una visione del mondo un po’ troppo semplicistica e manichea. Il fenomeno è cresciuto sotto l’etichetta Esg, ovvero environmental, social and corporate governance. Le aziende che raggiungono una serie di obiettivi ambientali, o sostengono certi movimenti sociali o ancora vengono governate rispettando i criteri di diversità, equità e inclusione, ottengono l’approvazione degli azionisti e degli investitori. E di conseguenza ottengono più facilmente i finanziamenti di cui hanno bisogno.

Ad alimentare questo movimento c’è l’enorme massa di soldi che investitori grandi (come i fondi pensione o i fondi sovrani) e piccoli vogliono indirizzare verso attività positive per l’ambiente e la società. Solo nel quarto trimestre dello scorso anno, sono stati versati a livello globale 142,5 miliardi di dollari in fondi specializzati in investimenti Esg, il 12 per cento in più rispetto al trimestre precedente. Il totale delle attività sostenibili a livello mondiale ammonta a circa 2.700 miliardi di dollari detenuti da oltre 5.900 fondi, tre quarti dei quali in Europa. La pressione sulle banche e sui gestori per rispettare le linee guida sulle questioni ambientali, sociali e di governance si è fatta fortissima.

L’intento è ottimo, perché favorisce per esempio lo sviluppo delle energie rinnovabili e spinge le imprese a sostenere movimenti ambientalisti o di difesa dei diritti umani. Mentre gli investimenti nel settore degli idrocarburi, del carbone, della difesa si sono ridotti. Le imprese fanno di tutto per apparire verdi e responsabili, in modo da convogliare parte della colossale liquidità nelle loro casse. Se sei una società elettrica, devi annunciare che chiuderai le centrali a carbone per vedere il tuo titolo salire in Borsa. Se produci vestiti devi farlo in Paesi che rispettano i diritti dei dipendenti. Ma alla fine se il tuo lavoro è estrarre carbone, scavare pozzi petroliferi o costruire carrarmati, ci puoi fare ben poco. Thales, società di difesa francese, ha visto la quota di azioni detenute da investitori europei dimezzarsi nel giro di cinque anni. In gennaio, l’amministratore delegato della società tedesca di armamenti Rheinmetall ha rivelato che due storiche banche del gruppo, Bayern e Lbbw, hanno deciso di smettere di fare affari con l’azienda. Minore sostegno da parte della finanza verso le aziende «cattive» significa per loro finanziarsi a tassi più alti o rinunciare a fare nuovi investimenti, come è capitato in questi anni alle compagnie dell’energia tradizionale.

Naturalmente il mondo della finanza Esg non è stato esente di ombre e contraddizioni. Il gestore che non investe in imprese che estraggono carbone o in Paesi che non rispettano i diritti umani, come si comporta di fronte alle inquietanti miniere di cobalto o di litio, che servono per produrre le auto elettriche? Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è emerso che i fondi Esg avevano almeno 8,3 miliardi di dollari investiti in titoli di Stato e società russe. Invitando le imprese occidentali a tagliare i loro legami con Mosca, l’ex ministro delle finanze dell’Ucraina, Natalie Jaresko, ha scritto che «troppo spesso, le aziende e i loro dirigenti si impegnano nel marketing o nell’offuscamento di ciò che stanno effettivamente facendo».

Ma ora il boom della finanza verde e sostenibile rischia di schiantarsi contro una nuova realtà, ben più dura delle accuse di «greenwashing». La carenza di gas e l’impennata dei prezzi degli idrocarburi e del carbone hanno rivelato i limiti di una politica troppo sbilanciata a favore delle energie rinnovabili. E ci si è resi conto che la linea di demarcazione tra buoni e cattivi è più sfumata. Un esempio sorprendente l’ha fornito la Commissione europea, che ha inserito il gas e il nucleare tra le fonti di energia ritenute sostenibili in vista della neutralità climatica da raggiungere entro il 2050. Chi opera in questi settori farà meno fatica a trovare finanziamenti sul mercato.

Come sottolinea l’analista della società Kairos Alessandro Fugnoli, i Paesi occidentali, se da una parte continueranno a frenare l’offerta di fossili con le politiche Esg, dall’altra ne sosterranno la domanda con sussidi ai consumatori: «Il caso più clamoroso è quello della California, da trent’anni capofila globale della transizione energetica, che si appresta a varare un sussidio di 400 dollari per chi usa automobili a benzina». Poi la situazione si è aggravata con la guerra in Ucraina e lo scontro tra Europa e Mosca. Con effetti paradossali: fa impressione per esempio vedere un ministro dei Verdi tedeschi, Robert Habeck, andare a chiedere più gas liquefatto, cioè un idrocarburo, agli emiri del Qatar e degli Emirati arabi uniti, Paesi noti per lo scarso rispetto dei diritti umani.

Anche il fronte degli oppositori all’industria degli armamenti ha subìto un duro colpo. Un primo segnale è arrivato dalla Svezia, dove la banca Seb (Skandinaviska Enskilda Banken) ha comunicato che sei degli oltre 100 fondi che gestisce saranno autorizzati a investire in aziende della difesa, rimangiandosi una decisione del febbraio scorso. La banca ha spiegato che il cambiamento è stato innescato dalla «grave situazione di sicurezza e dalle crescenti tensioni geopolitiche negli ultimi mesi culminate con l’invasione russa dell’Ucraina». Non solo. Il Financial Times ha rivelato che le proposte dell’Unione europea dello scorso anno di etichettare l’industria della difesa come socialmente dannosa sono state abbandonate in un rapporto finale pubblicato in marzo. Bruxelles sembra aver riconosciuto contraddittorio ritenere da una parte la difesa insostenibile, e allo stesso tempo invocare un aumento delle proprie capacità militari.

«È tragico che ci sia voluta una guerra per far capire l’importanza dell’industria della difesa europea» ha rimarcato il quotidiano britannico. In un rapporto di un paio di settimane fa gli analisti della Bank of America hanno scritto che la crisi ucraina «ci ricorda come l’approccio Esg sia complicato e sfumato». In altre parole ci si è accorti che, se servono a difenderci, le armi tutto sommato non sono così disdicevoli. Così come non lo è il gas, se serve a tenerci al caldo in attesa che ci siano abbastanza pannelli solari, pale eoliche e batterie.

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