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Una ripresa fragile come il vetro

Una ripresa fragile come il vetro

Nel post pandemia, questo settore come quello della ceramica hanno fatto il pieno di ordinativi. Ma l’esplosione nei costi dell’energia fa deragliare i conti e perdere importanti quote di mercato.


Sono due settori di punta del made in Italy, vanno a gonfie vele sui mercati internazionali e occupano decine di migliaia di lavoratori ma hanno una sola colpa: sono «energivori». E di questi tempi, per gli ortodossi della transizione ecologica, equivale quasi a essere i killer del pianeta. Per prosperare hanno bisogno di tanta energia, che non può essere soddisfatta dalle alternative al gas. Stiamo parlando dell’industria del vetro e della ceramica che da mesi sono nella paradossale situazione di avere una valanga di ordinativi ma di non riuscire a far quadrare i bilanci con il rischio di dover tagliare posti di lavoro. Il motivo è l’inarrestabile corsa del prezzo del gas che al Ttf (il mercato di riferimento europeo) è aumentato nel 2021 di quasi il 500 per cento. A questo si aggiunge il raddoppio del costo dei permessi di emissione di CO2.

Come conseguenza, l’energia elettrica all’ingrosso è rincarata, nello stesso periodo, di circa il 400 per cento. La domanda di gas naturale è esplosa dopo il lockdown con la ripresa economica e l’Europa si è trovata a che fare con la ridotta produzione delle fonti rinnovabili (soprattutto quella eolica) e la minore disponibilità di capacità nucleare. I settori industriali più energivori sono entrati in difficoltà e hanno reagito rallentando la produzione o mettendo in cassa integrazione i dipendenti.

Il quotidiano Financial Times ha raccontato che nella distilleria St.Augustine in Florida, durante le feste natalizie, erano accatastate 5 mila casse di vodka, gin e whiskey che non potevano essere imbottigliate per mancanza di contenitori di vetro.In Italia è scattato l’allarme di Federvini mentre il governo è dovuto intervenire con un fondo di 5 milioni per salvare dal disastro il distretto del vetro di Murano. «Otto vetrerie sull’isola di Murano hanno chiuso. Rischia di concludersi una storia millenaria, sopravvissuta a guerre e a innovazioni tecnologiche» dice con rammarico Cristiano Ferro, titolare dell’azienda del vetro Effetre con 35 dipendenti, la più grande dopo le storiche Venini e Barovier & Toso. E spiega che i forni devono mantenere una temperatura sui 1.100 gradi e funzionare ininterrottamente. «Spegnerli vuol dire affrontare alti costi di manutenzione perché il materiale quando si raffredda tende a deteriorarsi». Ferro sottolinea che «l’aumento dei costi energetici non può essere scaricato sul prodotto finito perché significherebbe uscire dal mercato». In agguato ci sono i produttori dell’Est Europa e del Sud-est asiatico che «hanno qualità inferiore ma sono competitivi sul prezzo». La transizione ecologica è un’altra minaccia per il settore. Dice Ferro: «Non possiamo fare a meno del gas e l’idrogeno è una promessa futura».

Il settore industriale del vetro comprende 32 aziende, 60 siti produttivi, circa 22 mila addetti (dati di Assovetro). La produzione è pari a 5 milioni di tonnellate l’anno. «Il vetro è il prodotto ecologico per eccellenza, se ne ricicla il 79 per cento. Ma abbiamo bisogno di fondere le materie prime, siamo energivori» afferma il direttore di Assovetro, Walter Da Riz. «Il 30 per cento dei costi di produzione è dato dall’energia. Le fonti rinnovabili possono essere utilizzate in parte, serve sempre un gas. L’idrogeno per essere verde deve essere prodotto da energia elettrica rinnovabile. È difficile immaginare il futuro. Nel frattempo che facciamo, moriamo? L’Italia è la seconda manifattura del vetro in Europa» incalza Da Riz.

Il caro energia sta mettendo in difficoltà anche l’industria della ceramica. Il settore ha un consumo medio di metano pari a 1.500 milioni di metri cubi l’anno e un fabbisogno di energia elettrica di 1.800 GWh l’anno. «Se un’azienda produce con il gas a un euro e passa, lo fa con grandi perdite. Non è possibile scaricare sui prezzi aumenti del metano a doppia o tripla cifra che scontano, tra l’altro, fortissime oscillazioni da giorno a giorno» afferma Giovanni Savorani, presidente di Confindustria Ceramica. «Le aziende sono piene di ordini ma rischiano di produrre in perdita. Abbiamo chiuso il 2021 con un forte incremento di vendite e export tale da superare i livelli di pre-pandemia. La domanda viene da tutti i Paesi del mondo e anche in Italia il mercato è tornato crescere dopo vent’anni. Ma questa situazione positiva si scontra con l’aumento dei costi energetici che sta mettendo a dura prova la competitività delle aziende».

La bolletta energetica dell’industria della ceramica, che era di 250 milioni di euro a seguito di aumenti del 450 per cento, è oggi superiore al miliardo. «Una esplosione di costi che, anche a fronte di aumenti nei listini, non appare più sostenibile» dice Savorani. E mette in guardia dagli effetti di una accelerazione della transizione ecologica. «Occorre spostarsi verso altre forme energetiche quando queste sono disponibili e a prezzi concorrenziale con il gas. Altrimenti si perde competitività a vantaggio di produzioni extra Ue». L’aumento dei prezzi energetici e una formulazione rigida della politica green stanno diventando un mix esplosivo che rischia di consegnare pezzi di mercato ai concorrenti esteri.

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