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Se il call center dribla il registro

Se il call center dribla il registro

Spostano le sedi all’estero riescono a evitare i nuovi controlli italiani


Laura lavora in un’azienda di contact center a Bologna. «Ognuno di noi può gestire anche due-trecento telefonate al giorno» dice. «E, se va bene, la metà delle volte ci arrivano insulti, ma non ci facciamo neanche più caso: chiudiamo e andiamo avanti col numero successivo». Per quanto cinica, questa è la vita cui tanti lavoratori dei call center si sono ormai abituati.

Secondo una ricerca realizzata dallo Studio Ambrosetti per AssoContact, parliamo di 185 mila persone assunte con contratti di varia natura e che assicurano un fatturato di circa tre miliardi alle aziende. La conseguenza è duplice e paradossale: da una parte un esercito di giovani impegnati in un lavoro che diventa usurante; dall’altra milioni di utenti tartassati da telefonate invadenti – talvolta moleste – per la propria privacy. Con l’inevitabile conseguenza che spesso l’unico rimedio è troncare la comunicazione in faccia ai poveri operatori.

Eppure, nonostante sia ritenuta da molti «odiosa», resta una pratica di vendita vincente: «L’uso del telemarketing funziona. È il modo più “cost-effective”, cioè con il miglior rapporto “ritorno sulla spesa” in proporzione a quanto l’azienda investe e guadagna da questo tipo di pratiche» spiega l’esperto di marketing e divulgatore, Frank Merenda. Certo, già oggi le aziende vengono multate in caso di pratica scorretta e gestione non conforme dei dati e della privacy, «ma le multe sono così basse che il gioco vale sempre la candela» insiste Merenda.

Qualcosa, però, può cambiare a partire proprio da questi giorni, dato che dal 27 luglio è diventato di fatto operativo il nuovo Registro pubblico delle opposizioni (Rpo), esteso per la prima volta ai numeri di telefono cellulari. «Il nuovo servizio» si legge nel comunicato pubblicato sul portale del Registro delle opposizioni «consentirà di porre un argine al fenomeno del telemarketing aggressivo e sanare una situazione che negli anni ha esasperato i cittadini, consentendo agli operatori che fanno il loro lavoro nel rispetto della normativa di esercitare la propria attività nei confronti degli utenti finali interessati alle offerte».

Il servizio comprende tutti i numeri nazionali, fissi e cellulari, anche non presenti negli elenchi telefonici, e la novità sta nella possibilità di bloccare tutte le pratiche di telemarketing, pure quelle fatte con modalità automatiche. Come? Semplicemente iscrivendosi a un apposito Registro pubblico. «Le chiamate diventeranno illegali entro 15 giorni dall’iscrizione sul Registro, dunque le aziende di telemarketing saranno obbligate a consultarlo ogni due settimane ed escludere così i numeri da contattare» spiegano dall’associazione di consumatori Adoc.

Molti, però, hanno più di un dubbio sull’effettivo cambiamento a cui porterà l’Rpo. «Anche in questo caso funzionerà come sempre: fatta la legge, trovato l’inganno» aggiunge Merenda «perché moltissimi call center ormai sono all’estero, tanti anche fuori dall’Unione europea. E su questo tipo di strutture le normative si applicano a fatica». Il rischio è che molte aziende delocalizzino i servizi in altri Stati. Cosa non da poco considerando che, secondo il Garante della privacy, per intervenire sulle articolazioni straniere sarà determinante la cooperazione con le autorità europee di protezione dei dati, che al momento non è garantita sempre e comunque. Il risultato è che quanti si trovano all’estero non possono essere inseriti nel Registro.

E le aziende che invece risiedono in Italia? Anche qui bisognerà capire gli sviluppi perché al momento è incerto come verranno gestite denunce e sanzioni. Così, numerose imprese continueranno a tormentare di telefonate promozionali i cittadini. Laura, e centinaia di migliaia di operatori nella sua delicata posizione, tirano per ora un sospiro di sollievo: «Meglio ricevere insulti» dice, non senza imbarazzo, «che rischiare di perdere il lavoro perché l’azienda chiude o preferisce spostarsi all’estero». Così come Giuseppe, che lavora in un call center a Roma: «Questa riforma è stata per noi un incubo, di gran lunga peggiore rispetto alle nostre telefonate fatte ai potenziali clienti» ironizza.

Il vero problema da arginare non è, come spiega ancora Merenda, «la vendita telefonica in sé, ma il modo in cui viene utilizzata. È umiliante per l’operatore telefonico che deve lavorare così, e fastidiosa per le milioni di persone che ogni giorno subiscono contatti non voluti». Eppure alternative alle telefonate selvagge ci sarebbero, sottolinea l’esperto di telemarketing: «Un’azienda oggi ha modi anche più efficaci di raggiungere il proprio pubblico target. Per esempio esiste Google, che un tempo non c’era. Qui le persone pongono domande per risolvere problemi e noi ci facciamo trovare là dove serve. Esiste YouTube, dove possiamo raggiungere potenziali clienti o aziende attraverso video esplicativi. Senza dimenticare i social, che portano online quel tipo di pubblicità che una volta era appannaggio solo di chi poteva permettersi radio e televisioni nazionali». La vera rivoluzione quindi sarebbe aprirsi a nuove pratiche. Meno usuranti e anche meno irritanti.

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