Allo stesso modo è necessario innalzare il sussidio di disoccupazione. Ma non è bloccando i licenziamenti che si proteggono i lavoratori.
La seconda ondata di pandemia, della cui durata non si sa ovviamente nulla, rischia di mettere in crisi la coesione sociale del Paese e di minare le fragili basi di ripartenza dell’economia. Ancora una volta – e non potrebbe essere diversamente – la politica economica deve costruire interventi per fronteggiare l’emergenza piuttosto che disegnare le azioni per il futuro.
I progetti per il Recovery Plan devono ancora aspettare mentre occorre, rapidamente, costruire le politiche per il Resilience Plan, con la sanità e il lavoro al centro dell’agenda. E se sulla sanità emergono ogni giorno lacune e fragilità strutturali che in questi mesi non sono state sanate – e sarebbe certo servito l’aiuto finanziario del Mes – e di cui qualcuno prima o poi dovrà rendere conto, sul tema del lavoro si intrecciano le partite di diversi attori: governo, sindacati, imprese.
L’estrema gravità della situazione non dovrebbe lasciare spazio a nessun indugio o tentennamento, ma solo ad azioni rapide ed incisive. E anche ispirate al principio della semplicità. Per questo non ci dovrebbe essere la minima discussione sul fatto che per tutto il 2021 avremo bisogno di uno strumento quale la cassa integrazione a protezione dei posti di lavoro di molte aziende, con la speranza che possano ripartire al più presto. Una cassa integrazione facile nei sui meccanismi di richiesta ed erogazione, strettamente legata alla crisi pandemica, dal semplice monitoraggio e con eventuali sistemi di controllo altrettanto semplici e immediati.
Occorre in questa stagione una capacità di lettura dei fenomeni del mercato del lavoro, delle crisi industriali e dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali di cui il sistema pubblico appare difettare (anche se ha avuto tutto il tempo per riorganizzare la propria macchina organizzativa). Non si dispongono, ancora oggi, di dati certi sul tiraggio della cassa Integrazione e, quindi, delle possibilità di utilizzare in maniera flessibile e articolata le risorse dedicate verso altri sostegni al reddito.
Ugualmente, non vi dovrebbe essere nessun dubbio sul fatto che è necessario innalzare il sussidio di disoccupazione (Naspi) per aiutare in maniera più significativa coloro che perdono il posto di lavoro. Se vogliamo rendere più fluido il mercato del lavoro e facilitare i processi di riallocazione, è questa l’indennità chiave su cui costruire le politiche attive, a partire dall’assegno di ricollocazione.
Così come è altrettanto evidente che questo sarebbe il momento per il maggiore sforzo dell’Anpal – l’Agenzia nazionale per le politiche attive – e dei centri per l’impiego, utilizzando pienamente tutte le risorse stanziate e disponibili e rimettendo sulle giuste direzioni di marcia i navigator. È il momento determinante per rafforzare le politiche attive e i suoi attori, proprio confidando su nuove capacità e su una nuova infrastruttura fisica e immateriale. Purtroppo, però di questo sussulto operativo non si intravede neppure l’ombra e rischia di essere l’ennesima occasione persa.
Così appare surreale la discussione in corso tra sindacati e governo (ma dove sono le imprese? Concertazione o dialogo sociale sono normalmente a tre) a proposito del blocco dei licenziamenti. Fermare le dinamiche del mercato del lavoro – i cosiddetti aggiustamenti – appare una battaglia di retroguardia, con il rischio di accentuare il problema piuttosto che di alleviarlo, figlio del vizio di guardare al mercato del lavoro sempre e solo con la paura delle distorsioni. Non è bloccando i licenziamenti che si proteggono di più e meglio i lavoratori, anzi.
Soccorrono in questo non tanto argomenti giuridici (la supposta incostituzionalità) e neppure quelli economici (il fallimento delle imprese determina i licenziamenti) quanto il buon senso, che appare smarrito. È evidente che l’utilizzo della cassa integrazione deve essere sottoposto a regole e tra queste una forte limitazione dei licenziamenti ed è altrettanto evidente che il bene dei lavoratori e delle lavoratrici non si fa mantenendo il posto irrigidito in imprese che non hanno futuro o che sono già «morte».
Al contrario, in Italia occorre in questa fase fluidificare e rendere possibili tutti i processi di aggiustamento, tutte le transizioni delle imprese, tutte le operazioni di recupero della produttività e di riorganizzazione aziendale. Sarebbe un errore folle impedirle. Si devono rafforzare le indennità di disoccupazione, affiancarle con robuste operazioni di formazione e riqualificazione, promuovere attente politiche attive, considerando che anche oggi le imprese stanno cercando professioni che non trovano. Promuovere altri mesi di blocco dei licenziamenti sarebbe una scelta irresponsabile verso il Paese.
Quindi, le prossime ore della notte del confronto governo parti sociali siano dedicate non a studiare astrusi e bizantini meccanismi che possano bloccare i licenziamenti senza però che sia un blocco totale, ma siano concentrate a trovare quelle politiche che sostengano il reddito del lavoratore e aumentino la sua futura occupabilità. Sarebbero risorse spese in maniera più efficace e senza indulgere ai vecchi totem del lavoro, che mai hanno fatto bene al Paese.