Il propulsore che combina il motore a scoppio a quello elettrico per ora è il preferito dal mercato per consumi contenuti e praticità. E i produttori di auto traggono le conseguenze.
La notizia è di pochi giorni fa: Renault e Geely hanno annunciato il lancio ufficiale di Horse Powertrain, una joint venture formata dalla casa francese guidata da Luca De Meo e dal colosso cinese proprietario della svedese Volvo. Data l’epoca, ci si potrebbe aspettare un’alleanza per costruire auto elettriche. Invece la nuova società si dedicherà allo sviluppo di motori a scoppio, trasmissioni e batterie per vetture termiche e ibride. È vero, Il progetto di questa joint venture risale a qualche tempo fa e il suo obiettivo è rifornire principalmente i Paesi fuori dall’Europa e dalla Cina, dove i motori tradizionali hanno ancora un grande futuro. Ma con l’aria che tira sulle auto elettriche nel Vecchio continente, la nuova impresa coglie in pieno la tendenza del momento: la rivincita dell’ibrido.
Del resto, i segnali in questo senso che arrivano dai protagonisti del settore sono numerosi. Lunedì 27 maggio il ceo del gruppo Stellantis, Carlos Tavares, ha reso noto ai sindacati che dal 2026 a Mirafiori verrà prodotta una versione ibrida della 500, dato che di quella elettrica se ne vendono ben poche e che occorre aumentare la produzione in Italia, viste anche le pressioni del governo. Il giorno dopo la case giapponesi Toyota, Subaru e Mazda hanno presentato una nuova gamma di motori a benzina progettati appositamente per le vetture ibride.
Propulsori da 1,5 a 2,5 litri di cilindrata, più leggeri, più piccoli e con un’efficienza aumentata del 30 per cento, capaci di funzionare anche con i carburanti a zero emissioni di carbonio, come gli e-fuel, i bio-fuel e l’idrogeno liquido. Questi nuovi motori debutteranno nel 2026. Non è finita: perché dalla Cina arriva la notizia che Byd, lo stesso produttore che sta sfidando Tesla per il dominio del mercato delle elettriche, ha lanciato la quinta generazione del suo ibrido plug-in capace di garantire un’autonomia complessiva fino a 2.100 chilometri. Un modello dalle prestazioni straordinarie, un toccasana per gli automobilisti che non vogliono o non possono fare il salto nel mondo dell’elettrico puro e che devono coprire lunghe distanze.
I numeri del successo
Così, in attesa di vedere se l’Europa manterrà la scadenza del 2035 per bloccare le vendite di veicoli a benzina, e di fronte all’affievolirsi dell’entusiasmo dei consumatori per le auto a batteria, le case produttrici stanno ridimensionando i piani sull’elettrico e guardano sempre di più all’ibrido come una tecnologia di transizione. Ma devono colmare il ritardo accumulato nei confronti di Toyota. I dati sulle vendite in Europa sono eloquenti: nei primi quattro mesi dell’anno le auto ibride tradizionali (non plug-in) hanno conquistato il 29,5 per cento del mercato con un balzo del 29 per cento, mentre le vetture elettriche sono cresciute del 14,4 per cento fermandosi a una quota del 13,4 per cento. In Italia nel primo quadrimestre le immatricolazioni di ibride sono salite del 14,9 per cento, raggiungendo una quota del 38,5 per cento. Le elettriche pure invece si sono fermate a un misero 2,4 per cento del mercato, anche a causa della prolungata attesa dei nuovi incentivi. Nei primi quattro mesi la Toyota con le sue ibride ha messo a segno un aumento record del 30 per cento delle vendite in Italia, piazzandosi al secondo posto come marca dopo Fiat con una quota del 7,5 per cento. Questo tipo di motore dunque è sempre più percepito da chi deve comprare un’auto come una buona soluzione per abbattere consumi ed emissioni (anche quelle di ossidi di azoto, tipiche dei diesel), in attesa di vedere arrivare nei concessionari veicoli elettrici meno costosi, con più autonomia e con un’esperienza di ricarica più semplice. Inoltre, avendo emissioni più basse, le ibride usufruiscono degli incentivi.
All’inizio fu una Porsche
Ma da dove arriva e che cos’è esattamente una vettura ibrida? La sua è una storia lunga. Uno dei primi prototipi di auto con questo fu creato nel 1899 da Ferdinand Porsche, con la sua «Lohner-Porsche Mixte», un veicolo equipaggiato con motori elettrici nelle ruote anteriori e uno a benzina che agiva come generatore per estendere l’autonomia del veicolo. Erano tempi in cui la trazione elettrica veniva considerato più promettente di quella a scoppio. Ma poi il basso prezzo del petrolio e le migliorate performance dei propulsori a benzina mandarono l’elettrificazione delle auto in soffitta. Dovettero arrivare la crisi petrolifera degli anni Settanta e la crescente consapevolezza ambientale per riaccendere l’interesse verso i sistemi ibridi, su cui si concentrarono in particolare due case nipponiche: Toyota e Honda. In particolare la Toyota Prius, lanciata in Giappone nel 1997 e in seguito a livello globale, diventò il simbolo di questo tipo di auto, segnando l’inizio della popolarità commerciale della relativa tecnologia. Nel caso della Prius e di tutti i modelli che ne hanno seguito le orme (anche se in pochi hanno raggiunto l’efficienza della soluzione Toyota), il sistema ibrido funziona affiancando al motore a benzina uno elettrico e i due propulsori, grazie a un’elettronica sofisticata, interagiscono di continuo, ottenendo una sensibile riduzione dei consumi. In genere nelle full hybrid entrambi i motori trasferiscono l’energia alle ruote, ma ci sono alcuni esempi di auto in cui quello a scoppio si limita a caricare la batteria e il movimento è gestito principalmente da quello elettrico.
Mild, full o plug-in?
La famiglia degli ibridi si è poi ampliata con altre due sotto-categorie: le mild-hybrid (mhev, mild hybrid electric vehicle) e le plug-in (phev). Le auto mild hybrid, oggi molto diffuse perché meno complicate da costruire, sono dotate di un sistema elettrico di supporto che aiuta il motore a combustione interna, ma non possono essere guidate esclusivamente in modalità elettrica. Tipicamente utilizzano un sistema a 48 volt che alimenta alcune funzioni come lo start-stop avanzato, la rigenerazione dell’energia in frenata e l’assistenza al motore durante l’accelerazione. Permettono di ridurre i consumi soprattutto in città. Ma non sono delle vere e proprie ibride, titolo di cui possono fregiarsi invece le full hybrid. Queste ultime hanno batterie più grandi rispetto ai mild hybrid e percorrono brevi distanze usando solo energia elettrica, anche se non devono ricaricarsi alla presa: è il motore a scoppio che se ne occupa. Le full hybrid garantiscono una maggiore efficienza nel consumo di carburante rispetto alle mild hybrid: per fare un esempio concreto, la Toyota Yaris Hybrid, uno dei modelli più apprezzate sul mercato, ha un consumo medio dichiarato di 3,8 litri per 100 chilometri e alcuni studi hanno rilevato che il consumo reale delle full hybrid può variare da 4 a 4,4 litri per 100 chilometri. Una Prius percorre normalmente sulle strade cittadine e provinciali 25 chilometri con un litro, che scendono a 20 in autostrada. Una buona alternativa al diesel. Inoltre, in alcune città le full-hybrid possono accedere gratuitamente alle zone a traffico limitato. Ci sono infile le plug-in hybrid, auto dotate batterie di dimensioni maggiori rispetto alla versione full e che devono essere ricaricate collegando il veicolo a una fonte di energia esterna. Questo permette loro di percorrere distanze significativamente più lunghe in modalità completamente elettrica, ovvero tra i 30 e gli 80 chilometri. Ovviamente le plug-in possono ridurre di parecchio i consumi di carburante e le emissioni. Ma solo se si riesce a sfruttare la carica della batteria. Altrimenti il peso di quest’ultima costringe il motore a combustione a consumare addirittura di più rispetto ad un’auto tradizionale. La Commissione europea ha pubblicato i risultati di un’analisi effettuata su 600 mila veicoli a benzina, diesel e ibridi plug-in e questi ultimi ne sono usciti peggio, con emissioni reali di CO² di 3,5 volte superiori rispetto ai dati di omologazione. C’è poi da aggiungere che le plug-in costano di più rispetto agli altri tipi di ibridi e la loro maggiore complessità potrebbe rendere la manutenzione più onerosa. Non solo: la presenza della batteria può ridurre lo spazio del bagagliaio e del serbatoio. Se finora la plug-in presentano questi limiti, che ne penalizzano le vendite in Italia, in futuro potrebbero diventare più attraenti. Si prevede, infatti, che la tecnologia delle batterie continuerà a migliorare, con un aumento dell’autonomia elettrica e una riduzione dei tempi di ricarica. E poi, come dimostra il lavoro della Toyota guidata ora dal ceo Koji Sato, il motore a scoppio è ancora vivo e vegeto.